mercoledì 1 marzo 2023

17 MARZO, CELEBRAZIONE DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELLA LIBERTÀ E DEMOCRAZIA

 

Il 17 marzo (Giornata dell’Unità nazionale), il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno sono le date fondamentali della nostra storia. Le prime due segnano la conclusione del processo risorgimentale con l’affermazione dell’Unità e dell’Indipendenza dell’Italia, le altre due la riconquista della libertà del nostro Paese e la sua trasformazione in repubblica democratica, sancita dal voto popolare.

Celebrare queste ricorrenze permette di perpetuare i valori e gli ideali del Risorgimento e della Resistenza consegnandoli ai giovani cittadini di oggi, ma rafforza anche la nostra identità nazionale e la coesione sociale. Tanto più questo è necessario in un periodo di smarrimento degli italiani, dovuto alla vicenda tragica della pandemia, allo shock del ritorno della guerra in Europa per l’aggressione della Russia all’Ucraina, alle contrapposizioni ideologiche spesso prive di vera attenzione all’interesse generale, alla crisi dell’etica pubblica. Sono, insomma, date costitutive di quella religione civile che in tutto l’occidente democratico salvaguarda la memoria storica e l’identità politico-culturale di ogni paese, come il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti.

Dal 2013 con una Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri è stata istituita come solennità civile la data del 17 marzo – “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera” da celebrare in ogni città italiana, nei quartieri, nei luoghi istituzionali e soprattutto nelle aule scolastiche. Nei fatti, dopo i festeggiamenti del 2011 per i 150 anni dell’Unità nazionale e nonostante che le scuole siano invitate a programmare momenti di riflessione in proposito, l’attenzione sul significato di questa data progressivamente si è persa tra gli italiani di ogni età. 

Per le nuove generazioni la scuola è il luogo non solo della formazione culturale, ma anche di una prima maturazione politica, con l’acquisizione degli strumenti di comprensione critica della realtà sociale in cui vivono, a partire da un’adeguata conoscenza storica del loro Paese. 
Dovrebbe essere compito quindi delle scuole ricordare agli studenti che il 17 marzo 1861 nacque l’Italia, a conclusione di alcuni decenni di ideali e di sacrifici tendenti a questo scopo. Anche perché è una storia di cui i giovani furono più volte protagonisti: basti pensare al Battaglione dei Volontari toscani a Curtatone e Montanara nel 1848, alle Camicie rosse guidate da Garibaldi, ai “Ragazzi del ‘99” che si sacrificarono sulla linea del Piave fino alla riscossa di Vittorio Veneto e agli scugnizzi napoletani che parteciparono all'insurrezione popolare con la quale, tra il 27 e il 30 settembre 1943, Napoli fu liberata dall’occupazione nazista.

Il Risorgimento italiano è stato un lungo processo storico arrivato in un certo senso fino a metà novecento; e le date importanti come il 17 marzo servono da occasione per conoscere e comprendere meglio il passato da cui veniamo. Anche la lotta eroica del popolo ucraino contro l’aggressione russa può – se non altro – farci meglio “realizzare” (cioè percepire vividamente) la durezza delle lotte risorgimentali contro “lo straniero” e della resistenza alla distruttiva e spesso spietata invasione hitleriana.

Oggi le manifestazioni studentesche sembrano di rado all’altezza dei problemi attuali, in gran parte perché risentono di un’insufficiente preparazione culturale e soprattutto di quella storica, senza la quale non si può comprendere la complessità del mondo.  Certo è stata utile l’iniziativa ambientalista di Greta Thunberg, oggi rimpiazzata nelle cronache dagli imbrattamenti “nonviolenti” di “Ultima generazione”, con i quali però si costruisce ben poco. Per il resto, il mondo studentesco si esprime quasi solo con le ripetitive occupazioni scolastiche di minoranze faziose e ideologizzate, che conducono sgangherate battaglie contro il governo di turno e, quel che è peggio, contro il diritto allo studio della maggioranza dei loro compagni, mentre le istituzioni, prive di coerenza democratica e di fermezza, si guardano bene dal tutelarli.

Ricordare oggi il 17 marzo sia a livello istituzionale che nelle scuole e nella società civile significa quindi tenere aperto il fronte basilare delle battaglie per la libertà, la democrazia e la solidarietà umana.

Sergio Casprini

giovedì 2 febbraio 2023

NUOVO ORIENTAMENTO: CHI HA DETTO CHE QUANTITÀ E QUALITÀ SONO SINONIMI?

 


Leggere le nuove linee guida ministeriali per l’orientamento mi ha fatto subito venire in mente DI BENE IN PEGGIO. Istruzioni per un successo catastrofico, un ironico libretto in cui Paul Watzlawick prende di mira le “ipersoluzioni”, cioè “un modo di affrontare i problemi che, pur fondato sulle migliori intenzioni, finisce sempre con l’avere effetti controproducenti”. Le ipersoluzioni non sono certo una novità per un ministero che ha storicamente dimostrato una stabile affezione per questo tipo di provvedimenti. Alla base ci sono in genere due fallaci presupposizioni: il primo è “maggiore quantità = migliore qualità”; il secondo: la novità deve innervare di sé l’intera scuola, diventare la sua chiave di volta, il suo modo di essere – in questo caso, “orientativo”. Ecco perché, al prezzo di forzarne parecchio il significato, vi si dice che “l’orientamento inizia sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento.­” Chi leggendo queste righe pensasse che si tratta di cose che già in gran parte si fanno senza pensare all’orientamento avrebbe perfettamente ragione. Con la riserva che raramente talenti e attitudini si manifestano nei primissimi anni di scolarizzazione.

Il lato quantitativo della faccenda irrompe nella scuola all’inizio della media: 30 ore di orientamento in ognuno dei tre anni. Stesso numero nei primi due delle superiori (ore curricolari e/o extracurricolari: ma è difficile rosicchiare più di tanto ai programmati pomeriggi di molti allievi); e “almeno 30 ore” (queste invece “curricolari”) negli ultimi tre anni delle superiori. Non manca la precisazione (si fa per dire) che non si tratta di una materia aggiuntiva, ma di “uno strumento essenziale per aiutare gli studenti a fare sintesi unitaria, riflessiva e inter/transdisciplinare della loro esperienza scolastica e formativa, in vista della costruzione in itinere del proprio personale progetto di vita culturale e professionale”. Chiaro, no? Da notare che lo stesso sistema della materia-non materia “trasversale” è già in opera con l’educazione civica, fra notevoli resistenze da parte dei docenti e con esiti ignoti ai più, dato che la rendicontazione non è il forte delle istituzioni italiane.

A questo si aggiunge la nomina, fra i docenti di ogni classe, di un tutor ad hoc, quasi certamente dotato di scarsa qualificazione, che si dovrà sobbarcare “un dialogo costante con lo studente, la sua famiglia e i colleghi”, in particolare quando si tratterà di scegliere la scuola superiore o, dopo il diploma “di maturità”, di orientarsi verso un lavoro o ulteriori studi.

Riemerge infine da un passato inglorioso il “portfolio”, che sparì alla chetichella nell’era Moratti perché ritenuto un inutile sovrappiù a furor di popolo docente; stavolta, però, in versione digitale.

Questa, a grandi linee, l’ingombrante ipersoluzione escogitata per l’orientamento, con i sovraccarichi professionali facilmente immaginabili e il relativo stress. Probabilmente c’è anche l’intento di forzare la mano ai docenti sulla cosiddetta “personalizzazione”, la classica cosa facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Per quanto riguarda la scuola media, una materia come educazione tecnologica avrebbe tutte le potenzialità per individuare le attitudini che portano a studi tecnico-professionali, purché basata essenzialmente su attività di laboratorio. Purtroppo viene in genere svolta come una disciplina prevalentemente teorica.

Comunque, usando buon senso e senso del limite, sarebbe senz’altro sufficiente concentrare le attività orientative in seconda e terza media e poi negli ultimi due anni delle superiori; utilizzando, in un più ragionevole numero di ore, il contributo diretto e la consulenza di esperti esterni, oltre alle esperienze utili che gli insegnanti stessi possono condividere con i colleghi. L’efficacia dell’orientamento, insomma, e non solo di quello, dipende molto più dalla sua qualità che non da una complessa organizzazione e da un massiccio impiego di ore.

Giorgio Ragazzini

("ilSussidiario.net", 2 febbraio 2023)

venerdì 27 gennaio 2023

STIPENDI DIVERSI PER I DOCENTI SU BASE TERRITORIALE? INFORMIAMOCI, PRIMA DI DECIDERE COME LA PENSIAMO

Sull'idea del Ministro Valditara di reintrodurre un criterio di calcolo dello stipendio dei docenti che tenga conto delle differenze del costo della vita, sarebbe opportuna una discussione approfondita prima di prendere una posizione sul tema. Tema che esiste: ci sono disparità nel costo della vita fra nord e sud, ma anche fra province di una stessa regione.

Il Ministro Valditara ha accennato alla possibilità di tenere conto del “carovita” nella retribuzione dei docenti, che potrebbe essere di conseguenza differenziata. Dal 1954 al 1969 fu in vigore un metodo di calcolo che faceva variare le retribuzioni su base territoriale in base ad alcuni criteri, tra cui soprattutto il costo della vita. Il sistema, detto delle “Gabbie salariali” (definizione ovviamente non benevola), fu ritenuto a un certo punto discriminatorio; e del resto a quell’epoca trionfava un egualitarismo non sempre ragionato. È un argomento di cui si è occupato più volte (per il lavoro dipendente in generale) Pietro Ichino, che ha premesso a un suo intervento questo sommario: «È paradossale che un sindacato interessato a proteggere il potere d’acquisto dei salari da variazioni dei prezzi nel tempo (ossia dall’inflazione), sia indifferente, anzi contrario, alla necessità di proteggere i salari anche dalle variazioni dei prezzi nello spazio». A un cittadino non-giuslavorista come me interesserebbe una discussione informata sul tema, ma sappiamo che molti preferiscono scagliare sull’interlocutore una scomunica al posto dei ragionamenti sui dati economici.  Di solito se ne è parlato argomentando che mediamente nel sud i costi sono inferiori e quindi sarebbe equo dare qualcosa in più a chi abita a nord. Spesso si risponde, però, che nel sud i servizi pubblici – per esempio quelli sanitari – sono molto meno efficienti e per questo c’è maggiore necessità di andare in al centro-nord o di pagare di tasca propria. Ma le differenze ci sono anche tra provincia e provincia. In Toscana, per esempio, secondo Immobiliare.it il costo medio di una casa in affitto nella provincia di Firenze è attualmente di 15,70 euro mensili al metro quadro, in quella di Arezzo 7,65.  Per comprare una casa la media è rispettivamente di 3.111 euro al metro quadro e di 1.480. In tutti e due i casi, più o meno la metà. Forse vale la pena di studiare attentamente dati e possibili rimedi e solo dopo prendere posizione.

Giorgio Ragazzini

(Da "Pensalibero", 27 gennaio 2023) 

martedì 17 gennaio 2023

LETTERA DI SOLIDARIETÀ ALLA PROFESSORESSA MARIA CRISTINA FINATTI DI ROVIGO

 La professoressa in questione è quella a cui uno studente ha sparato dei pallini di plastica. La vicenda è ricapitolata e commentata in breve in questo articolo: https://bit.ly/3WfQbxV

Per sottoscrivere la lettera (possibilmente entro la mezzanotte di domani mercoledì): inviare Nome, cognome, materia di insegnamento (scolastico o universitario) e luogo di residenza a gruppodifirenze@libero.it. Oggetto: Solidarietà. I docenti della scuola primaria e dell’infanzia indicheranno il tipo di scuola, invece della materia; Dirigenti, segretari, eccetera il loro ruolo.

Cara Professoressa,

Le scriviamo per esprimerle la più calorosa solidarietà insieme allo sdegno per la serie di inqualificabili comportamenti di cui è stata oggetto: il gravissimo gesto di un suo allievo; la complicità o l’omertà degli altri (salvo uno); l’assenza del doveroso sostegno da parte della dirigenza e dei colleghi; il silenzio – per non dire altro – dei genitori.

Non è, purtroppo, un caso isolato, ma il frutto inevitabile di una linea politico-culturale pluridecennale che è spesso sfociata nella sostanziale abolizione della disciplina, base necessaria di un lavoro fruttuoso nelle classi come in ogni altro campo.

Speriamo che questo ennesimo affronto a chi svolge l’essenziale compito di formare al meglio le nuove generazioni serva almeno da monito per la classe politica sulla necessità di una svolta all’insegna della fermezza educativa; e che spinga anche gli insegnanti a esigere che nella propria scuola non si transiga sul rispetto reciproco.

Un cordialissimo saluto.

PierVincenzo Uleri, Scienza della politica, Fiesole

Andrea Ragazzini, Aurora Contu, Giorgio Ragazzini, Sergio Casprini, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

Marzia Maria Tortelli, italiano e storia, Firenze

Franca Novelli, scuola dell’infanzia, Setteville di Guidonia

Antonella Foscarini, educazione artistica, Firenze

Pino Graziano, costruzioni, Rossano Calabro

Marisa Scapuzzi, lettere, Firenze

Sandra Sensi, inglese, Firenze

Brunella Windsor, educazione musicale, Firenze

Rosanna Zanieri, educazione tecnica, Borgo San Lorenzo (Fi)

Lisa Bichi scuola dell'infanzia, Firenze

Teresa Pasqui, arte della moda, del costume e del tessuto, Firenze

Lucia Mannucci, collaboratrice del Dirigente, Pontedera

David Garzella, fisica, Trieste

Annalaura Guastella, matematica e scienze, Pisa

Filippo Bellandi, Sant’Agata Mugello

Patrizia Pepè, lettere, Fiesole

Valerio Tanini, educazione artistica, Fiesole

Piero Morpurgo, italiano e storia, Tarquinia (Vt)

Alessandra Giannuzzi, lettere, Milano


domenica 18 dicembre 2022

LICEO OCCUPATO, LA PRESIDE FA INIZIARE LA DAD PER GARANTIRE LE LEZIONI. MA TUTTI I SINDACATI SI INDIGNANO

 

A Firenze una sede del liceo Alberti-Dante viene occupata da “un manipolo” di studenti, come riferisce “FirenzeToday”. Per garantire il diritto allo studio, la preside fa partire in via eccezionale la Didattica a distanza, precisando che chi non segue tutta la lezione verrà considerato assente. I sindacati, che del diritto allo studio si proclamano sempre strenui difensori, contestano la legittimità della decisione e ammoniscono: “La scuola è un'istituzione educativa e come tale deve essere la prima a rispettare rigorosamente le regole, se vuole rappresentare un esempio per i propri studenti”. I quali, evidentemente, va bene che le infrangano; anzi, “le proteste studentesche rappresentano per le realtà educative un'occasione di ascolto e dialogo (come sta avvenendo del resto in altri istituti), da non affrontare in alcun modo con un approccio burocratico o, peggio, come un problema di ordine pubblico".

Sarà bene allora riepilogare i “pregi” di queste “occasioni di dialogo”:

- sono illegali in sé sotto diversi profili e in più sono spesso occasione di altri reati come i frequenti danneggiamenti;

- in aggiunta, sono intrinsecamente antidemocratiche, dato che vengono regolarmente promosse e gestite da minoranze; gli altri o non se la sentono di opporsi o non disdegnano qualche giorno di vacanza;

- fanno perdere giornate di scuola che costano fior di euro ai contribuenti: se si ferma una scuola di 30 classi, se ne perdono 30mila al giorno; 

-  se i motivi delle occupazioni sono concreti (bagni, riscaldamento, sporcizia, come nel caso fiorentino di cui parliamo), ci sono moltissimi modi legali e democratici per farli presenti (lettere, comunicati stampa, manifestazioni pomeridiane, post sui social network). Spesso invece si tratta di confuso e pretestuoso ribellismo ideologizzato di nessuno sbocco concreto;

- con la minaccia di un’occupazione vengono spesso ottenute le cosiddette “autogestioni”, che quasi sempre sono di scarso o nullo valore culturale.

A questo dobbiamo aggiungere la non rara collusione di una parte dei docenti, la condiscendenza di una parte dei genitori, spesso memori delle loro analoghe esperienze, l’aperta legittimazione di un ministro e di un sottosegretario, la disponibilità di vari politici e intellettuali a intervenire nelle scuole occupate e la voluta inerzia di magistratura e forze dell’ordine.

Tutto ciò ha costituito una pluridecennale forma di diseducazione civica dei giovani, di assuefazione al disprezzo delle regole e di discredito per la scuola. E pensare che poi si ha il coraggio di spendere denaro pubblico per i vari progetti di “educazione alla legalità e alla convivenza civile”.

Giorgio Ragazzini

 

giovedì 1 dicembre 2022

L’IRAN E L’EUROPA DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ

 

Mappatura delle proteste in Iran dal 16 settembre al 23 novembre
Fonte ISW

Si sta avverando il sogno di un’Europa sovranazionale, come nel 1941 si auguravano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel cosiddetto Manifesto di Ventotene? Da quando è nata, l’Unione Europea (già Comunità Economica Europea) è cresciuta soprattutto con un compito preciso: contribuire a soddisfare le esigenze di benessere degli europei dopo gli orrori del nazismo, del fascismo e le macerie della guerra. Il suo più grande successo infatti è stato il mercato unico. Ma negli ultimi anni, nonostante le miopie nazionali e le lesioni allo stato di diritto inferte recentemente dall’Ungheria e dalla Polonia, oltre alla mancanza di una difesa comune, sia pure lentamente avanza il processo di unità politica, come nel contrasto al Covid e alle sue conseguenze economiche e con il pieno sostegno all’Ucraina nella sua lotta patriottica contro l’invasore russo, una forte iniziativa di politica estera e di sicurezza. D’altronde l’Europa è la culla di una società aperta, con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, il governo della legge.
Sorprende quindi l’assenza di posizioni altrettanto forti della Comunità europea per quanto succede in Iran, dove, dopo la morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale perché indossava il velo in maniera inappropriata, la repressione violenta di quello stato teocratico non è riuscita ancora dopo due mesi a domare la protesta delle donne iraniane, che si sta trasformando in una sfida sempre più radicale al regime degli ayatollah. E se pure il 14 novembre l’UE ha adottato sanzioni nei confronti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Iran, come ha dichiarato l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea Josep Borrell, si continua ancora da parte delle Istituzioni comunitari a fare poco di fronte alla situazione tragica delle donne iraniane.
Certo non vale come giustificazione il fatto che l’Iran non è un paese europeo come l’Ucraina e quindi non sarebbe legittimo attuare forti iniziative di ingerenza nelle questioni interne di un’altra nazione pur in presenza di gravissime violazioni dei diritti fondamentali, in particolare delle donne.
E di dovere di ingerenza da parte dell’Unione Europea si parla invece in un appello (promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità) sottoscritto da autorevoli esponenti della cultura, dell’Università, della società civile.
L’appello inviato alla rappresentanza dell’UE a Roma e ai deputati italiani a Bruxelles inizia con queste parole: Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle.
Ma in Italia gli studenti e le studentesse hanno protestato contro lo spietato regime teocratico iraniano? Hanno fatto qualche sit in davanti all’ambasciata iraniana a Roma?
Ad oggi le manifestazioni e alcune rare occupazioni di istituti, tra l’altro di minoranze rumorose a fronte di maggioranze silenziose degli studenti, hanno mostrato lo stucchevole rituale di ogni inizio scolastico, con slogan e parole d’ordine contro il ministro della Pubblica Istruzione di turno e il governo in carica, rivelatrici di conoscenze confuse o di visioni ideologiche anacronistiche, senza il possesso di un’effettiva preparazione civica e politica, oltre che storica.
Il ministro Valditara in alcune dichiarazioni ha giustamente richiamato sia i docenti che gli studenti a un maggior senso di responsabilità, da una parte riconoscendo che va ripristinata la dignità e l’autorevolezza del ruolo dell’insegnante, dall’altra invitando gli allievi a un maggior impegno di studio senza più l’uso ludico dei cellulari, auspicando che in classe tornino il concetto di Patria (e di integrazione europea) e il rispetto degli insegnanti. Tuttavia, come altri precedenti ministri della P. I., non ha posto l’esigenza di ridare il giusto valore alle discipline, perno fondamentale di una reale formazione culturale, tra cui appunto la Storia, pena il balbettio infantile dei nostri studenti di fronte a drammatiche crisi internazionali, dove sono in gioco i diritti civili e le libertà dei popoli.

Sergio Casprini
Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, 1° dicembre 2022

mercoledì 30 novembre 2022

IL RICEVIMENTO DEI GENITORI COME COMPETENZA PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI

 

Che la sintonia tra scuola e famiglia sia di grande importanza e possa influire positivamente sul rendimento e sul comportamento degli allievi sembrerebbe pacifico. Tuttavia il come coltivare questo rapporto solo raramente entra a far parte della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti. Eppure non da oggi una sollecitazione in questo senso viene dagli episodi di aggressione fisica o verbale nei loro confronti da parte di madri e padri scalmanati: un numero di casi relativamente basso, ma indicativo di un peggioramento della considerazione in cui è tenuta la scuola. E il modo in cui i rapporti con le famiglie vengono concretamente realizzati può senz’altro contribuire all’apprezzamento della qualità professionale dei docenti, nonché al prestigio di un istituto.

Ci sono in primo luogo gli aspetti organizzativi. La riuscita di un incontro dipende anche dal luogo in cui si svolge. Protezione della riservatezza, tranquillità, un ambiente curato evitano distrazioni e comunicano cortesia e rispetto, possibilmente una stanza ad hoc. I genitori non dovrebbero aspettare il proprio turno in piedi nei corridoi, ma avere almeno la possibilità di sedersi. Nei limiti del possibile, sarebbe giusto che il ricevimento avvenisse su appuntamento, come già avviene in alcune scuole. Disporre, a un’ora certa, di un tempo sufficiente per parlarsi, invece di aspettare in coda, per poi magari doversi accontentare di un incontro frettoloso, genera senza dubbio un senso di maggior considerazione. In questo modo, inoltre, chi lavora può sapere in anticipo per quanto tempo dovrà assentarsi.

Al ricevimento mattutino si aggiunge in genere quello pomeridiano, soprattutto in considerazione delle difficolta di chi lavora. In genere si tratta di due soli pomeriggi all’anno, con l’inevitabile sovraffollamento e un vero e proprio tour de force per i docenti con più classi e per i genitori costretti a lunghe attese.

Una parte di questi problemi, quella del tempo limitato messo a disposizione dei genitori per i colloqui, è originata da una normativa insufficiente. Il contratto della scuola, infatti, prevede che sia il Consiglio d’Istituto, su proposta del Collegio dei docenti, a definire le modalità, la frequenza e il tempo “per assicurare un rapporto efficace con le famiglie”, mentre l’ora di ricevimento è in realtà solo una prassi consolidata. Su questa base, e nonostante la grande disponibilità di moltissimi docenti, è difficile per la singola scuola assicurare qualcosa di più del minimo indispensabile. È doveroso quindi che questo impegno così necessario venga meglio definito e riconosciuto, anche economicamente.

Detto della necessità di un’organizzazione più vicina a quella che tutti consideriamo doverosa quando andiamo da un professionista di qualsiasi genere, è certamente il piano del rapporto personale con le madri e i padri degli allievi quello decisivo. Una maggiore preparazione per gestirlo e utilizzarlo favorisce la costruzione di una buona sintonia sul piano educativo, fondamentale per far sì che all’allievo-figlio arrivino messaggi coerenti dalla scuola e dalla famiglia. Inoltre, se si crea un clima di fiducia reciproca, i genitori possono essere fonte di informazioni utili ai docenti per conoscere meglio i propri allievi, con l’avvertenza che anche il tipo di domande e il modo di porgerle dovrebbe essere oggetto di una riflessione, al pari di come nell’ascolto si può trasmettere interesse e rispetto. Si dovrebbe anche tenere conto di quelle che la pedagogista Vittoria Cesari Lussu ha definito “le componenti sommerse della relazione”, tra cui quella probabilmente più diffusa è la paura di essere giudicati genitori non adeguati in base ai risultati e ai comportamenti dei figli.

E come ci si comporta di fronte a eventuali critiche, a modi scortesi, a sconfinamenti dell’interlocutore nel campo della didattica? Un docente dovrebbe essere preparato a evitare il tipo di reazioni che, nel linguaggio corrente, si indicano con l’espressione “farne una questione personale”, sforzandosi di mantenere l’autocontrollo. Del resto, il fatto stesso di pensare al colloquio come a un momento che comporta una specifica competenza professionale, facendone oggetto di confronto e di aggiornamento, già di per sé avvia una salutare presa di distanza dal coinvolgimento emotivo.

Se poi un genitore dimostra un’evidente incapacità di dialogare e diventa irrispettoso, bisogna evitare di farsi trascinare in un crescendo di botte e risposte, facendo presente che non ci sono le condizioni per proseguire in modo costruttivo.

In conclusione, anche se credo che siano molti i docenti in grado di condurre il ricevimento in modo appropriato basandosi sull’esperienza e sulle proprie attitudini relazionali, è però vero che la perdita di autorità di maestri e docenti e il diffondersi via social della presunzione di poter discutere con competenza su tutto hanno creato un terreno fertile per tensioni e conflitti prima rarissimi. Di qui il fatto che sia oggi necessario, ma anche interessante, dedicare la giusta attenzione a questo aspetto della professionalità di chi insegna.

Giorgio Ragazzini

Pubblicato sul “Sussidiario.net” il 30 novembre 2022

martedì 29 novembre 2022

INVIATO ALLE ISTITUZIONI EUROPEE L'APPELLO: "LA UE SOSTENGA CON VIGORE IL MOVIMENTO IRANIANO PER LA LIBERTÀ"

 

Al Parlamento Europeo
  
alla Commissione Europea 
al Consiglio Europeo

Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle. E allora perché le istituzioni europee – e, per la verità, anche quelle italiane – continuano, se non a tacere, a fare troppo poco?

Noi sottoscritti cittadini italiani chiediamo che l’Unione Europea, in base al dovere di ingerenza giustificato da gravissime violazioni dei diritti fondamentali – e in modo particolare di quelli delle donne – prenda immediatamente e con vigore tutte le iniziative opportune perché tali diritti siano finalmente garantiti anche in Iran. Prima che sia troppo tardi.

Anna Oliverio Ferraris     Elsa Fornero      Donatella Di Cesare     Giampiero Mughini     Gianfranco Pasquino     Paolo Crepet      Marco Bentivogli     Paolo Pombeni     Renato Mannheimer     Michele Zappella     Valerio Magrelli    Gennaro Malgieri    Giovanni Belardelli     Giulio Ferroni     Giuseppe Marazzita     Massimo Salvadori     Adriano Prosperi     Carlo Fusaro     Claudio Giunta     Dino Cofrancesco     Francesco Perfetti     Fulco Lanchester     Fausta Garavini     Andrea Del Re     Benedetta Baldi     Daniela Andreatta     Fabio Minazzi     Fulvio Cammarano     Guido Melis     Gabriella Sava     Giuseppe Nicoletti    Giuseppe Scaraffia     Giovanni Falaschi     Giuseppina Pisciotta Tosini     Alessandra Sanna     Luigi Settembrini     Loredana Sciolla      Luisella Battaglia     Marcella Corsi     Maria Serena Sapegno     Maria Teresa Imbriani      Marinella Pigozzi     Mila De Santis    Paolo Alessandro Biscottini     Patrizia Tosini      Silvia Ginsburg      Stefania Stefanelli     PierVincenzo Uleri    Renza Bertuzzi      Alberto Moreni      Alessandro Ponticelli      Andrea Becherucci      Anna Palma    Anna Rita Borelli     Antonella Braga     Antonella Foscarini     Rosamaria Di Guglielmo  Arnaldo Marcone     Berardo Pio     Bruno Maria Parigi     Carlo Decanini     Carlo Del Nero     Carmen Betti     Caterina Barone     Cristina Fumagalli    Daniela  Miele   Elena Pariotti   Elisabetta Palici di Suni    Eva Bovolenta    Emanuela Lustri    Fioretta Gualdi     Franca Novelli     Franco Montanari   Franco Vincieri    Gabriella Ricci    Gabriella Ronchini    Gianna Caroti   Giorgia Quagliola   Giovanni Cocco    Giovanni Cordini     Giuseppe Graziano     Giuseppina Anguillara      Guido Baldassarri     Isabella Sesti     Judith Siegel    Laura Marchesi     Laura Scarpellini     Letizia Bausi     Livia Marinetto     Marcella Corsi      Maria Cecilia Ortolani    Maria Luisa Doglio    Maria Santoni     Maria Teresa Valastro     Marinella Baschiera     Marta Biani     Marzia Gentilini     Massimo Ragazzini     Susanna Bausi     Teresa Pasqui     Valerio Giannellini     Valerio Vagnoli   Maurizio Cardinetti     Milly Mazzei     Nicoletta Nano    Paola Strazzulla    Paolina Silvagni    Paolo Bonanni     Patrizia Ragazzini     Patrizia Serafin     Romano Bernabei     Sabina Gambacciani     Sabrina Giontella    Salvatore Ingrassia      Silvio Riondato   Carmine Chiodo     Roberto Segatori     Luigi Alfieri


Promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

giovedì 24 novembre 2022

APPELLO: L'EUROPA SOSTENGA CON VIGORE IL MOVIMENTO IRANIANO PER LA LIBERTÀ

 

Asra Panahi, la sedicenne pestata a morte 
dalla polizia perché, insieme ad altre compagne,
si era rifiutata di cantare un inno a Kamenei

Al Parlamento Europeo
alla Commissione Europea
al Consiglio Europeo

Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle. E allora perché le istituzioni europee – e, per la verità, anche quelle italiane – continuano, se non a tacere, a fare troppo poco?

Noi sottoscritti cittadini italiani chiediamo che l’Unione Europea, in base al dovere di ingerenza giustificato da gravissime violazioni dei diritti fondamentali – e in modo particolare di quelli delle donne – prenda immediatamente e con vigore tutte le iniziative opportune perché tali diritti siano finalmente garantiti anche in Iran. Prima che sia troppo tardi.

Anna Oliverio Ferraris     Elsa Fornero      Donatella Di Cesare     Giampiero Mughini     Gianfranco Pasquino     Paolo Crepet      Marco Bentivogli     Paolo Pombeni     Renato Mannheimer     Michele Zappella     Valerio Magrelli    Gennaro Malgieri    Giovanni Belardelli     Giulio Ferroni     Giuseppe Marazzita     Massimo Salvadori     Adriano Prosperi     Carlo Fusaro     Claudio Giunta     Dino Cofrancesco     Francesco Perfetti     Fulco Lanchester     Fausta Garavini     Andrea Del Re     Benedetta Baldi     Daniela Andreatta     Fabio Minazzi     Fulvio Cammarano     Guido Melis     Gabriella Sava     Giuseppe Nicoletti    Giuseppe Scaraffia     Giovanni Falaschi     Giuseppina Pisciotta Tosini     Alessandra Sanna     Luigi Settembrini     Loredana Sciolla      Luisella Battaglia     Marcella Corsi     Maria Serena Sapegno     Maria Teresa Imbriani      Marinella Pigozzi     Mila De Santis    Paolo Biscottini     Patrizia Tosini      Silvia Ginsburg      Stefania Stefanelli     PierVincenzo Uleri    Renza Bertuzzi      Alberto Moreni      Alessandro Ponticelli      Andrea Becherucci      Anna Palma    Anna Rita Borelli     Antonella Braga     Antonella Foscarini     Arnaldo Marcone     Berardo Pio     Bruno Maria Parigi     Carlo Decanini     Carlo Del Nero     Carmen Betti     Caterina Barone     Cristina Fumagalli    Daniela  Miele   Elena Pariotti   Elisabetta Palici di Suni    Eva Bovolenta    Emanuela Lustri    Fioretta Gualdi     Franca Novelli     Franco Montanari   Franco Vincieri    Gabriella Ricci    Gabriella Ronchini    Gianna Caroti   Giorgia Quagliola   Giovanni Cocco    Giovanni Cordini    Giuseppe Graziano    Giuseppina Anguillara     Guido Baldassarri    Isabella Sesti     Judith Siegel    Laura Marchesi     Laura Scarpellini     Letizia Bausi     Livia Marinetto     Marcella Corsi      Maria Cecilia Ortolani    Maria Luisa Doglio    Maria Santoni     Maria Teresa Valastro     Marinella Baschiera     Marta Biani     Marzia Gentilini     Massimo Ragazzini     Susanna Bausi     Teresa Pasqui     Valerio Giannellini     Valerio Vagnoli   Maurizio Cardinetti     Milly Mazzei     Nicoletta Nano    Paola Strazzulla    Paolina Silvagni    Paolo Bonanni     Patrizia Ragazzini     Patrizia Serafin     Romano Bernabei     Sabina Gambacciani     Sabrina Giontella    Salvatore Ingrassia      Silvio Riondato   Carmine Chiodo     Roberto Segatori 


Promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

martedì 1 novembre 2022

SE IL MERITO HA A CHE FARE CON IMPEGNO E TENACIA (con buona pace di Darwin)

Se abbiamo bisogno di un medico, lo vogliamo competente e magari affabile. Se dobbiamo essere ricoverati, preferiamo un ospedale noto per la preparazione degli specialisti e l’elevata qualità dell’assistenza. Ci serve una badante? Ne cerchiamo una con ottime referenze. Abbiamo a che fare con la pubblica amministrazione? Ci fa piacere imbatterci in personale cortese ed efficiente. Quando poi si tratta di iscrivere un figlio a scuola, tutti ci auguriamo che abbia i migliori insegnanti. Insomma, sono infinite le situazioni in cui cerchiamo il merito.

Ma come fa una società a “produrre” persone capaci e affidabili nel loro lavoro, a qualsiasi livello? Intanto bisogna che il merito venga riconosciuto, che non si proteggano i disonesti, non si chiudano due occhi sugli incapaci, che si selezionino i migliori, qualunque cosa significhi nelle diverse occupazioni e specializzazioni. Ma, soprattutto, ci vogliono famiglie che sappiano educare e una scuola che prepari al meglio i futuri cittadini.

Su cosa sia il merito, però, e su come si promuova non c’è accordo. E quando se ne parla a proposito di scuola, come oggi succede per via dell’aggiunta del termine al Ministero dell’Istruzione, una parte dell’opinione pubblica reagisce come se si discutesse di un metodo di selezione darwiniana. “Dobbiamo svelare l'inganno delle parole: la scuola del merito è la scuola che smette di investire su chi è in difficoltà". “Temo che qui si intenda il merito conquistato attraverso la sopraffazione degli altri, la competizione sfrenata, i privilegi della nascita, la fedeltà a un’ideologia e all’obbedienza". " Lo vogliamo capire che la scuola non è un posto dove si vanno a selezionare i migliori, che pensarla così è il modo più antidemocratico che esista?” "Trovo sia sbagliato introdurre la parola merito: rischia di essere uno schiaffo in faccia per chi può avere tanti meriti ma parte da una situazione di diseguaglianza". "Questa parola merito accanto al ministero dell'istruzione è allarmante e preoccupante”.

Sul merito si è smesso di riflettere, da quando, molti decenni fa, ci si rese conto di quanto spesso i ceti sociali più svantaggiati avessero scarse possibilità di accedere alle superiori e all’università, benché nel secondo dopoguerra la scuola avesse cominciato gradatamente a funzionare come ascensore sociale. Da allora le cose sono molto cambiate: in meglio, perché i progressi del tenore di vita hanno permesso a strati sempre più vasti della popolazione di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione; in peggio, perché la scuola è stata indotta a essere indulgente invece di adoperarsi per renderla più efficace. E tuttavia non è difficile chiarirsi le idee. Il talento innato da solo non è ovviamente un merito; e il merito non è soltanto l’eccellenza (anche se delle eccellenze la società ha comunque bisogno). Lo ricordava l’economista Giacomo Vaciago: il merito “è l’impegno profuso a far crescere la dote iniziale, qualunque essa sia”. Molti studi confermano quello che in realtà sappiamo tutti: la tenacia e la determinazione che si mettono nello studio, nell’allenamento e nel lavoro sono fondamentali per rafforzare le predisposizioni di cui ciascuno è dotato. Il segreto quindi non è nelle attitudini innate: quanti non le sfruttano perché rifiutano la fatica? Il segreto sta nell’impegno con cui si persegue uno scopo. Facciamolo comprendere ai bambini e ai ragazzi sottolineando tutte le piccole e grandi conquiste frutto di diligenza e lavoro assiduo, in modo da ridare, come un tempo si diceva “onore al merito”.

Giorgio Ragazzini

mercoledì 19 ottobre 2022

MINISTERI, LA CASELLA VUOTA DELLA SCUOLA

All’occasione – meglio se non impegnativa – tutti i partiti e tutti i vertici delle istituzioni proclamano con la dovuta gravitas la centralità della scuola per il futuro del paese, dei giovani e dell’economia, ma anche per lo sviluppo della personalità, per la convivenza civile, per la stessa democrazia. Nella fase di formazione di un nuovo governo, quindi, ci si aspetterebbe che i possibili candidati al Ministero dell’Istruzione fossero oggetto di continue ipotesi nel cosiddetto “totoministri”. Ma, come si è visto, la casella in questione è rimasta quasi sempre vuota, nel totale disinteresse dei mezzi di informazione. Dov’è quindi finita la centralità della scuola? Sembra di poter concludere che si trattava di flatus vocis, cioè di rituali emissioni di suoni privi di convinzione.

Una delle ipotesi in circolazione è che il vuoto potrebbe (forse, pare) essere riempito da Anna Maria Bernini, che – a leggere il suo curriculum – di scuola ne sa quanto uno studente in uscita dalle superiori. Se fosse così questo significherebbe che la Ministra sarà guidata per mano dall’apparato ministeriale, tutt’altro che estraneo all’involuzione “indulgente” della scuola negli ultimi decenni. Pazienza per l’ulteriore colpo inferto a quella che Mattarella ha definito “risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale”.

Giorgio Ragazzini 

lunedì 26 settembre 2022

TV, VIDEOGIOCHI, PC, CELLULARI: DIETRO MOLTI "NON DEMONIZZARE" C'È IL RIFIUTO IDEOLOGICO DEL DIVIETO

Nel corso degli ultimi decenni si sono ripetuti gli allarmi relativi ai rischi insiti nelle nuove tecnologie. A cominciare dalla televisione, diventata in molte famiglie un comodo sostituto della baby sitter. Non va demonizzata, dicono gli esperti, ma il suo uso eccessivo può causare disturbi del sonno, aumento della sedentarietà e quindi tendenza al sovrappeso. Poi è stata la volta dei videogiochi, che, oltre a tenere occupati i bambini, sembra che siano utili per imparare a decidere rapidamente e a gestire le emozioni. Purtroppo creano anche facilmente dipendenza e riduzione eccessiva dei contatti sociali. Si rischiano perfino dei danni neurologici. Tuttavia, neppure questi vanno assolutamente demonizzati. Numerose raccomandazioni di un “uso consapevole” in alternativa alla demonizzazione hanno riguardato anche il computer, quando è stata evidente la crescita esponenziale delle ore che i ragazzi e i bambini passavano davanti allo schermo, con svariati effetti psichici, fisici e relazionali. Con il cellulare, in cui sono riuniti telefono, giochi, messaggistica, computer, macchina fotografica e videocamera, si arriva infine a uno strumento tascabile, quindi utilizzabile en plen air. Che sia utile quando siamo fuori casa non c'è dubbio; e non solo per ricevere comunicazioni urgenti, cercare informazioni di ogni tipo o avvertire che si può buttare la pasta. Sui mezzi pubblici e nelle sale d'attesa hanno sostituito i libri e i giornali (più nel nord europeo che da noi). La possibilità di inviare foto o brevi filmati arricchisce (fin troppo) la documentazione di viaggi e vacanze e ha reso obsolete le riunioni di amici per guardare le diapositive. E però è un po' inquietante realizzare che quasi non c'è più un adolescente che cammini per strada a testa alta e guardandosi intorno; o, peggio, vedere gruppi di ragazzetti che alternano qualche breve scambio di parole a una compulsiva consultazione dello smartphone. Il quale - lo dimostrano molteplici indagini - costituisce una fonte di ansia: timore di non essere raggiungibili, di essere esclusi o snobbati dagli amici, di non ottenere da loro abbastanza "mi piace", di esaurire la carica. Lo stress conseguente può provocare tremito, tachicardia, attacchi di panico, disturbi del sonno e depressione. Già anni fa una ricerca inglese attestò che il 60% dei giovani tra i 18 e i 29 anni andava a letto con il cellulare. Insomma, parliamo di una vera e propria droga, che come le altre, disattiva le aree del cervello addette all'autocontrollo (in via di formazione negli adolescenti) e attiva quelle del piacere, specialmente nei patiti dei videogiochi. Per questo è necessario l'aiuto degli adulti per porre dei limiti. Ma anche qui interviene chi esorta a "non demonizzare", una frase in apparenza saggia che, però, come l'esperienza dimostra, finisce per far abbassare la guardia. Bisogna anche qui educare a un "uso consapevole" dello strumento. E spesso è chiaro che sotto il velo di questa raccomandazione agisce una diffusa e radicata allergia ai divieti. 

Nei giorni scorsi ha suscitato pareri per lo più favorevoli la decisione di un liceo bolognese di vietare l'uso dei cellulari in orario scolastico, con l'intento di restituire ai ragazzi una realtà di relazioni fatta di incontri, chiacchiere, sguardi e sorrisi dal vero. Larghissimo è stato il consenso degli studenti e dei genitori. Tra le critiche, si è levata inopinatamente quella del Prefetto di Bologna. Inaugurando in un altro istituto l'anno scolastico, ha sentito il bisogno dichiarare: "Sarebbe opportuno che gli studenti mantenessero il cellulare e sapessero usarlo, che avessero la coscienza e la maturità di sapere quando il cellulare può essere usato e quando invece può essere non usato. Credo che si debba lavorare su questo, sull'educazione”. L'episodio è sintomatico di quanto l'ideologia del "vietato vietare" si sia radicata nelle istituzioni, a cominciare dalla scuola, in cui sanzioni e divieti sono screditatissimi. Ma ormai persino le forze dell'ordine, deputate a far rispettare le leggi, vengono scoraggiate dall'intervenire con decisione, come è successo quasi ovunque nei confronti degli "assembramenti" estivi, fonte sicura di contagio e sulla carta vietatissimi. È quindi indispensabile recuperare l'importanza educativa dei limiti e dei "no" per non lasciare i minori in balia di un uso smodato dei cellulari e dei social. Fa piacere che proprio dalla scuola vengano esempi di questa consapevolezza.

lunedì 15 agosto 2022

MACCHÉ “DOCENTE ESPERTO”, ECCO COME UN “MINISTRO ESPERTO” DOVREBBE AIUTARE LE SCUOLE

L’improvviso concepimento ministeriale del “docente esperto”, che dovrebbe venire al mondo solo nel 2032 dopo una gestazione di nove anni, è stato a ragione stigmatizzato sulCorriere Fiorentino” da Gaspare Polizzi (vedi post del 10 agosto sulla nostra pagina facebook). Se può essere utile proporre qualche ulteriore considerazione, è perché con questa “strana invenzione” il ministero dimostra ancora una volta di non sapere di cosa la scuola italiana ha veramente bisogno per quanto riguarda i docenti. Per prima cosa, di una rigorosa selezione all’ingresso dei corsi universitari che preparano all’insegnamento. Solo chi ha già una solida preparazione culturale di base, forti motivazioni e sufficienti attitudini dovrebbe poter iniziare il percorso formativo. È questo anche un modo (come dimostra l’esperienza finlandese) di rendere attraente l’insegnamento per i giovani più dotati, più ancora dei pur necessari aumenti di stipendio. Nel frattempo, bisogna avere il coraggio di garantire che nessuna classe abbia a che fare con insegnanti inadeguati; che sono una minoranza (piccola, anche se non si sa quanto), ma possono causare danni irreparabili. Fino a oggi non si è voluto fare nulla in proposito, a parte rari casi. Quanto alla cosiddetta “carriera” (meglio parlare di nuovi ruoli della funzione docente), si tratta di assicurare alle singole scuole – che sul piano organizzativo oggi arrancano tra superlavoro dei presidi e semi-volontariato di collaboratori non sempre preparati – un esperto staff di docenti che aiutino il dirigente a risolvere i tanti problemi che un istituto deve oggi affrontare: aggiornamento (compreso l’essenziale confronto tra colleghi), orientamento, orari, servizi agli studenti, rapporti con i genitori e con le istituzioni, inserimento dei nuovi docenti. La creazione dell’insegnante “esperto”, anche senza i tempi biblici prospettati, non risolve nessuno di questi pressanti problemi. C’è quindi da sperare in un rapido ripensamento del Ministro.

Giorgio Ragazzini