Come andrà il prossimo settembre la riapertura delle scuole? E
l'anno scolastico potrà svolgersi in modo lineare o almeno senza troppi
problemi? Sono le domande che si pongono tutti quelli che hanno a che fare con
la scuola: gli studenti e i loro familiari, i docenti, i prèsidi, ai quali sono
state addossate non lievi responsabilità. “Senza troppi problemi” sarebbe,
dunque, già molto. Eppure da più parti
si sente affermare che è questa l’ora di un cambiamento radicale del nostro
sistema scolastico. Un cambiamento fatto di nuove e rivoluzionarie metodologie
didattiche, con il ripudio del “sadismo valutativo”, dei compiti a casa e di
tutto ciò che possa procurare agli allievi la più piccola ansia; a cominciare
da esami in cui sia possibile anche bocciare. Tra l’altro i numerosi ministri
degli ultimi vent’anni, insieme alla dirigenza ministeriale, hanno gettato la scuola
nel pressapochismo, nelle improvvisazioni di norme, di didattiche e di
regolamenti che hanno finito per snaturarla a tal punto che, per cambiarla
davvero, occorre tempo e ragionevolezza. E in molti studenti, soprattutto dei
cicli superiori, sembra crescere la convinzione che frequentarla serva solo ad
attendere un futuro che, invece, per molti di loro non ci sarà o si farà
desiderare a lungo. Ogni anno che passa, in effetti, l'avvenire dei nostri
ragazzi è sempre più incerto e molti ne hanno una prova tangibile all'interno
delle loro famiglie, con i genitori alle prese con la precarietà del lavoro e
con stipendi insufficienti per campare dignitosamente. Altrettanto spesso i
ragazzi usciti dalle superiori convivono con sorelle e con fratelli maggiori
disillusi e ridotti a cercare un senso alle loro esistenze essenzialmente
attraverso la connessione alla rete.
Lasciamo dunque da parte le velleità di fulminee palingenesi
metodologiche di una scuola sempre più piegata verso l'appiattimento e spesso
non in grado di aiutare i giovani a costruirsi un vero senso di appartenenza:
innanzitutto a una società che deve essere giusta in quanto accomunata da un obiettivo
comune e solido, quello della responsabilità e del rispetto nei confronti di se stessi e degli altri.
Perché il vero radicale cambiamento, questo sì a portata di mano purché ci
siano la convinzione morale e la volontà politica, è quello di far rispettare
con la massima fermezza le regole della convivenza civile. È ovvio che da sola
la scuola non può fare miracoli, ma deve provarci ad ogni costo. Una comunità
che transige sul rispetto reciproco non può lavorare come vorrebbe. Non
dobbiamo però accontentarci che a farlo siano solo i docenti più capaci e
appassionati. Come insegna il noto proverbio africano “per crescere un bambino ci vuole un intero
villaggio”, per il mondo scolastico
questo deve diventare una sorta di collettivo imperativo categorico, se davvero vogliamo
provare a salvare la scuola e contribuire a salvare questo Paese. Senza il
rispetto di quelle regole, e di quelle aggiuntive imposte dal Covid 19, si rischierebbe di
buttare al vento un altro anno scolastico; e di compromettere la formazione
culturale e civile di milioni di ragazze e ragazzi. Lo è già quella di
migliaia e migliaia di loro che conoscono la vita quasi solo in modo virtuale o
attraverso le notti trascorse tra alcool e droghe, nel teppismo e nel
divertimento disperato che coinvolge interi quartieri che di notte diventano
suburre e colpevolmente, come tutto il resto, tollerati da uno Stato sempre più
assente.
Intanto preoccupiamoci di questo. Le grandi riforme richiedono
tempo, educatori illuminati, politici capaci di vedere lontano e adeguati
investimenti. Il rispetto delle regole richiede solo insegnanti e dirigenti
responsabili e capaci di agire da buoni padri e madri di famiglia. Se dal
prossimo settembre il mondo della scuola iniziasse a recuperare queste esigenze
elementari, e proprio per questo fondamentali, si potrà dire che davvero si è
aperta una nuova stagione.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 14 luglio 2020)
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