“Orizzonte Scuola”, 9 agosto 2015 – Purtroppo
la disoccupazione giovanile, dopo alcuni mesi di timida ripresa forse legata
alle pur importanti misure governative sul lavoro, ha ripreso a crescere. E
temo che ciò sia destinato a confermarsi nel tempo se non porremo i ripari alla
necessità di ricostruire il legame tra il mondo del lavoro e i giovani che in
Italia si è rotto da qualche decennio.
Da quando, cioè, con
responsabilità trasversali di tutti gli orientamenti politico-culturali del
Paese, si è demonizzato il lavoro, in particolare quello manuale, in quanto si
è pensato che le magnifiche sorti e progressive sarebbero state assicurate da
una cultura liceale, e possibilmente universitaria, aperta a tutti.
Gli ideologi, a parole,
del progresso, forse si illudevano che attraverso questa struttura della
scuola sarebbe avvenuto finalmente il riscatto delle masse proletarie alle
quali, da sempre, era stata preclusa la formazione liceale quella che, un
tempo, assicurava l’appartenenza alla classe dirigente. Insomma, la scuola,
come è tipico dei regimi e non delle democrazie, doveva servire a creare dei
cittadini modellati su una visione univoca della cultura e della formazione
eliminando quello che è il vero scopo della scuola in una democrazia:
intercettare le vocazioni dei ragazzi e aiutarle a realizzarsi anche se
orientate verso il lavoro manuale, perché la loro felicità e la loro
affermazione nella vita passa dal fare bene e volentieri quello che scelgono di
fare: ciascun lavoro ben fatto, qualunque esso sia, è sempre il frutto di un uomo
ben fatto. Invece questo tipo di
formazione e questa attenzione nei confronti del mondo del lavoro è stata
esorcizzata ed esecrata in ogni modo. L’esperienza pratica è inesistente
nella scuola elementare e nella media le ore di educazione tecnica si svolgono
solitamente nelle aule normali perché i laboratori sono stati anch’essi
banditi dalle scuole pensando che sarebbero stati sostituiti da quella sorta di
mantra pedagogico che nella vulgata formativa di questi anni è diventata, o
dovrebbe diventare, la didattica laboratoriale. Gli istituti
professionali di Stato sono talmente lontani dal dare ai ragazzi una vera
formazione professionale da rappresentare oramai una vera e propria fucina per
riempire certi indirizzi universitari inutili e destinati in generale
a sfornare futuri disoccupati e non a formare ragazzi preparati e
motivati ad entrare nel mondo del lavoro, a testa alta e con responsabilità.
Anche nella vita
quotidiana, magari in quella delle vacanze, ad un adolescente o ad un giovane
che lo volesse fare è pressoché reso impossibile, anche per la stupidità
di molta burocrazia, poter svolgere uno qualsiasi di quei lavoretti che
tantissimi della mia generazione hanno avuto la fortuna di poter svolgere: dal
barista estivo al vendemmiatore autunnale, dalla babysitter, al
magazziniere o al raccoglitore di angurie e pomodori. Erano esperienze,
sebbene svolte purtroppo in regime di sfruttamento, che tuttavia servivano ad
orientarci, a valorizzare il lavoro manuale e gli adulti che lo svolgevano.
In compenso, da molti
anni, nell’indifferenza di tutti e perfino delle stesse forze sociali e
sindacali, come ha ben messo in evidenza, l’altro giorno su Sette, Gianantonio
Stella, molti di questi lavori manuali sono svolti in condizioni di
autentica schiavitù da parte degli immigrati.
La società del bengodi
che sembrava accompagnare la vita delle generazioni future si è da
tempo dileguata ed è compito anche della scuola aiutare i ragazzi a fare
i conti con la realtà e con il lavoro che forse cresce se vi è anche la consapevolezza della sua importanza e di come sia altrettanto importante
affrontarlo con responsabilità e preparazione. Perché questo
accada, le pur innovative misure prese dal governo in merito
all'alternanza scuola-lavoro non sono sufficienti. Occorre, insomma,
trasformare radicalmente i nostri istituti professionali ridando loro una
precisa identità, quella identità che un tempo li caratterizzava e che, non a
caso, è stata recuperata dal modello trentino che funziona, eccome se funziona.
Valerio Vagnoli
9 commenti:
Sono convinto anche io che si debba iniziare a togliere dalla strada e dalle discoteche una impressionante moltitudine di ragazzi e ragazze che a sedici anni si sente già vecchia, senza prospettiva, senza futuro, senza iniziative. Le famiglie ridotte a bancomat più o meno generosi. Non si può assistere indifferenti a tale sfacelo, a ragazzi che iniziano a stordirsi a dodici anni. Cerchiamo di restituirgli amor proprio, voglia di cimentarsi.Devo ammettere di aver cambiato idea in questi ultimi tempi e come operatore nella scuola mi adopererò perchè si avvii una inversione di tendenza molto salutare per i nostri giovani.
Leggo che un precario su cinque rinuncia al ruolo. Buon inizio per la Buona Scuola.
Sono pienamente d'accordo con quanto scritto da Vagnoli. La scuola non deve formare solo le classi dirigenti o intellettuali, ma anche avviare i giovani dei professionali a tutta una serie di lavori ed occupazioni che oggi nessuno vuole più svolgere perché tutti sono diplomati o laureati e pretendono di fare una professione di alto livello, ben pagata e magari sottocasa. Quando sento certi intellettualoidi lamentarsi perché da noi ci sarebbero pochi laureati, io ritengo invece che siano fin troppi: abbiamo tanti ingegneri, medici, architetti, professori e avvocati che restano disoccupati perché sono troppi e manca il lavoro per loro, mentre non abbiamo iù meccanici, falegnami, idraulici, carpentieri ecc, tanto che questi lavori sono quasi sempre svolti da extracomunitari. In alcune città, se a qualcuno si buca la suola di una scarpa, è costretto a comprarsene un paio nuove, perché non ci sono più calzolai e ciabattini, sono tutti dottori! E la colpa di tutto ciò è del '68 e della politica di sinistra, che ha voluto la scuola di massa - con promozione diploma e laurea assicurati - pensando così di riscattare le classi subalterne, ma in realtà danneggiandole, perché con tutti questi diplomati e laureati aumenta la disoccupazione e trovano lavoro solo i raccomandati ed i figli dei potenti e degli ammanicati.
Io personalmente trovo che anche la scuola media unica sia stata un errore; era molto meglio prima, quando esisteva l'avviamento al lavoro che preparava gli studenti meno dotati o meno volenterosi a svolgere quelle occupazioni di cui c'è ancora tanto bisogno in società ma che nessuno oggi vuole più svolgere.
In Trentino sembra che va solo un pochino meglio?
Premetto che diffido molto delle statistiche e che la mia è una valutazione superficiale.
In Italia: Disoccupazione giovanile, nuovo record: è al 44,2%.
In Trentino sembra che va solo un pochino meglio
Occupazione (Fonte: Osservatorio del mercato del lavoro 2014 a 18 mesi dalla conclusione del percorso scolastico)
tasso di attività (indica quanti giovani si mettono sul mercato del lavoro): qualificati 82%, diplomati 86,7%
tasso di occupazione (indica quanti fra i giovani attivi hanno un lavoro): qualificati 50,7%, diplomati 68,4%
tasso di occupazione coerente con il percorso scolastico intrapreso: qualificati 30,4%, diplomati 48,5%
tasso di disoccupazione: qualificati 38,2%, diplomati 21,1%
IL SISTEMA DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE SCOLASTICA TRENTINA
Massimo Rossi: "non abbiamo iù meccanici, falegnami, idraulici, carpentieri ecc, tanto che questi lavori sono quasi sempre svolti da extracomunitari."
non mi risulta la mancanza di meccanici, falegnami, idraulici, (anche elettricisti) sostituiti quasi sempre extracomunitari. è la crisi che permane che ha ridotto queste attività.
risultano invece nell'edilizia diversi lavoratori dell'europa dell'est (rumeni, ucraini, ...) che vengono pagati di meno ma sono in numero inferiore agli italiani.
anche calzolai e ciabattini chiudono per riduzione del lavoro e per i bassi costi delle calzature nuove e non di pregio prodotte in asia.
Per Massimo Rossi:
il motivo principale per cui si deve comprare la scarpa nuova invece di farsela aggiustare da un ciabattino bravo, è che le scarpe (come pure tutto il resto) vengono prodotte APPOSITAMENTE per farle durare poco, in maniera che convenga di più comprarsele nuove piuttosto che farsele aggiustare.
Il che in parte coincide con quello che ha detto VP (parlando di prodotti più scarsi a causa dell'utilizzo massiccio di tecniche di produzione a basso costo e di materiali più scadenti), ma oltre a quello ci sarebbe un'osservazione in più.
Ossia, non è vero che la produzione di livello scarso sia fatta "solo" per risparmiare sui materiali e sulla manodopera, e che la breve durata del prodotto sia solo un effetto collaterale secondario di queste scelte: no, io intendo dire proprio che la durata breve è VOLUTA, proprio come caratteristica in sé, che è programmata apposta perché la gente butti via la roba al primissimo difetto e se la ricompri nuova invece di provare ad accomodarla.
Questo fenomeno non è nemmeno stato graduale nel corso di parecchi decenni, ma ha avuto un'impennata vertiginosa nell'arco di relativamente pochi anni.
Detto in esempi spiccioli di esperienza personale:
mesi fa mi è capitata una discussione informale in classe, con ragazzi di quinta liceo, a proposito dei consumi energetici e delle riparazioni domestiche.
La maggior parte di loro affermava di avere ancora in casa gli stessi elettrodomestici che risalivano all'epoca del matrimonio dei loro genitori, cioè 20 o 25 anni fa, diciamo intorno al 1990 o poco dopo.
Io ho messo su famiglia nel 2000, ossia circa 10 anni dopo rispetto a quella generazione... e da quando ho arredato la casa per la prima volta, ho già dovuto cambiare sia la lavatrice, sia il frigorifero, sia la lavastoviglie (per non parlare di oggetti più piccoli e meno impegnativi, tipo ferri da stiro o tostapane, che non durano veramente NULLA).
E sia chiaro che io sono anche una "decrescista" ecologica ed economica, per cui tante altre ricercatezze tecnologiche domestiche (tipo l'asciugatrice, o altre amenità del genere) non ce le ho proprio, e non le voglio.
Quasi tutti quelli che hanno arredato casa nel mio stesso periodo, sono messi come me, e sono abituati a pensare che sia normalissimo dover comprare la lavatrice nuova dopo 10 anni, e che anzi abbia già fatto miracoli e sia durata anche troppo... mentre quelli di dieci anni prima (NON mia madre o mia nonna, ma quelli di appena 10 anni prima di me) questo problema non se lo sono posto, o stanno appena cominciando a porselo adesso!
Siamo proprio sicuri che questo avvenga "perché nessuno vuole più fare il meccanico, l'elettricista, o il calzolaio", e non per altre ragioni molto più generali?
L.
Finalmente stanno scoprendo il bracciantato. Sembra d'essere tornati agli anni cinquanta del secolo scorso o all'inizio del '900. Giusto ricordare dove fossero i sindacati.E le forze dell'ordine? possibile che nessuna caserma dei carabinieri, della finanza e financo della polizia non sapesse cosa accadeva e accade nei campi? E l'ispettorato del lavoro da quelle parti cosa fa? Invece di scandalizzarsi, i politici locali e nazionali ( anch'essi dov'erano?) potrebbero indicarci coloro che hanno peccato di negligenza o di eventuale connivenza? Si sono fatte commissioni parlamentari per molto meno, forse una per la riduzione in schiavitù del genere umano potrebbe essere attivata. Che ne dite?
Siamo uomini o caporali?
http://www.lastampa.it/2015/08/21/italia/cronache/le-schiave-dei-caporali-ci-svegliamo-alle-tre-e-costiamo-euro-vycvWm8i1UcEDx0hN1xkwI/pagina.html
Ma che bella una società di nuovo divisa in classi, dove ciascuno "stia al suo posto"!
Il problema per gli "indigeni" non viene dalla concorrenza degli immigrati sulle posizioni lavorative a bassa professionalità, ma quando i giovani di seconda generazione o gli immigrati laureati faranno loro concorrenza sulle professionalità, medio alte....compreso l'insegnamento/formazione. Basterà per loro migliorare le competenze linguistiche, perchè per il resto sono - in genere- più motivati e disposti a impegnarsi!
Comunque nel contingente, sulla liceizzazione dei professionali e sugli errori di orientamento della scuola e della famiglia, concordo con Vagnoli, ma non facciamo del canale IeFP "complementare" un luogo di selezione e segregazione dei figli degli immigrati (visto che il loro rischio dispersione risulta doppio che per gli "indigeni") oppure per tornare a "mandare a lavorare" coloro che sono giudicati inadatti per gli studi. E' la scuola che deve cambiare didattica, ma troppi insegnanti (di destra e di sinistra) si ostinano a non voler capire che la società di massa, non chiede alla scuola (soprattutto nel primo ed inizio del secondo ciclo) di selezionare la classe dirigente, ma un lavoro apparentemente più umile, ma più impegnativo professionalmente, di far apprendere a tutti competenze di base e di cittadinanza, non sterili nozioni, solo per gratificare "pierino del dottore".
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