Intervista a cura di Giorgio Bernardini (“Corriere
Fiorentino”, 26 giugno 2020)
Con Valerio Vagnoli, dirigente
scolastico in pensione, editorialista del Corriere Fiorentino e tra i fondatori
del «Gruppo di Firenze per la scuola del merito della responsabilità», abbiamo
fatto sulle linee guida previste dal governo per il rientro a scuola a
settembre.
«Nelle nostre classi le regole non vengono quasi mai
rispettate normalmente, questo aggrava la situazione in vista delle nuove
disposizioni per la riapertura delle scuole: sono lacunose e sbagliate, si sta
perdendo un’occasione storica».
Come va considerata la bozza delle linee guida della
ministra Lucia Azzolina: un avvio di discussione sulle decisioni da prendere o
l’ultima parola del governo che poi passa la palla ai presidi?
Il tentativo di ufficializzare la bozza di documento
fatto dal ministero era una prova di forza. Si sono mossi i presidi, gli enti
locali e i sindacati, perché molte — troppe — cose non vanno. Di fronte allo
spettro di un’ennesima debacle il governo deve metterci le mani, altrimenti
verrà pregiudicato seriamente l’inizio anno scolastico.
Quali sono le lacune più vistose?
Non sono chiare nel delineare le responsabilità del
ministero, delle scuole e degli enti locali. Non specificano quali siano le
responsabilità e c’è il chiaro tentativo di demandare alle scuole compiti che
non sono in grado di affrontare senza direttive nazionali: i sei giorni la
settimana e le ore da 45 minuti sono un esempio.
Nella scuola è stato inserito il
criterio dell’autonomia. Nella stagione del post Covid è un vantaggio o un
ostacolo?
Può essere una straordinaria opportunità o un colpo di
grazia. Mi sembra si stia andando verso quest’ultima soluzione. Un mese fa misi
in rilievo la necessità di partire subito per reperire spazi — da parte degli
enti locali — e di cominciare con il gruppo portante che ha ogni scuola ad
ipotizzare soluzioni didattiche. Sono certo che l’hanno fatte in poche.
Sarà un problema far indossare le
mascherine agli alunni?
Ci saranno difficoltà, accresciute dal fatto che già
nella nostra scuola c’è difficoltà nel far rispettare le regole. Chi parlava di
rispetto delle regole negli anni scorsi veniva chiamato sceriffo, oggi le cose
si complicano.
Se uno studente non obbedisce
all’obbligo di indossarla, cosa deve fare un docente?
Fossi ancora preside, lo studente rimarrebbe a casa.
Andrebbe aggiornato anche il regolamento di istituto riguardo a questo aspetto,
perché è in gioco la salute di tutti.
Che vantaggi porta la soluzione
delle ore di lezione accorciate?
Così nessuna. Se si fa un orario di 45 minuti è
evidente che l’occupazione delle aule aumenta a dismisura. L’alternativa è
diminuire il monte orario (quello attuale nelle scuole superiori è di 32 ore),
ma la ministra non ha fatto alcun cenno a questo aspetto.
Bisognerebbe partire da alcune
certezze. La prima: quale deve essere il numero dei ragazzi per classe per
garantire la sicurezza
La sicurezza è data dalla possibilità di mantenere la distanza
di un metro fra gli alunni, nella gran parte delle scuole non esiste questo
spazio.
Come si ovvia al problema della
numerosità degli studenti rispetto a spazi ridotti?
L’unica maniera è dividere la classe in due parti: una
a scuola, l’altra a casa. Nello steso tempo rimane un altro problema: siamo in
Italia, l’ingerenza delle famiglie è totale: i genitori di ragazzi seguono le
lezioni, hanno da ridire, controllano, con i social esprimono considerazioni
indecorose e ne va della credibilità della scuola.
Servono altri insegnanti? Non c’è
il rischio che si approfitti della pandemia per fare un’altra infornata di
docenti senza alcun tipo di selezione?
Temo questa possibilità. Le scuole devono farcela con
le loro forze perché un nuovo massiccio inserimento di insegnati non valutati
creerebbe un nuovo precedente per compromettere il mondo dell’apprendimento
Quale modello bisognerebbe
inseguire per il cambiamento?
Quello della Finlandia, poiché la loro è una società
che crede nella scuola. Gli insegnanti lì frequentano un’università specifica
che insieme alla dottrina d’indirizzo ha un percorso sulla formazione
pedagogica. Uno ogni dieci candidati passa la selezione per divenire docente.
L’immissione in ruolo — non pro forma — viene confermata solo dopo due anni.
Le attività sportive saranno
possibili? E come? In quali ambienti?
Per chi ha lo spazio all’aperto potranno esser
eseguite, mantenendo le distanze. Ma non si potrà fare calcio e pallacanestro
oppure sport di contatto.
E l’attività di sostegno? C’è il
rischio di una marginalizzazione del problema?
Diventa più difficile, ma con le mascherine e
l’igienizzazione si può. Del resto non ci sono mai state aule e laboratori
speciali con gli strumenti che a questi ragazzi servono. Dunque diventa anche
questa un’occasione per migliorare la pratica e il personale, dato che l’85%
degli insegnanti di sostegno non ha alcun titolo.
Prima del Covid la sicurezza era
legata agli edifici. Ora anche alla salute. Ci metteremo mai al sicuro?
Non in tempi brevi. Nel tempo che c’è dovremmo
affrontare l’emergenza, ci vuole una sensibilità culturale che non c’è. Quando
cominciai, nel 1973, c’era l’infermiera a scuola almeno una volta alla
settimana: eravamo più organizzati di oggi. C’era un’attenzione, soprattutto
nelle scuole dell’infanzia, che è venuta meno nei decenni seguenti. Bisogna
cominciare a organizzarsi, c’è bisogno prima di tutto di spazi. L’effetto di
una vera riforma si avrà dopo almeno 20 anni, un tempo per cui ci porteremo
dietro i mali e le follie frutto di questi anni.
C’è già chi dice che anche nel
prossimo anno scolastico si dovrà fare uso delle lezioni da remoto, ma come
noto non tutti hanno un pc a disposizione a casa. Si va a ledere un diritto
costituzionale...
È proprio così. Il ministero aveva tra l’altro il
dovere di informarci sui risultati della didattica a distanza di questi mesi.
Aveva il dovere di dirci quali fossero state le difficoltà e i limiti. E invece
non è stato fatto.
Tutto sembra fare da contrasto al
principio del merito. Un destino?
Sì, lo è. In questo Paese è così, inutile girarci
intorno. Pochi pedagogisti e politici, quando si parla di merito, colgono il
problema realmente. Stiamo facendo crescere generazioni di ragazzi fuori dal
significato della scuola, il merito è bandito. La scuola di oggi è davvero
classista, utile soprattutto per impiegare le
persone. La scuola italiana va avanti perché c’è una quota minima d’insegnati
eroici che sceglie di rimanere nelle scuole di frontiera, che ci sono anche in
Toscana. Ma ce ne sono moltissimi che fanno danni irreparabili.
Giugno 2020. La scuola italiana è
viva o moribonda?
Sta morendo, è nel caos, da anni abbandonata in cerca
di un ruolo e di un significato. Purtroppo rischia di perire definitivamente se
non si approfitta di questo disastro sanitario per cogliere l’occasione del
cambiamento.