martedì 14 luglio 2020

LA VERA SVOLTA È IL RISPETTO DELLE REGOLE


Come andrà il prossimo settembre la riapertura delle scuole? E l'anno scolastico potrà svolgersi in modo lineare o almeno senza troppi problemi? Sono le domande che si pongono tutti quelli che hanno a che fare con la scuola: gli studenti e i loro familiari, i docenti, i prèsidi, ai quali sono state addossate non lievi responsabilità. “Senza troppi problemi” sarebbe, dunque, già molto. Eppure  da più parti si sente affermare che è questa l’ora di un cambiamento radicale del nostro sistema scolastico. Un cambiamento fatto di nuove e rivoluzionarie metodologie didattiche, con il ripudio del “sadismo valutativo”, dei compiti a casa e di tutto ciò che possa procurare agli allievi la più piccola ansia; a cominciare da esami in cui sia possibile anche bocciare. Tra l’altro i numerosi ministri degli ultimi vent’anni, insieme alla dirigenza ministeriale, hanno gettato la scuola nel pressapochismo, nelle improvvisazioni di norme, di didattiche e di regolamenti che hanno finito per snaturarla a tal punto che, per cambiarla davvero, occorre tempo e ragionevolezza. E in molti studenti, soprattutto dei cicli superiori, sembra crescere la convinzione che frequentarla serva solo ad attendere un futuro che, invece, per molti di loro non ci sarà o si farà desiderare a lungo. Ogni anno che passa, in effetti, l'avvenire dei nostri ragazzi è sempre più incerto e molti ne hanno una prova tangibile all'interno delle loro famiglie, con i genitori alle prese con la precarietà del lavoro e con stipendi insufficienti per campare dignitosamente. Altrettanto spesso i ragazzi usciti dalle superiori convivono con sorelle e con fratelli maggiori disillusi e ridotti a cercare un senso alle loro esistenze essenzialmente attraverso la connessione alla rete.
Lasciamo dunque da parte le velleità di fulminee palingenesi metodologiche di una scuola sempre più piegata verso l'appiattimento e spesso non in grado di aiutare i giovani a costruirsi un vero senso di appartenenza: innanzitutto a una società che deve essere giusta in quanto accomunata da un obiettivo comune e solido, quello della responsabilità e del rispetto  nei confronti di se stessi e degli altri. Perché il vero radicale cambiamento, questo sì a portata di mano purché ci siano la convinzione morale e la volontà politica, è quello di far rispettare con la massima fermezza le regole della convivenza civile. È ovvio che da sola la scuola non può fare miracoli, ma deve provarci ad ogni costo. Una comunità che transige sul rispetto reciproco non può lavorare come vorrebbe. Non dobbiamo però accontentarci che a farlo siano solo i docenti più capaci e appassionati. Come insegna il noto proverbio africano per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, per il mondo scolastico questo deve diventare una sorta di collettivo imperativo categorico, se davvero vogliamo provare a salvare la scuola e contribuire a salvare questo Paese. Senza il rispetto di quelle regole, e di quelle aggiuntive imposte dal Covid 19, si rischierebbe di buttare al vento un altro anno scolastico; e di compromettere la formazione culturale e civile di milioni di ragazze e ragazzi. Lo è già quella di migliaia e migliaia di loro che conoscono la vita quasi solo in modo virtuale o attraverso le notti trascorse tra alcool e droghe, nel teppismo e nel divertimento disperato che coinvolge interi quartieri che di notte diventano suburre e colpevolmente, come tutto il resto, tollerati da uno Stato sempre più assente.
Intanto preoccupiamoci di questo. Le grandi riforme richiedono tempo, educatori illuminati, politici capaci di vedere lontano e adeguati investimenti. Il rispetto delle regole richiede solo insegnanti e dirigenti responsabili e capaci di agire da buoni padri e madri di famiglia. Se dal prossimo settembre il mondo della scuola iniziasse a recuperare queste esigenze elementari, e proprio per questo fondamentali, si potrà dire che davvero si è aperta una nuova stagione.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 14 luglio 2020)

IL VUOTO DI EDUCAZIONE E DI STATO EVIDENZIATO DALLA MOVIDA

Digitate sul motore di ricerca “movida residenti”: ne verrà fuori una sfilza di città tormentate da questo attentato permanente alla quiete pubblica: Milano, Roma, Palermo, Firenze, Taranto, Napoli, Trento, Cagliari, Bari, Avellino, per limitarci alle prime dieci. Parecchie decine sono di conseguenza i comitati di cittadini costretti a organizzarsi per difendere diritti elementari: alla tranquillità, al riposo, alla salute. E questo da molti anni, spesso da decenni.
Il fenomeno della “mala movida” mette in plateale evidenza, come una potente lente di ingrandimento, due tra le più gravi patologie della nostra società. Una è la crisi dell’educazione, a cui hanno molto contribuito teorie pedagogiche non fondate sulle reali esigenze dello sviluppo psichico. Tra queste è essenziale il graduale allenamento al principio di realtà e il conseguente superamento dell’egocentrismo infantile. La mancanza di orientamenti e di valori saldamente condivisi nella società ha indebolito la capacità dei genitori di guidare la crescita dei figli. E purtroppo anche la scuola, come sappiamo, si è in buona parte accodata al trend educativo della “non frustrazione”. Ma senza la necessaria fermezza, cioè la capacità di assumere e mantenere atteggiamenti e decisioni nel loro interesse educativo, ci sono molte probabilità che i bambini diventino adulti egocentrici, cioè incapaci di tener conto dei diritti altrui, spesso arroganti, insofferenti alle regole, pieni di pretese e suscettibili. È proprio questo il tipo di frequentatori della movida che emerge regolarmente dalla cronache giornalistiche; e particolarmente significative sono le reazioni rabbiose e a volte violente alle proteste di chi vorrebbe dormire.
La seconda grave carenza che le notti della movida mettono in risalto è il venir meno dello Stato a una delle sue principali responsabilità, quella di proteggere i cittadini: facendo rispettare le sue leggi (in questo caso permessi, orari, volume della musica, limiti alla vendita di alcolici), prevedendo e comminando sanzioni adeguate. Ma a chi chiama le forze dell’ordine perché il rumore o la musica gli impediscono di dormire, di rado qualcuno risponde; chi ci riesce quasi sempre si sente dire che “non ci sono pattuglie disponibili”, come raccontano innumerevoli vittime della movida; e questo notte dopo notte, anno dopo anno. 
C’è infine un tema che nel fenomeno della movida collega il vuoto educativo con il vuoto di protezione da parte delle istituzioni: quello del crescente consumo di alcolici da parte dei giovani. Da un lato ci si chiede quanti genitori si preoccupino – e si occupino – delle sbornie dei figli (molte ragazze e ancor più ragazzi fanno già alle medie la loro prima esperienza di coma etilico). Quanto allo Stato, siamo da molti anni in attesa di una campagna contro l’abuso di alcol paragonabile a quella contro il fumo. Eppure il consumo eccessivo abituale, secondo i dati della Società italiana di tossicologia, riguarda il 15,5 % degli uomini e il 6,2 % delle donne; le ubriacature occasionali il 10 % dei primi e il 2,5 %  delle seconde. E ogni anno 40 mila italiani muoiono per malattie correlate all'alcol.
Giorgio Ragazzini

("ilSussidiario.net", 14 luglio 2020)