martedì 30 settembre 2014

LA BUONA SCUOLA? QUELLA CHE NON UCCIDE GLI ISTITUTI D'ARTE

("Corriere Fiorentino", 26 settembre 2014)
Gentile Direttore,
nel documento del Governo Renzi La buona scuola il quinto capitolo, dal titolo Fondata sul lavoro, è dedicato al rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro, a partire dalla constatazione che “a fronte di un alto tasso di disoccupazione, le imprese faticano a trovare competenze chiave”, tanto nell’industria elettronica e informatica quanto in settori come quelli del mobile e dell’arredamento. Continua.

mercoledì 24 settembre 2014

LA CLASSE DI 42 ALLIEVI, OVVERO LA SICILIA COME METAFORA

L’incredibile vicenda del Liceo di Caltanissetta, in cui era stata formata – a norma di legge – una classe di 42 allievi, tra cui ben 4 disabili, si è per fortuna rapidamente risolta con l’intervento del Ministero, che ha dato il permesso di sdoppiarla.  Continua.

lunedì 22 settembre 2014

UNA BUONA SCUOLA? Capitolo 2: Libertà metodologica e aggiornamento dei docenti

“Dobbiamo dire con chiarezza cosa ci aspettiamo dal corpo docente in termini di conoscenze, competenze, approcci didattici e pedagogici, per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale e garantire uno sviluppo uniforme della professione docente”(cap. 2.1, Quali competenze per i nostri docenti).
Un’affermazione, quella sugli “approcci didattici e pedagogici”, che suona inquietante per chi ritiene essenziale la libertà metodologica, tanto più che la pretesa di decidere come tutti dovrebbero insegnare non è purtroppo nuova nei discorsi di pedagogisti e dirigenti ministeriali; anzi, si è via via reincarnata in molteplici  “buone novelle” destinate a “modernizzare” la scuola: la programmazione maniacale degli obbiettivi didattici, il morattiano “portfolio delle competenze” (presto abbandonato al suo destino), l’orientamento come chiave di volta di tutta la didattica, l’idolatria per l’informatica, l’abbandono dell’insegnamento a favore della facilitazione dell’apprendimento, per citarne solo alcune. Ma è proprio la libertà nella didattica la sola garanzia che ogni insegnante dia il meglio di sé, in quanto può scegliere l’approccio migliore a seconda dell’argomento e della classe che ha davanti, che sia però anche in armonia con le sue attitudini e il suo temperamento. In altre parole, se può insegnare nel modo che più gli si confà. Senza dubbio è essenziale conoscere diversi metodi, per averli studiati e soprattutto sperimentati durante la propria formazione iniziale e, in seguito, attraverso il confronto con i propri colleghi; altra cosa sarebbe l’imposizione di una didattica ministeriale. Quindi, “uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale ” non può voler dire che si punta a un corpo insegnante fatto con lo stampino, ma garantire a tutti gli studenti degli insegnanti adeguati, anche se differenti per lo stile didattico. Cosa che oggi non è, essendo universalmente noto che ci dobbiamo tenere anche quelli pessimi (e spesso, aggiungiamo, irrecuperabili). E su questo “La Buona Scuola”, che molto parla di merito, non dice nulla.
Possiamo però concedere il beneficio del dubbio a Renzi&Giannini, dato che questa affermazione dirigista, tendente all’omologazione dei docenti, convive nelle stesse pagine con una linea di pensiero che riguarda l’aggiornamento e che sembra contraddirla. C’è una critica molto netta delle occasioni formative che vengono in genere proposte ai docenti, “troppo spesso frontali, poco efficaci e in genere non partecipate”, in cui raramente si incoraggia “un confronto interattivo”.  La formazione continua, inoltre, “non potrà essere calata dall’alto, ma dovrà essere definita a livello di Istituto. Inoltre dovrà fondarsi sul superamento di approcci formativi a base teorica” ma essere incentrata “sulla forma esperienziale tra colleghi”. Asserzioni non molto lontane da quanto abbiamo sostenuto in più occasioni: la base dell’aggiornamento (senza escludere altre forme e apporti) deve essere il confronto di idee e di esperienze tra colleghi con il metodo seminariale, cioè tra pari, e nascere dalle loro  reali esigenze. I metodi si devono affermare perché si rivelano efficaci, non perché vengono imposti. A queste condizioni, l’impegno etico-deontologico di aggiornarsi potrà essere percepito più come occasione per crescere (e far crescere) professionalmente e ricavare anche maggiore soddisfazione dal proprio lavoro, che come un obbligo a cui sottoporsi obtorto collo. In altre parole, se aggiornarsi è un dovere (per tutte le professioni), il problema non è il “se”, ma il “come”.
L’ambiguità delle linee-guida su questo delicatissimo punto dovrà essere sciolta. È interesse dei docenti far sentire la propria voce perché la ricchezza costituita dalla compresenza di diversi metodi e stili di insegnamento venga tutelata e non compressa in qualche forma di ortodossia.

lunedì 15 settembre 2014

PUNIRE: SADISMO O EDUCAZIONE?

Anni fa una mia preside organizzò una giornata di riflessione sul tema delle punizioni. In vista dell’ottima iniziativa furono fornite due letture propedeutiche, entrambe sul “sadismo pedagogico”. Sono passati quindici anni. Certamente l’educazione permissiva ha perso terreno, essendosi rivelata nemica di un sano sviluppo psichico. Ma ancora in troppi cervelli parole come “autorità”, “rigore” e soprattutto “punizione” (e anche la più neutra “sanzione”) suscitano sinistre associazioni: autoritarismo, fascismo, caserma, riformatorio, repressione; a meno che non si tratti di evasione fiscale, sicurezza sul lavoro, colpe dei politici e qualche altro tema socialmente e politicamente “sensibile”. In realtà nessuno pensa di basare l’educazione  e la vita civile solo sulle punizioni; anzi, possiamo dire con Beccaria che la certezza e la prontezza della pena, e non una sua particolare durezza, costituirebbero la migliore prevenzione dei cattivi comportamenti e dunque una minore necessità di punire. A questo proposito, mi sembra utile recuperare un bell'intervento di Claudio Magris che risale all’agosto del 2007: Elogio del saper punire.  (Giorgio Ragazzini)

venerdì 12 settembre 2014

LA SCUOLA RIAPRE CON LE INCOGNITE DELLA RIFORMA

(Da “La Repubblica Firenze” di oggi)
Una volta tanto la riapertura delle scuole non è giornalisticamente dominata dal caro libri e dal peso degli zainetti. Si parla molto, invece, della “Buona Scuola”, cioè dell’ambizioso progetto illustrato da Renzi. Difficile dire quanto questo inciderà sull’andamento dell’anno scolastico. Di certo se ne discuterà molto. È probabile un’impennata del numero di assemblee sindacali, soprattutto sul nodo delle retribuzioni. E già qualche minoranza studentesca annuncia una dura quanto disinformata protesta contro la presunta privatizzazione della scuola, per via dei possibili finanziamenti da parte delle aziende. C’è comunque l’intenzione di tenere “la più grande consultazione – trasparente, pubblica, diffusa, on line e offline – che l’Italia abbia mai conosciuto finora”. Il governo non vuole cioè calare la riforma dall’alto, ma fare di tutto per raccogliere suggerimenti. Sarà una cosa seria e non una baraonda democraticistica a due condizioni. La prima è che ciascuna categoria interessata si pronunci su ciò che è di sua competenza. È fuori luogo, ad esempio, chiedere agli studenti quello che vogliono studiare, come ha detto il Presidente del Consiglio. La seconda è che non si risolva solo in riunioni, forum, invii di mail, con la pratica difficoltà di tenere conto di decine di migliaia di pareri, ma sia integrata da un’indagine più strutturata con domande precise, come i questionari che furono proposti ai cittadini sulle riforme istituzionali.
Molta la carne al fuoco. Con la maxi-assunzione di precari si spera di eliminare il precariato, ma è indispensabile che l’anno di prova sia una cosa seria e non una pura formalità come quasi sempre succede. Riconoscere il merito è fondamentale, ma è inaccettabile farlo con aumenti stipendiali periodici riservati solo a due docenti su tre in ogni scuola, a prescindere dal numero effettivo dei meritevoli. Positiva invece l’attenzione al rapporto tra scuola e lavoro, anche se le proposte sono più che altro un primo passo. Giustissimo il rilievo dato all’aggiornamento tra “pari”, cioè allo scambio sistematico di idee ed esperienze tra insegnanti. Assenti invece due temi fondamentali: il problema di come intervenire sui docenti inadeguati e la necessità di una scuola più esigente sul comportamento degli allievi. Afferma l’Ocse: “La disciplina della classe sembra avere grande influenza sul livello degli apprendimenti”.
Giorgio Ragazzini

lunedì 8 settembre 2014

UNA BUONA SCUOLA? Capitolo 1: Le assunzioni

Molti dei progetti governativi illustrati nel dossier “La buona scuola” riguardano gli insegnanti. L’operazione più vistosa è senz’altro la contemporanea assunzione in pianta stabile dei 148.000 che nel settembre 2015 dovrebbero risultare inseriti nelle graduatorie a esaurimento. Di questi, secondo il testo, circa 25.000 sono vincitori o dichiarati idonei nel concorso del 2012. Tutti gli altri sono colleghi che hanno lavorato, anche per molti anni, come supplenti. La decisione è stata accolta da molti comprensibili consensi, ma anche da forti riserve. Tra gli altri, Giovanni Belardelli sul “Corriere della Sera” dice: “ Il ministro avrebbe avuto il compito di spiegare in che senso l’assunzione in massa di precari (a scapito, evidentemente, di altri, più giovani, aspiranti insegnanti) corrisponderebbe a quel principio del merito che si vorrebbe fosse un caposaldo della grande riforma”. Certo che, di fronte alla situazione creatasi nel tempo, è difficile per il governo non comportarsi un po’ come un curatore fallimentare, che, lungi dal poter far tornare le cose allo status quo ante, può soltanto prendere le decisioni meno ingiuste rispetto ai vari interessi in gioco. Ma qualcosa si può e si deve fare almeno per evitare che eventuali docenti inadeguati si aggiungano a quelli che già si trovano negli organici (per lo più indisturbati). Lo strumento ci sarebbe, ed è l’anno di prova a cui i nuovi assunti si devono sottoporre e che si conclude con una relazione e un colloquio del candidato di fronte a una commissione di valutazione formata dal dirigente e da due colleghi eletti dal Collegio docenti. Nella grande maggioranza dei casi, però, conformemente all’italica allergia al rigore e alla responsabilità, la cosa viene trattata come una pura formalità, con la consueta collusione, per omissione di controlli, dell’apparato ministeriale. Nei rari casi in cui l’anno di prova non viene superato, lo si fa ripetere l’anno successivo in un’altra scuola e alla fine anche i peggiori ce la fanno. Di conseguenza, tra tanti sbandierati diritti, gli studenti italiani non hanno mai avuto la certezza di incontrare maestri e professori all’altezza del loro compito. Si può allora chiedere al Ministro Giannini e al Presidente del Consiglio di rottamare anche questa consuetudine e di rendere veramente rigorosa la prova, possibilmente integrando le commissioni con un funzionario degli uffici scolastici provinciali o regionali?

domenica 7 settembre 2014

IMBROGLIARE A SCUOLA. UNO STUDIO SUL “CHEATING” IN ITALIA

Dal sito Quattrogatti.info segnaliamo un interessante lavoro di Lorenzo Newman sul “cheating”, che significa “imbrogliare” e si riferisce soprattutto ai ragazzi che copiano e ai docenti che copiano dai compagni o dai docenti durante test ed esami. Leggi. 

lunedì 1 settembre 2014

RIDATECI IL SILENZIO: ALTRE TESTIMONIANZE

Dopo quelle pubblicate il 7 luglio, ecco altre testimonianze sulla distruzione della quiete pubblica arrivate successivamente. Leggi.