venerdì 30 marzo 2018

LETTERA ALLA MINISTRA FEDELI SULLE RECENTI AGGRESSIONI AI DOCENTI


Gentile Ministra Fedeli,
negli ultimi mesi abbiamo letto di ripetute aggressioni ai docenti da parte degli allievi: coltellate, testate, pugni, spinte, derisioni di gruppo. Poco importa quale sia la versione corretta di quanto successo in una scuola di Alessandria: il fatto che un’insegnante, per di più con difficoltà di movimento, sia stata circondata e derisa, oltre che filmata, da un’intera classe basta e avanza per parlare di un episodio ripugnante, che in altri paesi, ammesso che potesse accadere, sarebbe costata ai colpevoli l’espulsione dalla scuola.
Ancora una volta, però, si risponde a un comportamento gravissimo con misure assolutamente inadeguate a rendere consapevoli della sua gravità sia i responsabili, sia gli altri ragazzi. È stato infatti comminato un mese di sospensione, ma – ahimè – “con obbligo di frequenza”: un’assurda consuetudine incredibilmente affermatasi negli ultimi anni in molte scuole. E non sarà certo in quel mese l'ulteriore “pena” di svuotare i cestini della carta a dare a questi ragazzi la misura di quello che hanno fatto.
Dai noi è quasi la regola che simili episodi di violenza vengano seguiti da misure disciplinari irrisorie. A questa incapacità del mondo scolastico di punire in modo esemplare si aggiunge spesso una reazione a nostro parere insufficiente dei vertici dell'amministrazione scolastica a sostegno dei docenti fatti oggetto di aggressioni sia da parte di genitori che di studenti. Sarebbe giusto, ad esempio, che il ministero si costituisse parte civile negli eventuali processi penali, qualora non siano i presidi a farlo, come pur dovrebbe accadere. 
I fatti più gravi che arrivano sui giornali si radicano tuttavia in una diffusissima mancanza di disciplina, cioè di maturità, di autocontrollo, di rispetto per gli altri. La cosa non sorprende, dato che negli ultimi decenni, per un malinteso antiautoritarismo, la fermezza nel far rispettare le regole, essenziale per la formazione dei giovani e per creare il clima sereno necessario all’apprendimento, è stata in ogni modo scoraggiata dal governo della scuola. A riprova, di recente è stato da Lei abolito il voto di condotta, insieme alla (remota) possibilità di ripetere l’anno a causa dell’indisciplina (resta in teoria possibile – ma  sottoposta a troppe condizioni – solo per reati gravissimi contro la persona). Un provvedimento a cui è contrario il 68% degli italiani (sondaggio dell’Istituto Eumetra MR). Solo silenzio, invece, da parte di tutte le forze politiche, nessuna esclusa.
È evidente la necessità di cambiare rotta senza tentennamenti. Ci auguriamo che lo faccia il prossimo governo con il sostegno dell’opposizione. Le possiamo però ancora chiedere, gentile Ministra, di invitare gli istituti scolastici a non ridicolizzare il fine educativo della sospensione dalle lezioni aggiungendovi, con qualche poco impegnativo lavoretto, l’obbligo di frequenza: misura evidentemente contradditoria e intrisa di ipocrisia, che palesemente rappresenta agli occhi degli studenti la fragilità di educatori incapaci di quella fermezza che spesso proprio i ragazzi più problematici ci chiedono. E che ci chiede la società del futuro per la quale lavoriamo e alla quale vorremmo evitare il rischio di essere dominata dai prepotenti e dai violenti, abituati a esserlo perfino dalla scuola.
Michele Zappella, neuropsichiatra infantile, Foundation for Autism Research, New York, Usa
Sergio Casprini, docente di storia dell’arte, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità
Andrea Ragazzini, docente di storia dell’arte, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità
Giorgio Ragazzini, docente di Lettere, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità
Valerio Vagnoli, dirigente scolastico, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

mercoledì 28 marzo 2018

I NUOVI PROFESSIONALI NASCONO VECCHI, COSÌ IL MIUR AIUTA L’ABBANDONO

In questi giorni il Miur ha reso nota la nuova struttura degli istituti professionali, le scuole che fino a qualche decennio fa costituivano uno dei punti di forza della nostra crescita economica e culturale perché insegnavano bene un mestiere di cui c'era richiesta. Purtroppo — lo denunciamo da tempo come Gruppo di Firenze — negli ultimi venticinque anni sono stati progressivamente snaturati, tagliando le ore di laboratorio, indispensabili per acquisire con la pratica la competenza professionale, e riempiendo il percorso di studio di un numero di materie assolutamente intollerabile.
La revisione licenziata dalla commissione ministeriale presenta pochissimi pregi (tra questi l'aver opportunamente aumentato il numero degli indirizzi), mentre conferma, e in parte addirittura peggiora, i difetti di cui sopra. Si è persa così l'occasione, se non di risanare, almeno di correggere la causa principale degli insuccessi e degli abbandoni (la cosiddetta "dispersione"): e cioè la grande distanza tra le aspettative di chi sceglie queste scuole e una realtà fatta di troppa teoria e di insufficiente esperienza concreta.
Non è necessaria una laurea in pedagogia per capire che una scuola strutturalmente dispersiva non può che "disperdere" i propri ragazzi. Ci voleva, quindi, il coraggio di ristrutturare l'orario a favore delle materie "professionalizzanti" e delle relative esercitazioni. E lo si doveva fare con norme nazionali valide per tutti.
Si è invece scelto una soluzione molto italiana, quella di scaricare questo compito sulle singole scuole. Le materie restano tutte, inutilmente accorpate in assi culturali, ma ciascuna scuola potrà decidere in che misura penalizzarne alcune per valorizzarne altre. Tutto ciò, però, sarà possibile solo a patto che non si determinino cambiamenti negli organici. Vale a dire che si potrà cambiare qualcosa purché gli insegnanti non perdano il posto. Pertanto sicuramente quasi nulla cambierà, come se in gioco non ci fosse il futuro dei ragazzi e del nostro Paese, ma — appunto — il nulla.
Nel tentativo di limitare la dispersione, il decreto impone, inoltre, l'adozione di una metodologia che favorisca un insegnamento sempre più personalizzato, come se nei professionali già non si concentrasse un numero elevatissimo di disabili, di ragazzi con "bisogni educativi speciali" (Bes) e di quelli con problemi, veri o presunti, di dislessia, disgrafia, discalculia: tutti allievi per i quali è da tempo obbligatoria una didattica — appunto — "personalizzata" (che, tra l'altro, in non pochi casi si risolve in un puro e semplice abbassamento del livello di preparazione).
A completare il quadro, il testo declina e parcellizza, nella solita anti-lingua ministeriale, una sfilza di competenze, abilità e conoscenze, di formule astratte ed enfatiche che dirigenti e insegnanti dei professionali non potranno, una volta di più, che rassegnarsi a subire (o a ignorare).
Valerio Vagnoli, “ilsussidiario.net”, 28 marzo 2018