Il Ministro
dell’Istruzione Bussetti ha annunciato che le ore di alternanza scuola-lavoro
negli istituti superiori verranno diminuite, in misura diversa a seconda degli
indirizzi di studio. Nei licei sembra certo che verranno dimezzate (da 200 a
100), per gli istituti tecnici potrebbero forse essere ridotte da 400 a 300,
per i professionali la riduzione potrebbe essere solo del 10%. Il Ministro ha
motivato questa decisione con le notevoli difficoltà che molti istituti hanno
incontrato nel realizzare esperienze realmente qualificate, pur riconoscendo
che ci sono state diverse positive eccezioni. La cosa non ha suscitato reazioni
di alcun tipo nei partiti che aveva istituito l’alternanza.
A distanza di tre anni dall’approvazione della Legge 107 è
senz’altro opportuno fare il punto di questa esperienza, ma una volta di più la
decisione di cambiare, almeno a quanto ne sappiamo, non è accompagnata da una
spiegazione articolata, né sembra poggiare su una sistematica raccolta e su una
accurata analisi di dati, tale da consentire una seria valutazione dei
risultati nei diversi indirizzi di studio. Il
ministro ha fatto anche un accenno al rischio di “apprendistato gratuito”.
Sarebbe utile capire che cosa intendesse dire esattamente; e comunque l‘eventuale
problema si dovrebbe affrontare con opportuni controlli e con cambiamenti delle
linee guida, non riducendo le ore.
Cerchiamo comunque di fare il punto della situazione. La vera e
propria alternanza scuola-lavoro consiste nell’“alternare” l’apprendimento
scolastico di una professione a un tirocinio pratico presso un’azienda (uno
studio, un ente) relativo alla professione stessa. Riguarda quindi gli istituti
tecnici e professionali e, se ben condotta, può essere di grande utilità. Lo
dimostra, tra gli altri, l’esempio tedesco, anche se non trasferibile
integralmente in Italia. Nei licei, in particolare il classico e lo
scientifico, che per definizione sono propedeutici a studi universitari, non
sarebbe quindi appropriato definire “alternanza” una serie di esperienze
lavorative o di informazione in loco su alcune professioni o attività di vario
genere. Sarebbe più logico che i liceali ne potessero usufruire all’università,
quando in genere sono più delineati i possibili sbocchi professionali degli indirizzi
di studio. È vero che in certi casi le esperienze attualmente proposte possono
costituire, se correttamente impostate, un utile momento formativo sul piano
della crescita personale. È anche vero però che spesso non contribuiscono
all’approfondimento delle materie curricolari, mentre sottraggono tempo a un
già contenuto monte ore di insegnamento; e la cosa ha suscitato numerose
lagnanze fra i docenti di queste scuole. Si tratta peraltro di una critica
analoga a quella che è stata rivolta al moltiplicarsi dei progetti
extracurricolari, con relativa erosione delle ore di lezione.
Almeno per i licei, si potrebbero salvaguardare sia il tempo
scuola che la possibilità di vivere esperienze formative (che siano veramente
tali) collocando queste ultime nel periodo estivo o nel pomeriggio. Sarebbero
da privilegiare le attività di volontariato, soprattutto nelle associazioni che
si occupano di servizi alle persone. Al contrario di quanto accade nel rapporto
col mondo del lavoro, in cui non c’è sempre la convenienza – e quindi una reale
disponibilità – a ospitare degli studenti, qui si possono incontrare realmente
le necessità formative dei ragazzi e le esigenze delle associazioni. In altre
parole, è più facile che ci sia un reale interesse reciproco. Si tratta inoltre
di esperienze che possono far crescere i ragazzi sviluppando in loro il senso
di responsabilità e la sensibilità sociale.
Per i professionali e i tecnici (ma anche per i licei artistici)
l’alternanza appare essenziale (anche se andrebbe inserita in modo più armonico
nei piani orari), ma si dovrebbe tenere ben presente anche la fondamentale
importanza dei laboratori come luogo di apprendimento e quindi la necessità del
loro potenziamento in qualità e numero di ore. Relativamente ai professionali,
con la recente riforma si è purtroppo persa l’occasione di ridimensionare il
numero e il monte orario delle lezioni teoriche, aumentando allo stesso tempo
le ore di laboratorio. Viene invece scaricata sulle scuole la responsabilità di
utilizzare la flessibilità per ottenere questo risultato, ma sappiamo bene che
le resistenze dei collegi renderanno la cosa estremamente difficile.
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