sabato 30 maggio 2015

IL DIRITTO A NON FARE COMPITI ESTIVI

Parlare con equilibrio e buon senso dei compiti estivi, nonché di quelli per casa durante l’anno, sembrerebbe facile ma a quanto pare non lo è. Anche quest’anno si fanno avanti granitiche certezze sulla loro inutilità, per non dire nocività. Sulla piattaforma Change.org è stata promossa una petizione firmata da genitori, maestri, pedagogisti e dirigenti, che con toni parecchio sopra le righe ne chiedono l’abolizione, per evitare disagi e sofferenze agli allievi quando non “odio per la scuola e repulsione per la cultura”. Da decenni sono usciti di scena temi educativi fondamentali come la volontà, l’impegno, la costanza in vista di un risultato, la cura nell’esecuzione del lavoro. Una parte dei genitori e anche non pochi colleghi e dirigenti sono afflitti dalla sindrome dell’iperprotezione, che guarda con angoscia e biasimo ogni esposizione dei giovani alle difficoltà, agli insuccessi, alla fatica. Generazioni di bambini e ragazzi sono state chine sui libri, ma quelli odierni hanno un diritto inalienabile a pomeriggi liberi e vacanze sterminate che nessuno dovrebbe interrompere o disturbare con qualcosa che ricordi la scuola. Durante l’estate si possono fare letture, si può riflettere scrivendo sulle proprie esperienze e, con le istruzioni degli insegnanti, si può colmare qualche lacuna.  Imporre valanghe di compiti è ovviamente una fesseria che può fare seri danni, come l’abuso delle medicine o l’eccesso di esercizio nello sport. Ma non per questo qualcuno ha proposto l’abolizione dei farmaci e degli allenamenti. D’altra parte, come sensatamente pensa Laura Montanari nel servizio su “La Repubblica”, “la maggioranza della scuola italiana continua a sostenere l’utilità dei compiti”.

venerdì 15 maggio 2015

CHE BRUTTO ESEMPIO DÀ UN PROF, SE BOICOTTA IL TEST [“Il Corriere Fiorentino”, 15 maggio 2015]

Sono giorni brutti per la scuola, comunque la si metta e chiunque alla fine riesca a vincere la partita tra sindacati dei docenti e governo. Continua a leggere.

giovedì 14 maggio 2015

LA TESTIMONIANZA DI UN GENITORE SULL'INVALSI TAROCCATO E SULL’INTIMIDAZIONE DI UN’ ALLIEVA

Marcello Dei, il sociologo che ha dedicato alla scuola buona parte delle sue ricerche ed è noto per il libro RAGAZZI SI COPIA. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane, ci ha inviato lo scambio di lettere con un genitore a proposito dello svolgimento dei test Invalsi in una scuola elementare, che pubblichiamo nelle parti essenziali, opportunamente modificate per non rendere riconoscibili i protagonisti. Riprendiamo quindi il tema, già trattato nei giorni scorsi, dell’assenza nella scuola italiana di qualsiasi riflessione sull’etica professionale, i cui principi fondamentali non dovrebbero mai essere sacrificati neppure alla più motivata delle battaglie, anche perché non mancano i mezzi per farsi sentire, come ha dimostrato lo sciopero del 5 maggio. Di particolare rilievo è il punto della responsabilità educativa, anche attraverso i comportamenti, nei confronti degli allievi. Ma sarebbe forse sufficiente prendere sul serio l’articolo 54 di quella Costituzione che in tanti sbandierano di voler difendere a ogni costo. Dice: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Continua a leggere.

mercoledì 6 maggio 2015

SUI POTERI DEI PRÈSIDI: CHIAMATA E VALUTAZIONE DEI DOCENTI

Per capire che cosa è in gioco quando si parla di poteri dei dirigenti scolastici bisogna partire da una caratteristica fondante dell’istruzione pubblica, e cioè la sua neutralità ideologica. Ciò significa  che non vi si può né privilegiare né discriminare alcuna tendenza religiosa, politica, culturale. In altre parole, è essenziale che la scuola pubblica non sia di parte. Questo si realizza necessariamente attraverso la libertà di insegnamento, cioè di pensiero e di metodo, di ciascun insegnante, un po’ come la funzione della giustizia si realizza attraverso l’indipendenza del giudice, condizione ineliminabile della sua imparzialità. Tra le principali garanzie di questa libertà, come dell’indipendenza del giudice, ci sono adeguate modalità di reclutamento (concorso pubblico) e la stabilità del posto di lavoro. Stabilità che la riforma non garantisce. Com’è noto, infatti, è prevista l’istituzione di albi territoriali formati dai nuovi assunti e dai docenti che faranno domanda di trasferimento. Tra questi i presidi potranno scegliere gli insegnanti a cui proporre un contratto triennale rinnovabile; e dunque anche non rinnovabile. È vero che il docente non verrà licenziato, verrà però rispedito negli albi territoriali, oltretutto accompagnato dallo stigma del mancato rinnovo. Per tornare all’analogia con i giudici, si sa che questi possono essere trasferiti solo su loro richiesta o in seguito a provvedimenti disciplinari. È facile immaginare quale condizionamento il timore di questa eventualità potrà esercitare sui suoi rapporti con il dirigente in termini di libertà di espressione nell’ambito degli organi collegiali, di disponibilità a partecipare o meno ai progetti della scuola o a uniformarsi a impostazioni metodologiche maggioritarie, che magari scoraggino fortemente le insufficienze gravi, le ripetenze o le sanzioni disciplinari. Non si può invece escludere la possibilità di avvalersi, per necessità specifiche che non si possono soddisfare con le risorse interne, di personale a tempo indeterminato in aggiunta, e non in sostituzione, di chi riveste la vera e propria funzione docente. 
Sarebbe infine l’ora di rendere possibile l’allontanamento in tempi brevi dalle classi degli insegnanti palesemente non all’altezza del loro ruolo, cosa attualmente molto difficile. Eppure dovrebbe essere pacifico il sacrosanto diritto degli allievi di avere docenti adeguati e di non subire per anni gravi danni alla propria crescita culturale. I colleghi in seria difficoltà, invece, non devono essere lasciati a se stessi, né colpevolizzati, ma aiutati in modo efficace e tempestivo.
Un altro potere contestato del dirigente è quello di valutare da solo i docenti, soprattutto in relazione agli annunciati premi stipendiali  per “i migliori”. Anche alcuni presidi hanno proposto che in questo ruolo il dirigente debba essere affiancato da una commissione, possibilmente integrata (organico permettendo) da un ispettore. Purtroppo il rimedio che si annuncia è peggiore del male: se ne occuperà un comitato formato dal dirigente, da due docenti e, ahimè, da due genitori (nel primo ciclo; nelle superiori da un genitore e da uno studente). Siamo perfettamente nel solco di quell’idea demagogica di “partecipazione” che va avanti da un trentennio e che non accenna a tramontare. Solo nella scuola ci si fa beffe della qualificazione tecnico-professionale che dovrebbe legittimare chi riveste certi ruoli. Per il momento almeno, gli utenti non sono stati inseriti negli organi di valutazione delle aziende sanitarie, figuriamoci poi in quelli della magistratura (il che non significa che i pareri di studenti e genitori non debbano figurare tra gli elementi da prendere in considerazione, soprattutto in relazione alla correttezza professionale).
Detto questo, dare più soldi a un certo numero di insegnanti valutati come migliori, ammesso che si possa farlo senza troppa arbitrarietà, difficilmente migliorerà le loro prestazioni, già remunerate dalle soddisfazioni professionali, mentre può demotivare molti bravi insegnanti, anche perché si domanderanno perché chi lavora poco o male continui a essere retribuito come loro. Il primo merito da riconoscere è infatti quello della grande maggioranza dei docenti seri e impegnati. Paradossalmente, invece, l’impostazione premiale si risolverà facilmente in ulteriore perdita di motivazioni del corpo docente e peggiorerà il clima interno.
Quanto alla cosiddetta “carriera”, chi ha il desiderio e l’accertata capacità di contribuire al funzionamento della scuola in ruoli di coordinamento o di progettazione deve invece essere retribuito adeguatamente per il lavoro in più oppure esonerato parzialmente dall’insegnamento. Che almeno una parte di questi insegnanti siano scelti dai dirigenti non sembra francamente illogico. 
Infine, gli scatti di anzianità non possono essere residuali, come sembra attualmente previsto; non devono però essere assegnati a tutti indistintamente, ma solo a chi ha lavorato senza demerito, cioè con merito; ed è sicuramente la maggioranza. La stessa distinzione dovrebbe valere anche per l’assegnazione del punteggio nelle graduatorie, fino a oggi quasi del tutto impermeabili ad altri criteri che noi siano il passare del tempo. (GR)