giovedì 25 febbraio 2010

NUOVE ESPERIENZE DI FORMAZIONE PROFESSIONALE

In molte regioni italiane si sviluppa e si perfeziona sempre di più la formazione professionale, anche con iniziative particolarmente attraenti. Abbiamo parlato altre volte dell’esperienza trentina, oltre che della torinese “Piazza dei mestieri”. Oggi su alcuni quotidiani viene presentata “L’officina dei mestieri”, in cui sui diciottomila metri quadri di ex officine comunali milanesi si tengono vari corsi triennali rivolti a studenti dal primo al terzo anno delle superiori, che scelgono un insegnamento fortemente basato sulla pratica. Una strada che non preclude, però, neppure l’accesso all’università. (Su “Tempi” invece, si può leggere un quadro abbastanza chiaro della formazione professionale in Italia, con particolare riferimento alla Lombardia).
I cultori della formazione a senso unico e indiscutibile, cioè quella di carattere scolastico, dovrebbero provare a immaginarsi le conseguenze sulla vita quotidiana di ragazze e ragazzi che inizieranno questi percorsi, se invece fossero ulteriormente costretti a rimanere tra i banchi scolastici. Se la scuola è l'unica vera strada per formare dei cittadini consapevoli, perché non si vuol prendere atto che è, per almeno oltre il 25% dei ragazzi italiani, un fallimento? Ah già, ci penseranno le “didattiche diversificate” a ridurre queste percentuali.... Ma se invece di percentuali si cominciasse a parlare di individui, di esseri umani liberi di scegliere tra un ventaglio di percorsi che abbiano tutti, nella loro diversità, l'obiettivo di responsabilizzare, gratificare, insegnando anche un mestiere, non sarebbe una buona maniera per fare della democrazia una cosa concreta, un incontro vero dei ragazzi con l’esperienza? (V.V.)

lunedì 22 febbraio 2010

ROSSI DORIA: TORNIAMO ALL'ESAME DI QUINTA ELEMENTARE

Marco Rossi-Doria, noto "maestro di strada", che è stato anche consulente del ministro Fioroni, si dice d'accordo sulla diagnosi di Paola Mastrocola riguardo alla precaria salute dell'italiano a scuola; e propone a sua volta di ripristinare l'esame di quinta elementare: soprattutto come verifica della conoscenza della lingua, ma anche (giustamente) come "rito di passaggio".
Speriamo che qualcuno colga l'occasione per spiegarci il motivo per cui era stato abolito. E magari non sarebbe male, ora che molte scuole primarie fanno parte di istituti comprensivi, se facesse parte della commissione almeno un insegnante della scuola media. Allo stesso modo, si potrebbe far partecipare all'esame di fine ciclo un docente delle superiori. Tanto per non essere troppo autoreferenziali. Leggi l'articolo di Rossi-Doria. (GR)

venerdì 19 febbraio 2010

L'ITALIANO IN COMA. REVERSIBILE?

Sulla “Stampa” Paola Mastrocola propone un rimedio emergenziale per recuperare a un italiano accettabile le nuove generazioni, si tratti di scrittura corretta o di comprensione del testo: corsi intensivi pomeridiani (di vari mesi, però) per chi approda alle superiori; finanziati con i risparmi lacrime e sangue di Tremonti.
Sullo stesso tema, il quotidiano torinese intervista Elena Ugolini, preside e membro dell’Invalsi, che assegna alla comprensione della lingua scritta e a una didattica più stimolante la priorità logica e temporale sull’ortografia.
Infine, una futura docente della scuola primaria ci sgomenta con una testimonianza di prima mano sul livello del suo corso di studi.
Aggiungiamo un altro ingrediente fondamentale: sarebbe ora che alcuni argomenti essenziali da trattare a scuola - con la massima libertà quanto ai metodi - venissero chiaramente prescritti da programmi (dico “programmi”) nazionali, con il necessario séguito di controlli e verifiche. (GR)

martedì 9 febbraio 2010

UN PRIMO COMMENTO SULLA RIFORMA GELMINI

La razionalizzazione degli istituti tecnici


Della riforma delle superiori, la parte veramente “gelminiana” è soprattutto quella dei licei, perché la riorganizzazione delle scuole tecniche e professionali è in buona sostanza frutto dei due anni di lavoro della commissione De Toni insediata dal ministro Fioroni. La direttiva politica fondamentale che ne era alla base era stata quella di collocare in via definitiva gli istituti professionali fra le scuole di competenza statale accanto agli istituti tecnici, invece di affidarli, come la Costituzione voleva e come il buon senso consiglierebbe, ai governi regionali, in modo da sintonizzarne meglio la funzione con le esigenze dell’economia locale. In precedenza si era presto sgonfiato il tentativo morattiano - secondo le indicazioni della commissione Bertagna - di creare un doppio canale “istruzione-formazione” (allo Stato i licei, alle Regioni i tecnici ed i professionali). Il riordino dell’istruzione tecnica e professionale ha puntato a limitare la frammentazione in tanti indirizzi, a ridurre a 32 le ore di lezione, a rafforzare le aree scientifiche e tecniche ed infine a potenziare tramite stage il rapporto con il mondo del lavoro. Una razionalizzazione e semplificazione dell’attuale giungla di indirizzi era senz’altro necessaria.

Gli istituti professionali: un’occasione persa

Sbagliata è invece, a nostro avviso, la scelta sostanzialmente bipartisan di caratterizzare ancora di più gli istituti professionali come parenti stretti dei tecnici, penalizzando proprio le materie tecnico-pratiche, invece di andare nella direzione esattamente opposta: quella cioè di preparare i giovani ad una cultura del “fare”, assorbendo gradualmente al proprio interno la stessa formazione professionale. Possiamo solo auspicare che l’intervento delle regioni, come è previsto dal Titolo quinto della costituzione e come è già avvenuto in Trentino e in Lombardia, possa correggere in positivo questa impostazione. E questo anche per rispondere in modo appropriato al gran numero di insuccessi scolastici, che proprio negli istituti professionali fanno registrare i maggiori picchi.

I sei licei

Venendo ai Licei, il merito maggiore della riforma sta non solo nel taglio drastico delle sperimentazioni (oltre 450) e in una riduzione oraria che specie in certi indirizzi era indispensabile, ma anche nell’aver delimitato gli ambiti disciplinari dei sei licei proposti, ognuno con una sua specifica identità culturale e formativa, e avendo a comune il potenziamento di alcune materie (scienze, lingua straniera, matematica).
Nel biennio la drastica riduzione di orario imposta da Tremonti ha portato all’esclusione o al ridimensionamento di alcune materie (geografia, diritto ed economia, storia dell’arte e altre), alcune delle quali sarebbe stato importante conservare, a prescindere dalle proteste delle varie associazioni disciplinari. Però va ricordato che nell’ambito dell’autonomia scolastica ogni istituto avrà la possibilità di gestire dal 20 al 30% del monte orario, in relazione alla propria offerta formativa. Vero è che su questa opportunità è d’obbligo un po’ di scetticismo, dato che si tratta di mettere mano a orari e cattedre.
Tra gli aspetti più innovativi, ma anche più problematici, c’è l’unificazione dei licei artistici e degli istituti d’arte, che rischiano di perdere la specificità artigianale-artistica dei loro tradizionali laboratori. Anche in questo ambito l’istituzione da parte delle regioni di corsi di formazione professionale consentirebbe da un lato di preservare alcune preziose tradizioni artigianali, dall’altro di dare a tanti ragazzi una valida alternativa al percorso liceale.

Il rapporto con la scuola

Quanto al coinvolgimento della scuola nel processo riformatore c’è stato indubbiamente un apprezzabile sforzo sul piano del metodo, con l’organizzazione di seminari nazionali, la nomina di referenti regionali incaricati di spiegare la riforma, l’apertura di tre siti web e la presenza di insegnanti e dirigenti scolastici in servizio nella Cabina di regia incaricata di perfezionare la riforma dei licei. Insomma, una partecipazione della “base” c’è stata, certo assai più che nel famoso comitato dei quaranta di berlingueriana memoria, tra i cui membri non si trovava neanche un docente.
Non è stata la “consultazione di base” che sindacati della scuola e organizzazioni studentesche avrebbero voluto, invocando quasi una forma di sovranità popolare sulle riforme da attuare, ma la democrazia ha le sue mediazioni e i suoi strumenti. E d’altra parte si può star certi che una consultazione del genere avrebbe portato - nella migliore delle ipotesi - a conservare lo “status quo”.
La riforma dei “contenitori” è un punto di partenza, ma per una vera e profonda riforma della scuola serve molto altro, mai dimenticando di ispirarsi a tutti i livelli ai due criteri fondamentali del merito e della responsabilità.

Programmi, “carriera”, organi di governo, aggiornamento...

Servono prima di tutto dei programmi finalmente liberati dalle ipoteche pedagogistiche e dagli interminabili elenchi di competenze; programmi che definiscano con trasparenza e concretezza gli obbiettivi didattici fondamentali. Come chiedono Giorgio Israel e Paola Mastrocola e come ha dichiarato di voler fare il Presidente della Cabina di regia Max Bruschi (si vedano due suoi interventi e quello di Giorgio Israel a commento della nostra nota del 5 gennaio). Sui programmi, un unico, ma pesante interrogativo: ci sarà tempo per un lavoro seriamente meditato? Ci pare piuttosto difficile.
Serve poi che dirigenti e insegnanti siano capaci di assumersi pienamente le responsabilità professionali connesse al loro ruolo e che la loro attività sia verificata e valutata. Questo implica che arrivi in porto una riforma dello stato giuridico e degli organi collegiali che metta fine al generico blaterare di autonomia e fornisca alle scuole competenze dirigenziali e organizzative molto più elevate di quelle attuali. Sarà anche fondamentale cambiare radicalmente i metodi dell’aggiornamento, da basarsi in gran parte sul metodo seminariale che valorizza l’esperienza sul campo e ne rende possibile la condivisione con i colleghi.

... E più soldi
E poi, indubbiamente, più mezzi. Se il valore di una scuola sta in buona parte nella capacità degli insegnanti di svolgere seriamente il loro lavoro, oltre che nella trasparenza e concretezza dei suoi programmi, è anche vero che certe forme di opposizione centrate in maniera monocorde sui “tagli” hanno avuto buon gioco. Tanto la reintroduzione del maestro prevalente, quanto il riordino dei licei sono apparsi troppo meccanicamente necessitati dalla scure tremontiana. E molte scuole, davvero, non hanno più il classico becco di un quattrino.

L’opposizione
Detto questo, è doveroso aggiungere che le critiche dell’opposizione, in certi momenti apparsa disponibile a lavorare costruttivamente, sono state spesso fuori misura e che non di rado si è mescolata piuttosto grossolanamente la questione delle minori risorse con le problematiche relative ai contenuti culturali e didattici, perdendo l’ennesima occasione di fare proposte costruttive per approvare in maniera almeno in parte condivisa riforme così cruciali nell’interesse di tutti gli italiani.

Gruppo di Firenze

L'INSEGNANTE CHE VOLEVA INSEGNARE

I curatori fallimentari della bancarotta pensionistica sindacal-partitocratica hanno dovuto prendere provvedimenti impopolari, questo va da sé. Ma si deve per forza lasciare da parte anche il rispetto per le persone? C'è una generazione di pubblici dipendenti che ha avuto in sorte di vedere la meta della pensione allontanarsi per tre o quattro volte - roba da sfiancare un monaco buddista -, mentre alcuni che vorrebbero rimanere sono espulsi d'autorità in base a una norma che varrà per un triennio: "Fuori chi ha quarant'anni di contributi". Ignaro di meriti e di demeriti, il pallottoliere impera. Ne è giustamente sconfortata la collega Anna Maria Macchi che insegna, con passione, a Legnano.

venerdì 5 febbraio 2010

L’ORA DI LEZIONE SOTTO ATTACCO PERMANENTE

Da ottobre a gennaio (e quest’anno molto oltre), si svolgono nelle scuole medie le attività di orientamento. È in questo periodo che si tocca con mano quanto “la lezione”, cioè il momento centrale dell’istituzione scolastica, abbia perso di considerazione nella menti di molti docenti e dirigenti. Una preoccupazione costante, infatti, dovrebbe guidare la pianificazione di incontri, visite, colloqui: evitare per quanto possibile di interferire con il regolare svolgimento delle lezioni. Macché. Vengono anzi incoraggiate le visite di intere classi delle medie agli istituti superiori; e dato che vi sono impegnati almeno due accompagnatori, il risultato è di privare della lezione anche altre classi che rimangono a scuola. C’è da chiedersi, poi, con quale criterio si scelgano le mete, non essendo pensabile di visitare tutte quelle che gli allievi prendono in considerazione. A lasciarli fare, poi, alcuni istituti superiori farebbero il giro di tutte le medie per illustrare ai potenziali iscritti le allettanti caratteristiche del proprio istituto. Rigorosamente di mattina, però. In un diverso orario, tra l’altro, potrebbero intervenire anche i genitori; ma i responsabili del marketing scolastico sanno benissimo quale indice di gradimento riscuote il poter saltare la lezione, anche senza considerare i molteplici impegni pomeridiani di tanti alunni. Ma non basta. Pensa e ripensa, cosa hanno inventato per attrarre i giovani iscrivendi? La possibilità di “assistere a una lezione”. È facile valutare quale possa essere il valore orientativo (cioè zero) di una lezione, tenuta da uno tra i vari professori di una delle varie materie. Altrettanto facile giudicare, per le persone di buon senso, quale sia il quoziente etico di questa operazione, anche se condotta - c'è da supporre - in buona fede. Purtroppo, finora non mi risulta che qualche scuola media si sia risentita di questo incoraggiamento a disertare le proprie aule.
Come se questo non bastasse, altre assenze sono causate dalla necessità di sottoporre i figli a viste mediche, controlli, analisi, perché, a quanto pare, in molti casi i servizi sanitari non prevedono appuntamenti pomeridiani. Ma lo sanno che esiste la scuola? Oppure se ne infischiano?
Tutto questo - e altro - nel quadro di una normativa che prevede un tetto massimo di assenze di un giorno ogni quattro (cioè oltre cinquanta in un anno), senza dover indicare motivi particolari e per di più derogabile a giudizio della singola scuola.
Il messaggio che arriva ai nostri allievi non potrebbe, quindi, essere più chiaro: la lezione non è veramente importante, se ne può tranquillamente fare a meno. (Giorgio Ragazzini)

Sulla reazione all'arrivo delle competenze nella scuola francese
, segnaliamo un articolo del collega Piero Morpurgo dal sito della Gilda di Venezia.

lunedì 1 febbraio 2010

PIAZZA DEI MESTIERI

Dal 2004 a Torino, nel quartiere di S. Donato, c’è Piazza dei mestieri, ricavata in una vecchia conceria abbandonata. È stata concepita per i ragazzi che abbandonano la scuola superiore. Si tratta di corsi di formazione professionale, che interessano cinquecento studenti. Di come nacque e di quali attività vi si praticano e vi si insegnano, parla oggi sul “Sole24Ore” un servizio di Maria Bianucci. Chi volesse approfondire ulteriormente, può visitare il sito di Piazza dei mestieri.
A proposito di formazione professionale e territori contigui, Giuliano Cazzola torna a chiarire il senso del suo emendamento e della mozione trasversale che ha accompagnato la sua ulteriore messa a punto.
Intanto la stilista Raffaella Curiel dichiara al TG1: "Abbiamo centinaia di stilisti, ma non riusciamo più a trovare un sarto".