martedì 26 novembre 2013

VALUTAZIONE: DI QUALE MERITO PARLIAMO?

Intervento di Giorgio Ragazzini al convegno Educare alla critica: quale valutazione? organizzato da Unicobas, Unicorno L'AltrascuolA e Liceo Mamiani di Roma, 26 novembre 2013
 
Il merito come eccellenza e il merito come serietà
Quando si parla di puntare sul merito come leva del progresso sociale e civile, ci si riferisce in genere alla valorizzazione dei più bravi; in altri termini, alle cosiddette “eccellenze”. Dico subito che valorizzare i migliori in tutti i campi è giusto e soprattutto necessario, perché la società di oggi e quella che domani sarà dei nostri figli ha bisogno di eccellenti professionisti, imprenditori, politici, tecnici, scienziati, studiosi; (continua a leggere).

lunedì 18 novembre 2013

TOSCANA: IL RISCATTO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Pubblichiamo l’intervento che Valerio Vagnoli, dirigente di un istituto professionale alberghiero, ha pronunciato stamani nel convegno della Regione Toscana “La qualifica nel nuovo modello di istruzione e formazione professionale in Toscana”.
Che cosa sta cambiando in questa regione riguardo alla formazione professionale? Sul piano delle idee, si sta passando da un prolungato rifiuto di vedere in questo tipo di scuola una scelta di pari dignità dopo la scuola media alla sua rivalutazione come percorso in grado di venire incontro ad attitudini e intelligenze più legate al “saper fare”, di combattere efficacemente l’insuccesso scolastico e di sostenere lo sviluppo economico. Sul piano dell’organizzazione didattica, si passa dal modello “integrato”, cioè da trienni di istruzione professionale, in cui alcuni ragazzi in difficoltà fruiscono soprattutto nel terzo anno di alcune ore in più di laboratorio, di qualche compresenza e di uno stage, al modello “complementare”, in cui, sempre all’interno di un istituto professionale, nascono dei corsi autonomi più professionalizzanti, in alternativa al quinquennio istituzionale. Si tratta per ora di una sperimentazione, ma l’insuccesso della soluzione “ibrida” ha spinto il governo della Toscana a cambiare strada. Che è poi – sia detto senza alcuna iattanza – quella che nell’autunno del 2009 indicammo in un convegno e che poi fu proposta con una lettera aperta da ottantacinque presidi toscani. 
Leggi l'intervento di Valerio Vagnoli. 

venerdì 15 novembre 2013

L’INTEGRAZIONE ILLUSORIA DEGLI ALUNNI CHE NON SANNO LA LINGUA

Torniamo sul problema dell’integrazione linguistica dei ragazzi stranieri con un bell’intervento sul “Corriere della Sera” del professor Michele Zappella, neuropsichiatra dell’età evolutiva. Intanto la notizia della “scandalosa” classe che la scuola “Besta” di Bologna ha deciso di riservare a chi deve imparare l’italiano, per poi assicurargli un’effettiva integrazione (decisione che ha avuto anche apprezzamenti) non è piaciuta né alla ministra Carrozza, né alla ministra Kienge, che ha quindi ritrattato una sua timida apertura precedente. Leggi.

martedì 5 novembre 2013

SCANDALO A BOLOGNA PER UNA PRESUNTA “CLASSE GHETTO”. MA IN EUROPA LO FANNO QUASI TUTTI

Una scuola bolognese ha deciso di mettere in una classe speciale temporanea alcuni ragazzi stranieri, in modo da trasferirli nelle classi normali via via che imparano la nostra lingua. E naturalmente “insorgono” tutti quelli che sentono odore di “ghetto” e di “discriminazione” a ogni piè sospinto (leggi). Eppure la possibilità di far apprendere la lingua del paese ospitante per poter poi seguire le lezioni (modello cosiddetto “separato”) è una soluzione presente in ben diciannove paesi europei, cioè la grande maggioranza. A questo scopo vengono previste classi temporanee, da pochi mesi a un anno (solo eccezionalmente si va oltre). Il motivo lo capiscono anche i bambini: i nuovi arrivati non capirebbero nulla e così la loro integrazione sarebbe solo apparente, realissima invece quell’emarginazione che a parole si vorrebbe evitare.
La tabella che si può leggere sul sito dell’Indire fa una panoramica della situazione europea. Molti stati hanno più modelli di sostegno all’apprendimento della lingua, in modo da adattare la soluzione alla diversità dei problemi. L’Italia ne ha uno solo: tutti subito in classe, con qualche ora di lingua in più all’interno dell’orario scolastico.

lunedì 4 novembre 2013

CONSIDERAZIONI SU UNA SCUOLA CINESE IN ITALIA

Tra i vari motivi di interesse di un recente servizio di “Io Donna” sulla nuova Scuola Internazionale Italo Cinese d’Italia, con sede a Padova, colpiscono alcuni passaggi. Due sulla scuola italiana: 
- «Pensiamo che la scuola cinese sia troppo rigida, mentre in quella italiana si pensa più al gioco che al lavoro».
- La maestra sembra molto soddisfatta, il programma va avanti veloce: «Non come nella scuola italiana, che è lenta». 
Altri due sul comportamento dei bambini: 
- “La visita parte dall’asilo, a piano terra. I più piccoli stanno pranzando (si alternano le cucine dei due Paesi), seduti in ordine e silenziosi. Mangiano composti, non c’è un chicco di riso per terra. Per Li Xuemei [la preside] le buone maniere sono fondamentali, parte integrante della formazione: «I bambini cinesi che vivono in Italia non sanno comportarsi, non conoscono la gentilezza. E i genitori non sono in grado, o non hanno il tempo, di occuparsene»”.
- “Arriviamo nel corridoio delle elementari, In prima, la maestra Giulia Larcher sta spiegando Scienze. Gli alunni, rispettosi, parlano solo se interrogati, in ottimo italiano.” 
È difficile non concludere che i programmi in questa scuola vanno avanti proprio perché in classe c’è educazione, cioè un clima favorevole all’apprendimento; e che questo clima deriva dalla consapevolezza che le buone maniere sono “fondamentali”, stanno cioè a fondamento di una buona formazione. In questo modo gli insegnanti possono dedicare tutte le loro energie alla didattica, mentre quelli delle scuole pubbliche italiane le sprecano troppo spesso in una continua lotta per ottenere la necessaria attenzione. E non sarà proprio questo a farci perdere punti nelle indagini internazionali, molto più della vera o presunta arretratezza della didattica?
Dal servizio si comprende poi benissimo quanto facilmente i bambini possano perdere le buone abitudini e livellare verso il basso il loro comportamento, nel momento in cui si trasferiscono da un contesto a un altro; e, di conseguenza, quanto importante sarebbe che “il contesto” – cioè non solo un intero istituto (che sarebbe già qualcosa), ma tutto il sistema istruzione, in sintonia con le famiglie – fosse orientato con coerenza, fermezza e perseveranza verso il comune obbiettivo di creare nei bambini la capacità di stare insieme agli altri.  (Giorgio Ragazzini)