("il Sussidiario.net", 2 agosto 2020)
Negli ultimi anni, a partire dalla riforma Gelmini delle superiori (2010), sono circolati molti accorati appelli per “ripristinare” la storia dell’arte “cancellata” nella scuola italiana e altrettanti articoli di studiosi e intellettuali che stigmatizzavano la condizione dell’insegnamento di questa disciplina nel nostro paese, descritto come ormai agonizzante.
Si inserisce in questa tradizione anche un recente articolo del prof. Vincenzo Trione sul Corriere della Sera, in risposta alla lettera di una studentessa dell’Università di Urbino. Trione ricorda che l’insegnamento della storia dell’arte “fu inserito nei licei classici dal ministro–filosofo Giovanni Gentile nella riforma del 1923. Nel corso dei decenni, quel visionario provvedimento è stato sempre più svilito, spogliato, svuotato di ogni dignità”. Un’affermazione che, per inciso, non ha alcun riscontro con la realtà storica, dato che con le numerose riforme del dopoguerra la presenza della storia dell’arte nella scuola è costantemente aumentata, fino alla riforma Gelmini, che Trione definisce “uno dei momenti più recenti di questa lenta eutanasia”, e di cui elenca (in modo inesatto) i “tagli” alla disciplina.
Dunque c’è stata o no questa “cancellazione” della storia dell’arte nella secondaria superiore? Per quanto riguarda i licei l’insegnamento è presente in tutti gli indirizzi. Nel liceo classico la storia dell’arte è stata rafforzata, con 2 ore settimanali nel triennio (un’ora in più in terza e in quarta). Il liceo artistico ha 3 ore settimanali nell’intero quinquennio, come prima della riforma; il liceo linguistico e quello delle scienze umane, inclusa l’opzione economico–sociale, 2 ore settimanali nel triennio; il liceo musicale (di nuova istituzione) 2 ore in tutto il quinquennio. Invariata la situazione del liceo scientifico, compresa l’opzione delle scienze applicate, con due ore settimanali di disegno e storia dell’arte tanto nel biennio che nel triennio.
Certamente in alcuni casi si potrebbe migliorare. Sarebbe importante, per esempio, che nel liceo classico la disciplina fosse presente anche nel ginnasio, affiancando allo studio della storia antica quello della relativa produzione artistica, come era in alcune sperimentazioni che esistevano prima della riforma, tenendo però presente che non solo la storia dell’arte ma quasi tutte le altre materie si ritengono penalizzate e rivendicano più ore.
Per quanto riguarda la riforma dei tecnici e dei professionali, elaborata da un’altra commissione già istituita dal ministro Fioroni e poi confermata dalla Gelmini, è stata certamente sbagliata l’eliminazione della storia dell’arte dal primo biennio dell’istituto tecnico per il turismo, un indirizzo di studi dove è evidentemente una materia fondamentale, anche se rimangono due ore settimanali di “arte e territorio” in terza, quarta e quinta. E si doveva finalmente prevedere delle ore di storia dell’architettura negli istituti tecnici per i geometri, che al termine degli studi sono abilitati a progettare. Quanto ai professionali, la storia dell’arte, o meglio la storia delle arti applicate, andava senza dubbio prevista negli indirizzi come moda o grafica pubblicitaria, come un’indispensabile base culturale.
Quella degli istituti professionali è d’altra parte una pessima riforma anche per altri e più gravi motivi, soprattutto per la riduzione ai minimi termini delle ore di laboratorio, che sono, o dovrebbero essere, l’asse portante della didattica.
Insomma una critica ragionata alla riforma è ovviamente legittima, ma non è giustificabile la fuorviante drammatizzazione che questi giudizi hanno in comune circa la situazione complessiva della storia dell’arte nella scuola italiana, che al contrario mi risulta essere una delle pochissime in Europa, se non addirittura l’unica, a prevedere uno specifico insegnamento storico della materia. In Francia, citata da Trione come esempio virtuoso nel confronto con l’Italia, in realtà la storia dell’arte è stata introdotta solo nel 2008 e non come insegnamento a sé stante, ma trasversale a più discipline.
In Italia già nella scuola primaria si insegna “arte e immagine”, all’interno di una didattica fondamentalmente laboratoriale dove “l’alunno sviluppa le capacità di osservare, descrivere, leggere e comprendere criticamente le opere d’arte”, come si legge nelle Indicazioni nazionali. Arte e immagine si insegna, con due ore settimanali, anche nella scuola media, al termine della quale lo studente deve, fra l’altro, “possedere una conoscenza delle linee fondamentali della produzione artistica dei principali periodi storici del passato e dell’arte moderna e contemporanea”. Delle scuole superiori abbiamo già detto.
In conclusione mi sembra che chi dipinge come disastrosa la situazione della storia dell’arte in Italia, forse per una superficiale conoscenza dei dati di realtà o per la vocazione alla polemica e al lamento che spesso caratterizza da noi il dibattito pubblico, rischi di danneggiare ulteriormente la credibilità della scuola italiana, anziché spingerla a migliorarsi.
Andrea Ragazzini (“ilSussidiario.net”, 31 luglio 2020)
("il Sussidiario.net", 2 agosto 2020)
Negli ultimi anni, a partire dalla riforma Gelmini delle superiori (2010), sono circolati molti accorati appelli per “ripristinare” la storia dell’arte “cancellata” nella scuola italiana e altrettanti articoli di studiosi e intellettuali che stigmatizzavano la condizione dell’insegnamento di questa disciplina nel nostro paese, descritto come ormai agonizzante.
Si inserisce in questa tradizione anche un recente articolo del prof. Vincenzo Trione sul Corriere della Sera, in risposta alla lettera di una studentessa dell’Università di Urbino. Trione ricorda che l’insegnamento della storia dell’arte “fu inserito nei licei classici dal ministro–filosofo Giovanni Gentile nella riforma del 1923. Nel corso dei decenni, quel visionario provvedimento è stato sempre più svilito, spogliato, svuotato di ogni dignità”. Un’affermazione che, per inciso, non ha alcun riscontro con la realtà storica, dato che con le numerose riforme del dopoguerra la presenza della storia dell’arte nella scuola è costantemente aumentata, fino alla riforma Gelmini, che Trione definisce “uno dei momenti più recenti di questa lenta eutanasia”, e di cui elenca (in modo inesatto) i “tagli” alla disciplina.
Dunque c’è stata o no questa “cancellazione” della storia dell’arte nella secondaria superiore? Per quanto riguarda i licei l’insegnamento è presente in tutti gli indirizzi. Nel liceo classico la storia dell’arte è stata rafforzata, con 2 ore settimanali nel triennio (un’ora in più in terza e in quarta). Il liceo artistico ha 3 ore settimanali nell’intero quinquennio, come prima della riforma; il liceo linguistico e quello delle scienze umane, inclusa l’opzione economico–sociale, 2 ore settimanali nel triennio; il liceo musicale (di nuova istituzione) 2 ore in tutto il quinquennio. Invariata la situazione del liceo scientifico, compresa l’opzione delle scienze applicate, con due ore settimanali di disegno e storia dell’arte tanto nel biennio che nel triennio.
Certamente in alcuni casi si potrebbe migliorare. Sarebbe importante, per esempio, che nel liceo classico la disciplina fosse presente anche nel ginnasio, affiancando allo studio della storia antica quello della relativa produzione artistica, come era in alcune sperimentazioni che esistevano prima della riforma, tenendo però presente che non solo la storia dell’arte ma quasi tutte le altre materie si ritengono penalizzate e rivendicano più ore.
Per quanto riguarda la riforma dei tecnici e dei professionali, elaborata da un’altra commissione già istituita dal ministro Fioroni e poi confermata dalla Gelmini, è stata certamente sbagliata l’eliminazione della storia dell’arte dal primo biennio dell’istituto tecnico per il turismo, un indirizzo di studi dove è evidentemente una materia fondamentale, anche se rimangono due ore settimanali di “arte e territorio” in terza, quarta e quinta. E si doveva finalmente prevedere delle ore di storia dell’architettura negli istituti tecnici per i geometri, che al termine degli studi sono abilitati a progettare. Quanto ai professionali, la storia dell’arte, o meglio la storia delle arti applicate, andava senza dubbio prevista negli indirizzi come moda o grafica pubblicitaria, come un’indispensabile base culturale.
Quella degli istituti professionali è d’altra parte una pessima riforma anche per altri e più gravi motivi, soprattutto per la riduzione ai minimi termini delle ore di laboratorio, che sono, o dovrebbero essere, l’asse portante della didattica.
Insomma una critica ragionata alla riforma è ovviamente legittima, ma non è giustificabile la fuorviante drammatizzazione che questi giudizi hanno in comune circa la situazione complessiva della storia dell’arte nella scuola italiana, che al contrario mi risulta essere una delle pochissime in Europa, se non addirittura l’unica, a prevedere uno specifico insegnamento storico della materia. In Francia, citata da Trione come esempio virtuoso nel confronto con l’Italia, in realtà la storia dell’arte è stata introdotta solo nel 2008 e non come insegnamento a sé stante, ma trasversale a più discipline.
In Italia già nella scuola primaria si insegna “arte e immagine”, all’interno di una didattica fondamentalmente laboratoriale dove “l’alunno sviluppa le capacità di osservare, descrivere, leggere e comprendere criticamente le opere d’arte”, come si legge nelle Indicazioni nazionali. Arte e immagine si insegna, con due ore settimanali, anche nella scuola media, al termine della quale lo studente deve, fra l’altro, “possedere una conoscenza delle linee fondamentali della produzione artistica dei principali periodi storici del passato e dell’arte moderna e contemporanea”. Delle scuole superiori abbiamo già detto.
In conclusione mi sembra che chi dipinge come disastrosa la situazione della storia dell’arte in Italia, forse per una superficiale conoscenza dei dati di realtà o per la vocazione alla polemica e al lamento che spesso caratterizza da noi il dibattito pubblico, rischi di danneggiare ulteriormente la credibilità della scuola italiana, anziché spingerla a migliorarsi.
Andrea Ragazzini (“ilSussidiario.net”, 31 luglio 2020)
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