martedì 26 gennaio 2016

LETTERA APERTA ALLA MINISTRA MADIA

Gentilissima Ministra Madìa,
complimenti per le misure che sta prendendo per tutelare la Pubblica amministrazione dai disonesti che purtroppo non mancano, anche perché da sempre protetti da una cultura politica e sindacale improntata all’assenza di senso dello Stato e del bene pubblico. E grazie per aver ricordato che la stragrande maggioranza di coloro che sono al servizio della comunità fa il proprio dovere, spesso al di là dei propri compiti e del proprio stipendio. Certo, quelli che hanno dato il cattivo esempio, essendo per fortuna una minoranza, avrebbero dovuto già da tempo essere identificati e cacciati dalla Pubblica amministrazione. Invece le cose sono andate diversamente e anche questo ha contribuito a consolidarne il senso di impunità. Nella mia esperienza personale di insegnante non mancano esempi di funzionari e docenti che si vantavano del loro pessimo comportamento, da loro considerato espressione di furbizia e cinica abilità nell’aggirare le leggi, che sarebbero solo per i poveri fessi.
Quello che fa più indignare è l'aver constatato, in oltre quarant'anni di servizio nella scuola, che mai o quasi vengono ricordati con chiarezza i diritti e i doveri del personale scolastico, in particolare di quello docente. Di fronte a gravi inadeguatezze sia sul piano della correttezza che delle capacità professionali, quasi sempre il massimo che si possa ottenere con grande fatica è il trasferimento da una scuola all’altra. E non si tratta ovviamente di una soluzione. Per quanto riguarda la puntualità, che è collegata ai doveri di sorveglianza, i docenti non hanno neanche l'obbligo di timbrare il cartellino, che può essere attivato solo se le RSU interne si dichiarano d'accordo. Da quel che mi risulta ciò avviene in casi del tutto sporadici. Da insegnante ho sempre preteso di utilizzare il badge sia per rispetto del personale Ata obbligato ad usarlo, sia per facilitare il compito del dirigente di controllare la puntualità mia e dei miei colleghi. L’argomento che viene opposto in proposito da molti docenti e soprattutto dai sindacati è che testimoni della loro presenza sono i ragazzi stessi e che infine spetta al dirigente sorvegliare e scoprire i neghittosi. Ma in una scuola che è sempre più complessa e generalmente composta da centinaia di dipendenti spesso distribuiti su tre o quattro sedi, un controllo effettivo da parte del preside è pressoché impossibile.
Naturalmente una diffusa indulgenza verso i cattivi comportamenti, quando non è connivenza, permette che questi si incancreniscano e solo in casi eclatanti può avvenire che siano gli studenti, vincendo le loro paure di ritorsioni, a segnalare gli abusi. Inoltre, per esperienza diretta, stavolta da dirigente, posso certificare l’esistenza di una mentalità che mira a considerare autoritario o prepotente il preside che interviene con i mezzi (scarsi) a sua disposizione. Per molti benpensanti, infatti, dovrebbe essere in grado, se è davvero un bravo leader, di impedire i comportamenti sbagliati grazie al suo prestigio e alle sue capacità. D’altra parte non mancano miei colleghi che si guardano bene dall'intervenire; in certi casi per quieto vivere, in altri perché sanno che si imbarcherebbero in conflitti per cui sono necessarie competenze legali almeno pari a quelle degli avvocati che tutelano chi è sottoposto a provvedimenti disciplinari.
Lei capisce che in una situazione di questo tipo è ben difficile che venga trasmessa la consapevolezza di una responsabilità personale dalla quale non si può né si deve prescindere. E questo dovrebbe valere in ciascun campo lavorativo, figuriamoci poi se questo campo è al servizio della comunità tutta.
Infine, per rendere più evidente quanto lavoro ci sia ancora da fare, come dirigente mi preme di farLe presente che l’Amministrazione scolastica non si è mai preoccupata di formarci in materia di problemi disciplinari e di conflitti col personale né in occasione di un concorso serio e selettivo, come quello con cui sono stato assunto, né in sede di aggiornamento. Possiamo sperare, nell’interesse della scuola, che cambi qualcosa?
Con sentiti auguri di buon proseguimento del suo lavoro.
Valerio Vagnoli
 (da “Orizzonte Scuola”)

lunedì 18 gennaio 2016

FIRENZE, UN CONVEGNO SULLA QUIETE PUBBLICA

Un anno e mezzo fa decidemmo di lanciare un appello intitolato "RIDATECI IL SILENZIO. Contro la distruzione della quiete pubblica". Non è un tema strettamente scolastico, ma ha evidenti implicazioni educative. Il documento ebbe numerosissime adesioni, comprese quelle di personalità molto note. Da allora abbiamo continuato a lavorare con un'associazione che si occupa specificamente di questo problema e aggiornato via via le persone interessate attraverso una specifica pagina facebook, seguita anche da una parte dei lettori di questo blog. Il prossimo 12 febbraio ci sarà un incontro-dibattito a Firenze, di cui pubblichiamo qui sotto il programma. Vi aspettiamo.

venerdì 8 gennaio 2016

I DATI EUROSTAT E IL FUTURO DI SCUOLA E UNIVERSITÀ

È di questi giorni la notizia che in Italia solo uno studente su due, secondo i dati Eurostat, trova lavoro entro tre anni dalla laurea. La notizia non stupisce. Gli insegnanti e i presidi che hanno mantenuto rapporti con i loro ex allievi, come chi conosce le vicende dei propri figli o di quelli degli amici, sanno da anni che spesso la laurea ottenuta in Italia non garantisce un bel nulla. O meglio, in molti casi costringe ex ragazzi sulla soglia dei trent'anni e oltre a misurarsi con mestieri mai presi in considerazione. 
Non sto ad elencare tutte le cause di questa poco invidiabile situazione, a partire dalla crisi economica. Vorrei però sottolineare quella, a mio avviso, principale, e cioè la rovinosa riforma delle università a firma Berlinguer, varata anche grazie all’ignavia diffusa e trasversale delle forze politiche e culturali italiane.  Infatti la cosiddetta laurea breve ha portato nel giro di pochissimi anni al precipitare della qualità degli studi e al proliferare degli indirizzi. Molti corsi triennali si sono caratterizzati  (e si caratterizzano) per trasmettere conoscenze  e competenze  neanche degne delle scuole superiori pre-berlingueriane. Moltissime "tesine" triennali sono indecorose e assolutamente non in grado di far approfondire un argomento, né di creare un metodo di ricerca.
Mi sembra anche fuori discussione che le scuole superiori, a loro volta, non sono spesso in grado, per come sono strutturate, di creare giovani responsabili, preparati nelle materie d'indirizzo, formati in laboratori efficienti e affidati a docenti selezionati in maniera almeno decorosa. Non a caso la situazione dei diplomati in vista del lavoro è ancora peggiore di quella dei laureati: meno uno su tre lo trova entro tre anni dalla fine degli studi.
Il fatto poi che i più sentiti dibattiti intorno alla scuola si sviluppano pro o contro le occupazioni o sull’opportunità o meno di una seria applicazione delle regole è esso stesso specchio lampante della situazione. Né, rispetto alla deriva del sistema scolastico e formativo italiano, è esente da colpe il mondo economico, o almeno la gran parte di esso. A sua parziale discolpa, va detto che solo di recente è stato coinvolto dalla classe politica nel lavoro per migliorare il rapporto fra scuola e lavoro, non senza marcate resistenze da parte di settori politici e sindacali. Lo stesso Berlinguer, e prima di lui i "riformatori" dei primi anni '90, decantava una scuola che trasmettesse una cultura generale  finalizzata essenzialmente a formare "teste ben fatte", tanto ci avrebbe poi pensato il mondo del lavoro a specializzarle nel più breve tempo possibile.
Ora che le statistiche non lasciano adito a interpretazioni di sorta, il governo e il parlamento devono prendere senza indugi misure radicali. Tra queste innanzitutto l’abolizione di gran parte dei corsi di laurea triennali contemporaneamente a una rapida diffusione degli Istituti Tecnici Superiori (scuole post secondarie ad alta specializzazione tecnologica). Occorre inoltre dare precise informazioni sugli indirizzi universitari che destinano la stragrande maggioranza dei loro laureati alla disoccupazione. Sarebbe anche utile predisporre un piano di aggiornamento per i docenti universitari sugli aspetti metodologici e relazionali dell’insegnamento. Per quanto riguarda le scuole medie e superiori è urgentissimo tornare a rendere obbligatori almeno una parte dei programmi e rendere più stringente la verifica del possesso delle principali competenze di base, a cominciare dall’italiano scritto e dalla matematica. Ed infine si elimini, nei tecnici e nei professionali,  l’eccesso di discipline, spesso inutili se non dannose, perché impediscono ai ragazzi di concentrarsi sulle competenze strettamente legate all'indirizzo scelto.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 8 gennaio 2016)