venerdì 24 febbraio 2017

UNA DOMANDA A RISPOSTA SEMPLICE PER GLI ABOLIZIONISTI DELLA BOCCIATURA

È di due settimane fa il lancio della petizione “Via la bocciatura dalla primaria!”. Il divieto di far ripetere l’anno nella primaria è stato tolto dal decreto sulla valutazione dalla ministra Fedeli, dopo che, come molti ricorderanno, in un primo momento vi era stato inserito. Oltre che su numerose citazioni del parroco di Barbiana, la petizione si basa sul fatto che le bocciature – sostengono i promotori – non sono affatto eccezionali: 11.866 nell’anno scolastico 2014-15. Un numero che però, su 2.820.696 di alunni, rappresenta lo 0,4 %: “figli di immigrati, ragazzi meridionali provenienti dalle famiglie più povere, bambini rom”, dicono i firmatari. Sarà. La verità è che sui problemi della scuola si discute sempre senza la base di serie indagini, per esempio sui motivi che hanno spinto alcuni insegnanti a prendere queste decisioni. Certamente non a cuor leggero. Senza ripetere le solite obbiezioni e contro-obbiezioni, mi permetto di fare una sola domanda – non polemica, ma dialogica – agli “abolizionisti”. Esiste da anni un’amplissima letteratura sui cosiddetti “bambini tiranni”: quelli che a scuola sono insofferenti di ogni regola, si rifiutano di seguire le istruzioni delle maestre, pretendono di fare quello che vogliono, infastidiscono i compagni, interrompono di continuo le lezioni e di fronte ai richiami magari rispondono “Tanto non mi puoi fare niente!”. Da tempo una legione di psicologi e psicoterapeuti raccomanda, proprio nell’ interesse di questi bambini arrabbiati, di farli precocemente incontrare, in famiglia prima ancora che a scuola, con le esigenze imposte dalla realtà, cioè con il fatto che esistono anche gli altri e che alcune cose non si possono ottenere, altre sì, ma solo con l’impegno e un po’ di fatica. Un’esigenza educativa così fondamentale che Massimo Recalcati ha addirittura teorizzato “il diritto di essere puniti” come evocazione del limite. E dunque, se un soggettino di questo tipo si è comportato così per tutto l’anno, logorando i compagni e gli insegnanti che hanno fatto di tutto per interessarlo e facendo registrare un “profitto” insufficiente, la decisione di promuoverlo lo stesso (o l’imposizione per legge di farlo) sarà diseducativa o no? (GR) 

La petizione: http://bit.ly/2lDmCXB

venerdì 10 febbraio 2017

UN CHIARIMENTO SUGLI INTENTI DELLA LETTERA APERTA DI SEICENTO DOCENTI

La lettera aperta al governo e al parlamento di 600 docenti universitari (nel frattempo diventati 673) ha suscitato anche alcune critiche accanto a un ampio consenso. In quanto promotori abbiamo scelto di restare un passo indietro rispetto a chi, facendo proprio il documento e testimoniandone la rispondenza alla realtà, gli ha consentito di avere autorevolezza e forza comunicativa . Dato però che alcune reazioni hanno frainteso lo spirito dell’appello, ci sembra opportuno un chiarimento in proposito.
Primo: la lettera NON è un atto di accusa verso gli insegnanti della scuola primaria e della media, come chiunque può verificare È invece un richiamo alle responsabilità di orientamento, di sollecitazione e di controllo che competono al Ministero della Pubblica istruzione. Vi si dice che “il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato” alla gravità della situazione; che “il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi”, con il risultato che non abbiamo “una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti”, senza di che “né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti” e neppure un aggiornamento qualificato sono sufficienti. Di accuse ai colleghi delle elementari non c’è quindi traccia; e non è una caso che molti consensi li abbiamo registrati anche fra i docenti del primo ciclo.
Per alcuni, poi, i seicento docenti sarebbero fautori di un ritorno alla scuola del passato, forse per l’evocazione di una scuola “più esigente” o per l’accenno ad alcuni tipi di esercizi e di verifiche. Non c’è alcuna nostalgia per il tempo che fu, ma la convinzione che una scuola più rigorosa  è nell’interesse soprattutto dei ragazzi che partono più svantaggiati socialmente e culturalmente. Ed è interesse della scuola pubblica che ci si sforzi di evitare i pregiudizi e l’abitudine di creare su tutto schieramenti contrapposti, valutando quali metodologie possono essere più efficaci, sia recuperandone alcune che sono cadute per vari motivi in disuso, sia utilizzando quanto l’esperienza e l’innovazione rendono disponibile.
Infine si obbietta che le Indicazioni nazionali (i “programmi” di un tempo) già dicono quello che chiede la lettera. Sì e no: c’è infatti il grave limite di presentarsi come un elenco di molteplici, forse troppi obbiettivi, senza che sia chiaro fin dove si può spingere l’autonomia della “comunità professionale” che “è chiamata ad assumere e a contestualizzare” tali indicazioni e senza indicare le priorità imprescindibili. In altre parole, fino a che punto un docente è libero di non tenerne conto nelle sue scelte? Per fare un esempio: è lecito saltare a piè pari il Rinascimento o la geografia dell’Italia? Infine, se ci sono dei traguardi da raggiungere, non si  dovrebbe poi verificare se e in che misura questo è accaduto? 

sabato 4 febbraio 2017

CONTRO IL DECLINO DELL'ITALIANO A SCUOLA - LETTERA APERTA DI 600 DOCENTI UNIVERSITARI

Al Presidente del Consiglio
Alla Ministra dell’Istruzione
Al Parlamento
È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.
A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato,  anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema.
Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici  di base da parte della grande maggioranza degli studenti. 
A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:
- una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni;
-  l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.
-  Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola.
Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base. Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro.

Quanto prima pubblicheremo l’elenco completo dei firmatari. Tra i molti nomi noti numerosi Accademici della Crusca (Ugo Vignuzzi, Rosario Coluccia, Annalisa Nesi, Francesco Bruni, Maurizio Dardano, Piero Beltrami, Massimo Fanfani, Maurizio Vitale); i linguisti Edoardo Lombardi Vallauri, Gabriella Alfieri e Stefania Stefanelli; i rettori di quattro Università; i docenti di letteratura italiana Giuseppe Nicoletti e Biancamaria Frabotta; il pedagogista Benedetto Vertecchi e lo storico della pedagogia Alfonso Scotto di Luzio; gli storici Ernesto Galli Della Loggia, Luciano Canfora, Chiara Frugoni, Mario Isnenghi, Fulvio Cammarano, Francesco Barbagallo, Francesco Perfetti, Maurizio Sangalli, Massimo Montanari; i filosofi Massimo Cacciari, Roberto Esposito, Angelo Campodonico, i sociologi Sergio Belardinelli e Ilvo Diamanti; la scrittrice e insegnante Paola Mastrocola; il matematico Lucio Russo; i costituzionalisti Carlo Fusaro, Paolo Caretti e Fulco Lanchester; gli storici dell’arte Alessandro Zuccari, Barbara Agosti e Donata Levi; i docenti di diritto amministrativo Carlo Marzuoli, di diritto pubblico comparato Ginevra Cerrina Feroni e di diritto romano Giuseppe Valditara; il neuropsichiatra infantile Michele Zappella; l’economista Marcello Messori.