sabato 22 settembre 2018

CINQUE APPUNTI PER LA SCUOLA

Il discorso del Presidente Mattarella per l’inaugurazione dell’anno scolastico, tenutasi quest’anno all’Isola d’Elba, si è mantenuto nel solco di molti precedenti, ma la sincera e affettuosa convinzione con cui parla riesce a vivificare anche cose sentite più volte. Nel quadro di una manifestazione forse troppo ricca di esibizioni di artisti e di scolaresche, va ricordato almeno l’intervento registrato dell’attore Antonio Albanese, che ha ricordato ai ragazzi con molta convinzione quanto sia importante impegnarsi, studiare tanto e accettare la fatica. Ma l’intervento di Mattarella è riuscito a catturare l’attenzione dei bambini, perfino di quelli più piccoli, quasi a significare che le istituzioni sono solide e ben riconosciute dal mondo scolastico che deve aver molto apprezzato, almeno lo spero, anche la convinta partecipazione al canto dell’inno nazionale, accompagnato con la mano sul cuore, del ministro Bussetti. Mattarella ha molto insistito sul fatto che il nostro sistema scolastico nel complesso è senz’altro molto positivo, tanto da preparare molti giovani destinati poi ad avere notevoli successi nel mondo intero, ultimo quello prestigioso di Alessio Figalli, vincitore della medaglia Fields. Tuttavia, ha ricordato ancora il Presidente, malgrado i meriti innegabili della nostra scuola, grazie anche al lavoro straordinario del personale scolastico, le percentuali della dispersione scolastica sono inaccettabili e su questo specifico problema molto deve essere ancora fatto. Così come dovrà cessare il binomio, mi permetto di dire antico e per questo ancor più da stigmatizzare, della povertà a cui corrisponde quasi sempre una altrettanta povertà educativa. Guai a rinunciare, inoltre, alla valorizzazione dei talenti e a fare della scuola un vero e proprio ascensore sociale. Ed ha senz’altro ragione nel ritenere che la valorizzazione dei talenti e il recupero dei ragazzi svantaggiati possono convivere anche se, aggiungo ancora io, perché questo possa accadere sarebbe necessario un sistema scolastico non più riconducibile al solo sistema «classe». Mattarella ha elencato inoltre altri problemi legati alla nostra scuola, a partire dalla condizione degli edifici scolastici fino a toccare quello sempre più rilevante dei genitori bulli nei confronti dei docenti e dei dirigenti scolastici. Molto interessante inoltre il riferimento con relativa indicazione operativa, visti anche alcuni recenti drammatici eventi, al cattivo utilizzo del web da parte dei ragazzi. Un aspetto, quello del rapporto dei ragazzi con Internet, che dovrebbe richiamare le scuole a dare maggiori informazioni alle famiglie su tematiche che spesso ignorano, anche perché i loro figli sono molto più avanti dei loro stessi genitori nell’uso della Rete. Un grandissimo applauso ha accompagnato il forte richiamo contro le leggi razziali che giusto settanta anni fa permisero che si cacciassero dalle scuole sia i ragazzi che i docenti ebrei. E non è mancato infine un appassionato ricordi dei bambini morti nel crollo del ponte Morandi e un riconoscimento a Fabrizio Frizzi che per molti anni aveva condotto questa cerimonia d’inizio anno scolastico. Un riconoscimento per niente stonato e utile a ricordare ai ragazzi che il mondo è fatto anche di persone buone, come lo era Frizzi, e grazie a loro e grazie anche ad una scuola efficiente e attenta al rispetto delle regole e ad insegnare ai ragazzi il rispetto degli altri che potremo con fiducia guardare avanti.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 18 settembre 2018)

lunedì 17 settembre 2018

LE ALTERNE VICENDE DELL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO


Il Ministro dell’Istruzione Bussetti ha annunciato che le ore di alternanza scuola-lavoro negli istituti superiori verranno diminuite, in misura diversa a seconda degli indirizzi di studio. Nei licei sembra certo che verranno dimezzate (da 200 a 100), per gli istituti tecnici potrebbero forse essere ridotte da 400 a 300, per i professionali la riduzione potrebbe essere solo del 10%. Il Ministro ha motivato questa decisione con le notevoli difficoltà che molti istituti hanno incontrato nel realizzare esperienze realmente qualificate, pur riconoscendo che ci sono state diverse positive eccezioni. La cosa non ha suscitato reazioni di alcun tipo nei partiti che aveva istituito l’alternanza.
A distanza di tre anni dall’approvazione della Legge 107 è senz’altro opportuno fare il punto di questa esperienza, ma una volta di più la decisione di cambiare, almeno a quanto ne sappiamo, non è accompagnata da una spiegazione articolata, né sembra poggiare su una sistematica raccolta e su una accurata analisi di dati, tale da consentire una seria valutazione dei risultati nei diversi indirizzi di studio. Il ministro ha fatto anche un accenno al rischio di “apprendistato gratuito”. Sarebbe utile capire che cosa intendesse dire esattamente; e comunque l‘eventuale problema si dovrebbe affrontare con opportuni controlli e con cambiamenti delle linee guida, non riducendo le ore.
Cerchiamo comunque di fare il punto della situazione. La vera e propria alternanza scuola-lavoro consiste nell’“alternare” l’apprendimento scolastico di una professione a un tirocinio pratico presso un’azienda (uno studio, un ente) relativo alla professione stessa. Riguarda quindi gli istituti tecnici e professionali e, se ben condotta, può essere di grande utilità. Lo dimostra, tra gli altri, l’esempio tedesco, anche se non trasferibile integralmente in Italia. Nei licei, in particolare il classico e lo scientifico, che per definizione sono propedeutici a studi universitari, non sarebbe quindi appropriato definire “alternanza” una serie di esperienze lavorative o di informazione in loco su alcune professioni o attività di vario genere. Sarebbe più logico che i liceali ne potessero usufruire all’università, quando in genere sono più delineati i possibili sbocchi professionali degli indirizzi di studio. È vero che in certi casi le esperienze attualmente proposte possono costituire, se correttamente impostate, un utile momento formativo sul piano della crescita personale. È anche vero però che spesso non contribuiscono all’approfondimento delle materie curricolari, mentre sottraggono tempo a un già contenuto monte ore di insegnamento; e la cosa ha suscitato numerose lagnanze fra i docenti di queste scuole. Si tratta peraltro di una critica analoga a quella che è stata rivolta al moltiplicarsi dei progetti extracurricolari, con relativa erosione delle ore di lezione.
Almeno per i licei, si potrebbero salvaguardare sia il tempo scuola che la possibilità di vivere esperienze formative (che siano veramente tali) collocando queste ultime nel periodo estivo o nel pomeriggio. Sarebbero da privilegiare le attività di volontariato, soprattutto nelle associazioni che si occupano di servizi alle persone. Al contrario di quanto accade nel rapporto col mondo del lavoro, in cui non c’è sempre la convenienza – e quindi una reale disponibilità – a ospitare degli studenti, qui si possono incontrare realmente le necessità formative dei ragazzi e le esigenze delle associazioni. In altre parole, è più facile che ci sia un reale interesse reciproco. Si tratta inoltre di esperienze che possono far crescere i ragazzi sviluppando in loro il senso di responsabilità e la sensibilità sociale.
Per i professionali e i tecnici (ma anche per i licei artistici) l’alternanza appare essenziale (anche se andrebbe inserita in modo più armonico nei piani orari), ma si dovrebbe tenere ben presente anche la fondamentale importanza dei laboratori come luogo di apprendimento e quindi la necessità del loro potenziamento in qualità e numero di ore. Relativamente ai professionali, con la recente riforma si è purtroppo persa l’occasione di ridimensionare il numero e il monte orario delle lezioni teoriche, aumentando allo stesso tempo le ore di laboratorio. Viene invece scaricata sulle scuole la responsabilità di utilizzare la flessibilità per ottenere questo risultato, ma sappiamo bene che le resistenze dei collegi renderanno la cosa estremamente difficile.

domenica 9 settembre 2018

LA SCUOLA NON BASTA


L’Alto Adige il 5 settembre, la Puglia il 20: in questo arco di tempo tutti i ragazzi italiani faranno ritorno a scuola. Per qualcuno sarà una routine, per altri un obbligo faticoso, per altri ancora l’eccitante inizio (o il piacevole proseguimento) di un percorso destinato ad avere un ruolo cruciale nella loro esistenza. È proprio questa una delle più importanti funzioni dell’istruzione: quella di contribuire a costruire nei ragazzi il loro domani; anche se, come ci dicono tutte le statistiche, il prestigio della scuola continua a calare e cala altresì la sua capacità di incidere sul futuro dei giovani. Tutto ciò, sia chiaro, non accade per sua esclusiva responsabilità. Chi insegna alle elementari sa benissimo che il destino di molti bambini è già al loro arrivo compromesso e che poco a volte si può fare a quel punto per cambiare la loro sorte. Spesso sono figli di genitori troppo impegnati ad affrontare le difficoltà della vita o incapaci di trasmettere ai figli altri valori se non i più deleteri della nostra società. E tra questi, contrariamente a quanto accadeva in passato pur nelle famiglie più povere anche sul piano culturale, non vi è spesso quello legato all’importanza dell’istruzione. D’altra parte è da anni che la «cultura» scolastica dominante è riuscita a togliere quasi del tutto alla scuola la funzione di permettere ai capaci e meritevoli quella ascesa sociale che è ormai affidata quasi esclusivamente a qualche scheda del Superenalotto o alle coraggiose fughe all’estero di molti giovani talentuosi. Da altrettanto tempo la scuola non è più il luogo in cui si impara a rispettare le regole, cioè a sapersi muovere nel mondo e a distinguersi positivamente rispetto alla società «incivile». Chi lo ha preteso è stato immediatamente criminalizzato (stalinismo «soft» dei tempi moderni) ed è diventato, per certi populisti ante litteram, uno «sceriffo». Anche per questo è progressivamente scomparso il senso di appartenenza a un solido consorzio civile. Qualche piccola ma significativa conferma: è ormai del tutto normale che i ciclisti, tra cui molti anziani, sfreccino sui marciapiedi stretti delle nostre città perfino davanti a vigili generosamente consenzienti. Così come è normale vedere i giardini, le strade, le chiese, i mezzi pubblici devastati da persone che neanche si pongono il problema di dover rendere conto a qualcuno delle loro «trasgressioni», anche perché spesso neanche i responsabili dell’ordine e del decoro pubblico si preoccupano d’intervenire. 
Ma, ancora a titolo di esempio, da tempo non è augurabile a nessuno dover condividere un ristorante con famiglie che abbiano dei bambini al seguito o dover vivere il vero e proprio martirio di abitare in una strada segnata dalla movida.
Insomma, la scuola non è altro che uno degli elementi (anche se il più importante) della nostra società e segue naturalmente il destino di tutti gli altri. Da sola non potrà risollevarsi se non si mirerà innanzitutto a sconfiggere nell’intera società chi ha pensato che si dovesse addirittura proibire di proibire, ignaro naturalmente, tra le tantissime altre cose, di quello che, a tale proposito, anche lo stesso Leopardi pensava. E cioè che «lo stato sì reo, come il selvaggio,/ estimar natural non è da saggio».

Valerio Vagnoli
"Corriere Fiorentino", 9 settembre 2018