mercoledì 28 ottobre 2009

OBBLIGO SCOLASTICO E FORMAZIONE PROFESSIONALE

Contro l’abbandono di troppi ragazzi
più libertà di scelta, più opportunità di valorizzare i loro talenti

Firenze, giovedì 5 novembre 2009, ore 15-19
AUDITORIUM OSPEDALE DEGLI INNOCENTI
Piazza SS. Annunziata

Con il patrocinio della Provincia di Firenze, Assessorati all'Istruzione e alla Formazione
SALUTI

GIOVANNI DI FEDE
Assessore all’Istruzione Provincia di Firenze
ELISA SIMONI
Assessore alla Formazione Provincia di Firenze
CESARE ANGOTTI
Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale

RELAZIONI

VALERIO VAGNOLI
Dirigente Scolastico Istituto “G.Vasari” / Gruppo di Firenze:
Obbligo scolastico: più opportunità = più uguaglianza
ROSARIO DRAGO
Dipartimento Istruzione della Provincia Autonoma di Trento:
Obbligo scolastico e formazione professionale nelle esperienze delle regioni italiane

DIBATTITO E CONCLUSIONI

Sono previsti interventi di esponenti del mondo del lavoro, di agenzie formative, di dirigenti scolastici e insegnanti.

Sarà presente il dott. ELIO SATTI, Dirigente del Settore Istruzione e Educazione della Regione Toscana

PERCHÉ QUESTO CONVEGNO
Il documento di analisi della scuola italiana con cui si era costituito nel 2005 il Gruppo di Firenze riservava un intero paragrafo al problema della formazione professionale. Il problema si riduceva in sostanza al fortissimo rifiuto ideologico di cui era stata oggetto quella parte della riforma Moratti, che prevedeva due “canali” di pari dignità a disposizione dei ragazzi italiani: quello dell’istruzione e quello, appunto, della formazione professionale. La questione ha molto a che fare col merito. Infatti un sistema di istruzione e formazione deve fare il possibile per offrire la possibilità di svilupparsi a tutti i diversi talenti (i differenti tipi di intelligenza). Il merito consiste poi, essenzialmente, nell'impegno con il quale ciascuno valorizza i propri.
C'è poi stato, da parte del centrosinistra, l’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni (quello formativo c’era già, e a diciott’anni), realizzato e poi temperato da Fioroni con la possibilità per le regioni di permetterne l’assolvimento anche attraverso percorsi di carattere professionale.
La Regione Toscana ha scelto, diversamente dalle altre regioni, di limitare tale assolvimento al solo canale dell’istruzione (cioè licei, istituti tecnici e professionali), pur con il correttivo di attività di orientamento e laboratoriali, destinate ai ragazzi più in difficoltà.
Nonostante l’impegno della Regione, tuttavia, ogni anno nelle prime classi degli istituti professionali (ma in parte anche dei tecnici) si verifica un altissimo numero di insuccessi scolastici e molti sono i ragazzi che smettono di frequentare prima dei sedici anni.
Spesso sono delusi nelle loro aspettative da una scuola che riserva uno spazio troppo limitato al “fare”, cioè al tipo di apprendimento più gratificante perché più vicino ai loro interessi e alle loro attitudini. Tutto questo suggerisce un’ulteriore riflessione su questa scelta.
Noi pensiamo che sia necessario offrire ai ragazzi, fin dal primo anno delle superiori, la possibilità di percorsi di istruzione / formazione professionale.
Siamo convinti che l’obbiettivo di creare le condizioni di una maggiore uguaglianza sia più concretamente perseguibile dando ai ragazzi anche questa opportunità, che non insistendo su una tendenziale uniformità del percorso scolastico.
L’obbiettivo di questo convegno è appunto quello di essere un momento di riflessione e di approfondimento su questi temi, in cui poter avere, tra l’altro, una maggiore conoscenza delle esperienze in atto altrove e un confronto con i responsabili della Regione Toscana, che abbiamo invitato a intervenire.

Gruppo di Firenze

giovedì 22 ottobre 2009

CHE FINE HA FATTO IL MERITO?

di Giorgio Allulli

Uno dei sedici firmatari dell'appello "Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità", da noi promosso nella primavera del 2008, fa il punto sugli obbiettivi di quell'iniziativa a oltre un anno e mezzo dalla sua presentazione. Proprio su questo punto ci aveva sollecitato nei giorni scorsi il collega Vincenzo Pascuzzi con un parere molto critico e un invito a esprimerci in merito. Ci riserviamo di farlo nei prossimi giorni.

Premetto che la mia risposta viene scritta a titolo del tutto personale, non avendo collegamenti organici con il Gruppo di Firenze, del quale ho peraltro condiviso l’appello, perchè ritengo che promuovere tutti, senza verificare l’effettiva acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie per progredire nello studio ed entrare nel mondo del lavoro, sia la peggiore truffa che si possa perpetrare proprio ai danni di coloro che non hanno altri mezzi per emergere che le loro capacità personali.
Se uno studente proveniente da un ambiente “protetto” viene promosso senza avere una reale preparazione, la famiglia lo metterà comunque in grado di accedere ad una decorosa posizione nel mondo del lavoro. Se invece uno studente proveniente da una famiglia svantaggiata esce con una scarsa preparazione troverà sicuramente molti problemi ad inserirsi nel mercato del lavoro, anche a dispetto del diploma posseduto. Se, infine, manca una selezione basata sul merito l’unico criterio per l’affermazione sociale sarà quello del ceto familiare. Prova ne sia che l’Italia (v. Rapporto Fondazione Montezemolo) è il Paese con il più basso indice di mobilità sociale.
In che modo è stato messo in pratica questo appello al merito, apparentemente condiviso dal Ministro?
La mia impressione è che la preoccupazione prevalente del Ministro Gelmini sia stata quella di contenere le risorse pubbliche. Questo ovviamente non è di per se né pro né contro il merito, ma il modo in cui è stato fatto non ha tenuto conto delle caratteristiche e delle specificità delle diverse situazioni. Se si parla di merito bisogna anche avere la capacità di distinguere, di separare, di valutare le diverse situazioni sia quando si danno risorse aggiuntive, sia quando si tolgono. Ad esempio il mensile “Tuttoscuola” aveva messo in luce moltissimi squilibri territoriali sui quali si poteva intervenire per razionalizzare l’uso delle risorse, eliminando aree di privilegio e salvaguardando quelle di maggiore fabbisogno. Questo non mi sembra che sia stato fatto.
Un forte accento è stato poi posto sui voti, e sul modo in cui determinano la carriera scolastica. Personalmente ritengo che sia giusto essere chiari e rigorosi nei criteri di promozione, ed evitare facili buonismi, però il ritorno al rigore non deve essere inteso come semplice movimento pendolare, del tipo “finalmente si torna a bocciare”. Il buonismo non nasceva solamente dal lassismo, ma era anche l’effetto, probabilmente semplicistico, della consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti esistenti per valutare i ragazzi e per sostenere il loro percorso scolastico.
L’indagine Pisa ci dice, ad esempio, che esiste una bassa relazione tra risultati dei test e voti di profitto; in alcune scuole si boccia molto, in altre meno. Al Sud si assegnano voti più alti che al Nord. Qual è il criterio in tutto questo? Nel momento in cui si vuole tornare a dare più importanza al voto (giusto) bisogna anche sostenere l’esercizio del voto per renderlo il più possibile strumento non casuale di giudizio. E questo non mi sembra che sia stato fatto; non è cosa che si possa fare in un giorno, od in un anno, mi rendo conto, ma non riesco a vedere neanche le premesse.
Un sistema che vuole introdurre il merito non deve mirare solo all’anello più debole della catena, ai ragazzi, ma deve creare un ambiente condiviso di attenzione ai risultati, in cui tutti si assumano le proprie responsabilità, ed anche questo non solo manca ma neanche viene messo in moto. Manca ad esempio ancora una strategia relativa al Servizio nazionale di valutazione, al di fuori della distribuzione di test a campioni di studenti scelti all’interno di scuole volontarie; come dire siamo sempre all’anno zero. Non si parla di valutazione esterna degli istituti, di indicatori di performance, di riforma del corpo ispettivo, ecc.
Sia chiaro, non voglio fare del benaltrismo. Da qualche parte bisogna anche cominciare, e potrebbe anche andare bene cominciare dai voti; tuttavia bisognerebbe nel frattempo mandare almeno alcuni segnali che mostrano che si vuole affrontare il problema in modo più ampio, e questi segnali ancora non li vedo.

domenica 18 ottobre 2009

LUOGHI COMUNI E REALTÀ SU OCCUPAZIONI E DINTORNI

Su questo blog abbiamo spesso denunciato i danni provocati da una società che non fa rispettare le regole ai suoi ragazzi. Un colpevole autoinganno fa perseverare molti adulti in alcune inconsistenti convinzioni e luoghi comuni:
1. L’occupazione, certo, non è in sé un fatto positivo, ma per i ragazzi costituisce un importante“rito iniziatico”.
Purtroppo nella maggioranza dei casi le occupazioni risultano deludenti per gli studenti che vi prendono parte e comunque diseducative, perché non si scontrano con interlocutori solidi e non ottengono in genere nulla, quando non creano danni gravi (vedi articolo su quelle fiorentine).
2. È giusto che attività politiche o manifestazioni studentesche abbiano luogo regolarmente nell’orario scolastico (e pazienza se vi partecipa solo una minoranza e gli altri vanno a casa).
Le iniziative degli studenti potranno essere prese sul serio dall’opinione pubblica quando si svolgeranno di pomeriggio e non faranno perdere ore di lezione. Sarebbe d’altra parte una scelta fondamentale di politica scolastica quella di favorire l’associazionismo studentesco in orario extrascolastico come luogo di crescita culturale e civile, che costituirebbe una reale alternativa alle occupazioni e alle autogestioni.
3. In nome della democrazia si possono tollerare cortei non autorizzati (per non parlare di quelli autorizzati) anche se paralizzano il traffico di un’intera città.
Sarebbe altamente educativo - oltre che doveroso - che a nessuna manifestazione politica, studentesca o no, fosse consentito di ledere i diritti di altri.
4. Non essendo l’Italia uno Stato di Polizia, è ovvio che se un preside chiama la forza pubblica, perché gli studenti impediscono di fare lezione, quest’ultima di solito non venga neppure o, se arriva, si produca tutt’al più in paterne raccomandazioni.
Leggi, forze dell’ordine, magistratura, dirigenti scolastici dovrebbero convergere nel far capire ai ragazzi quali sono i loro doveri accanto ai loro diritti.
5. Per promuovere il senso di responsabilità e prevenire vandalismi e altri comportamenti antisociali è prioritario lo studio dell’educazione civica o il seguire qualche progetto di “educazione alla legalità”.
Alle regole si educa prima di tutto facendole sempre rispettare. Solo così si è credibili anche nell’ora (senz’altro utile) di “educazione alla cittadinanza”.
Da qualche anno la scuola - prima con Fioroni, poi con la Gelmini - sta facendo dei passi avanti (non senza errori e incertezze) sulla via del rigore e della responsabilità. Troppi adulti, purtroppo, e fra questi non pochi insegnanti, si attardano in presunte trincee antiautoritarie, abdicando in sostanza al compito di dare degli autentici punti di riferimento alle nuove generazioni.

(GR)

martedì 6 ottobre 2009

MERITO: LA SCUOLA NON PUÒ PROMUOVERLO DA SOLA

Sia nel mondo del lavoro che nella carriera politica il merito è tutt'altro che di casa. Di fronte a tanti cattivi esempi (quelli "dall'alto" specialmente nocivi), "come possiamo poi prendercela con la scuola?". Se lo chiede Innocenzo Cipolletta in un sensatissimo intervento sul "Sole 24 Ore".

RESPONSABILITÀ (CIVILE): AI DOCENTI L'ONERE DELLA PROVA

Per gli incidenti ai ragazzi verificatisi a scuola si è largamente affermata l'inversione dell'onere della prova (è quasi sempre l'insegnante che deve dimostrare di aver vigilato a sufficienza), tanto che un preside ha potuto sostenere che la responsabilità del docente scatta automaticamente. Niente dimostra in maniera tanto eloquente quanto la nostra società comprende e sostiene il difficile compito di chi forma le nuove generazioni. Leggi.

lunedì 5 ottobre 2009

FRANCIA: SOLDI ALLE CLASSI CONTRO LA CATTIVA CONDOTTA E L’ASSENTEISMO (CHE IN ITALIA È PRATICAMENTE LEGALIZZATO)

Il “Corriere della Sera” riferisce di un progetto sperimentale che riguarda tre istituti professionali di Créteil, a sud-ovest di Parigi: se la classe manterrà le assenze e la condotta “entro parametri accettabili” conquisterà un “bonus” da 2000 a 10.000 euro, utilizzabili in “progetti educativi collettivi” da concordare con gli insegnanti: dai corsi preparatori per la patente (sic) ai viaggi di istruzione. Non è dato sapere quali siano i “parametri accettabili”, ma sembra proprio la classica iniziativa da ultima spiaggia. C’è da credere che si comincerà l’esperimento - limitato a centocinquanta ragazzi - dalle classi col maggior tasso di assenteismo e/o di condotte inaccettabili. Si premierà quindi il demerito?
In attesa di ulteriori chiarimenti, va notato che in Italia l’assenteismo è in pratica legalizzato: l’anno si perde soltanto con oltre cinquanta giorni di assenza comunque motivata, cioè un quarto dell’anno scolastico (dl 19.2.04, art. 11, comma 1); e naturalmente ogni scuola può oltrepassare questo limite, stabilendo autonomamente “motivate deroghe” per “casi eccezionali”.
Poiché i messaggi di serietà si danno in tanti modi e le piccole riforme sono spesso più efficaci delle “grandi”, perché non ridurre drasticamente questo “bonus” a un massimo del 10% (circa venti giorni), con possibilità di superarlo, entro certi limiti, solo dietro certificazione medica?
Leggi l’articolo di cronaca e il commento di Eraldo Affinati.

(GR)