lunedì 27 aprile 2020

RIPARTE LA SCUOLA E RIPARTONO LE “RIVOLUZIONI” DIDATTICHE


Meglio non prendere per oro colato le anticipazioni giornalistiche, d’accordo; e specialmente in questo periodo di provvedimenti modificati più e più volte fino a un minuto dal varo. Ma l'articolo di Corrado Zunino sulla riapertura delle scuole (“La Repubblica” di oggi) fa decisamente drizzare le orecchie. Sembra proprio che si voglia approfittare dell’emergenza per immettere nella scuola “rivoluzioni” che c’entrano con la sicurezza come il cavolo a merenda. Lo fa presagire già l’incipit: Sarà una scuola nuova” (assicura Lucia Azzolina); “si potrà gradualmente approdare a un insieme di esperienze che spingerà in avanti la didattica del sistema scolastico”; “Il rinnovamento dell’urbanistica interna [sic] è finalizzato a una rivoluzione delle classi: non solo dovranno essere spezzate in due per garantire le distanze, ma potranno essere mischiate [?] per consentire lezioni diversificate”; “questo comporterà un utilizzo più ricco [sic] di docenti abituati alla lezione frontale”; e l’utilizzo più ricco a sua volta “si trasformerà, giocoforza, in un ampliamento del monte orario (oggi a 18 ore per le superiori) che andrà pagato meglio”.
La pandemia dunque non aiuta solo gli autocrati, come scrive oggi Ezio Mauro sullo stesso giornale, ma anche i sostenitori delle ricorrenti (pseudo) rivoluzioni didattiche”. Per valutarne la sensatezza, basta pensare proprio alla risibile guerra alla “lezione frontale”. Il buon senso dovrebbe suggerire che, se è importante un arricchimento del bagaglio metodologico dei docenti anche tramite lo scambio di esperienze tra pari, l’imposizione dall’alto di ricette didattiche è destinata a produrre soltanto disorientamento e demotivazione in chi la subisce. Si pensi piuttosto per il futuro a una selezione molto più rigorosa dei nuovi insegnanti, perché è la loro qualità che può fare davvero la differenza.
Infine: la necessità di dividere le classi servirà a realizzare il più volte minacciato “ampliamento del monte orario” di cattedra, non provvisoriamente – come sarebbe entro certi limiti comprensibile – ma in modo permanente?
Giorgio Ragazzini

mercoledì 22 aprile 2020

UNA PROPOSTA: SOLO I PIÙ PICCOLI IN CLASSE, A GRUPPI


La scuola italiana a me pare si preoccupi delle fasce più deboli della popolazione più con le dichiarazioni che con i fatti. Lo dimostra per esempio affidando i ragazzi disabili a insegnanti in gran parte privi delle adeguate specializzazioni o riservando loro ambienti scolastici spessissimo privi degli spazi e dei laboratori indispensabili per la didattica personalizzata di cui necessitano. 
Lo dimostra l'immissione in  ruolo di insegnanti che non sono  mai stati sottoposti a una verifica culturale e attitudinale, al termine di un percorso formativo finalizzato a formarli alla loro futura professione;  lo dimostra la sistematica distruzione degli indirizzi tecnici e professionali riempiti di materie e forse pensati così per dare occupazione a tanti laureati, altrimenti costretti purtroppo alla disoccupazione; lo dimostra il lasciare tranquillamente in cattedra quella minoranza di docenti del tutto inadeguati al loro ruolo. E se accade che le autorità preposte al loro controllo finalmente intervengano, di solito dopo snervanti iniziative di qualche preside, il massimo che può loro capitare è qualche giorno di sospensione e il trasferimento il più delle volte da una scuola all'altra. Non si fa quasi niente, infine, per incentivare i docenti più validi e motivati a trasferirsi nelle scuole più problematiche.  
Anche in occasione di questi drammatici mesi la scuola avrebbe potuto e dovuto trovarsi meno impreparata,  per non lasciare abbandonati a sé stessi milioni di bambini e ragazzi, privati, come abbiamo più volte evidenziato, della possibilità stessa di misurarsi almeno con una didattica a distanza. Era molto chiaro da tempo che la scuola era carente di attrezzature e competenze digitali, anche per le esigenze ordinarie.
In questi giorni si sono letti gli appelli di numerosi genitori che reclamano decisioni urgenti da parte della Ministra per far tornare a scuola i loro figli. Su come farlo in sicurezza si stanno facendo molte ipotesi. Se sembra ormai deciso che le scuole riaprano a settembre, per parte mia mi permetto di proporre una limitata correzione a questo rinvio, che riguarda la scuola elementare. Se è possibile uscire per fare la spesa anche ai mercati, per recarsi negli ambulatori, per fare molti lavori anche a distanze ravvicinate o per portare a spasso il cane e perfino per passeggiare in un raggio di 200 metri rispetto alla propria abitazione, non sarebbe fattibile che ogni giorno piccoli gruppi di bambini (5-6) per ogni classe delle elementari si alternino a scuola per riprendere così contatto con gli insegnanti e con un minimo di attività didattica? Una ripresa con il contagocce, quindi, ma importante per una fascia di età per la quale il rapporto con le maestre è particolarmente sentito. Ed è nell’infanzia che riusciamo più facilmente a recuperare le differenze segnate dall'appartenere a contesti sociali più fragili: e sono i bambini delle elementari a essere stati i più penalizzati dalla DaD, senza contare che spesso i loro edifici scolastici sono molto più gestibili rispetto agli altri e presenti anche nelle piccole frazioni. Anche per questo si deve proprio fare di tutto perché non siano i più piccoli a pagare in maniera troppo pesante quanto sta avvenendo in questi mesi drammatici e dolorosi.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 22 aprile 2020)

lunedì 20 aprile 2020

QUELLA VALUTAZIONE CHE “EDUCA” GIOVANI NARCISI

Sulla didattica a distanza l’Anp ha pubblicato un documento in cui auspica che la valutazione sia solo formativa. Una ricetta astratta e illusoria.
I dati diffusi dall’Istat il 6 aprile ci dicono che la didattica a distanza non ha raggiunto il 33,8% delle famiglie, quelle che non hanno in casa né un computer né un tablet. La percentuale si alza nel Sud al 41,6%. Se si considera che probabilmente in molte di queste famiglie i figli in età scolare sono più di uno, si deve ritenere che la percentuale degli studenti che non hanno usufruito della Dad sia ancora più elevata.
Non essendo affatto da escludere che a settembre non ci siano ancora le condizioni per un ritorno in classe, questa situazione può essere migliorata solo a partire da un’indagine molto approfondita del ministero, scuola per scuola, sull’attività di questi mesi: numero delle classi e degli allievi collegati, carenze tecnologiche, modalità con cui gli insegnanti hanno realizzato la Dad e relative ricadute didattiche.
Fin da ora però c’è già chi si mostra entusiasta di questa esperienza, non perché abbia gli elementi per valutarne positivamente i risultati, ma perché nella Dad vede la possibilità di affermare una lungamente auspicata rivoluzione didattica, soprattutto riguardo alla valutazione. Fra questi l’Associazione nazionale presidi, che ne scrive in un documento pubblicato sul proprio sito web (La posizione dell’ANP sulla didattica a distanza e sulla relativa valutazione degli apprendimenti).
La tesi è che, risultando sostanzialmente impraticabili le modalità di valutazione della didattica in presenza, gli insegnanti saranno in qualche modo costretti a prendere le distanze dalle pratiche definite “sanzionatorie” che la caratterizzano e a mettere al centro del proprio lavoro esclusivamente la “valutazione formativa”.
Nell’auspicare una rivoluzione pedagogica, si è evidentemente sentita la necessità di screditare l’idea di valutazione che gli estensori del documento ritengono vigente nella scuola italiana, anche a costo di forzature concettuali e linguistiche. Da questo punto di vista il documento della Anp non lascia margini di dubbio: “dovremmo tutti impegnarci – a prescindere dall’emergenza – affinché la scuola (…) sia percepita come ambiente di apprendimento e non come luogo del giudizio”; si criticano “gli strumenti valutativi tradizionali (compiti in classe e interrogazioni orali) definiti “di tipo non oggettivo” e i “criteri non oggettivi e di tipo impressionistico (sic)”; “si preferisce di gran lunga sanzionare gli errori (ciò che l’alunno non sa) invece di valorizzare gli aspetti positivi (quello che l’alunno sa o sa fare)”; e ancora: “Questa situazione è insoddisfacente perché la valutazione è caratterizzata da soggettività e autoreferenzialità”.
Sembra quindi chiaro che per l’Anp la valutazione nella scuola debba essere esclusivamente formativa e mai cristallizzarsi in un voto, orientandosi “verso una vera valorizzazione dello studente come persona comunque competente” (corsivo nostro). Il probabile traguardo implicito in questi ragionamenti (esplicitato invece da documenti di altre associazioni) è l’abolizione del voto e delle bocciature.
Sembrano dunque trovare nuovo vigore dall’attuale emergenza ricette come questa che circolano da molti anni e che promettono la definitiva affermazione di una scuola in cui le possibilità di costituire un vero “ascensore sociale” si allontaneranno ulteriormente fino a scomparire. Il documento dell’Anp nega di fatto, nelle indicazioni che dà ai suoi associati, l’importanza della certificazione degli effettivi livelli di apprendimento degli studenti, secondo una visione pedagogica che ritiene centrale la figura dello studente nella prassi didattica e quindi considera prioritario il diritto dei giovani alla piena inclusione scolastica e al successo formativo: “la valutazione non deve essere altro cheuno strumentodi rilevazione del progresso di apprendimento inteso come maturazione personale. Non è essa stessa dunque la finalità del sistema”.
Si tratta di ricette astratte e illusorie che prescindono del tutto da due princìpi fondamentali sia dal punto di vista educativo che didattico: il principio di realtà e il principio di responsabilità. Così come molti genitori nei confronti dei propri figli, si pensa che compito degli insegnanti sia proteggere gli allievi da qualsiasi frustrazione o delusione, anziché aiutarli a confrontarsi con i limiti che tutti abbiamo e a imparare dagli inevitabili insuccessi, con il risultato di crescere delle persone disarmate di fronte alle difficoltà della vita o degli eterni narcisi sempre in credito col mondo. Dice Kipling nella poesia “If”: “Se sei capace di incontrare il Trionfo e il Disastro e trattare questi due impostori esattamente nello stesso modo […..] tua è la terra e tutto ciò che contiene, e – che è molto di più – sarai un Uomo, figlio mio!”.
Impossibile poi trovare nel documento un qualsiasi accenno alla necessità che uno studente faccia la sua parte nel rapporto didattico con il personale impegno nel lavoro in classe e nello studio, anche in quelle discipline che gli risultano più ostiche. Ferma restando ovviamente la primaria responsabilità della scuola e degli insegnanti nel creare le migliori condizioni possibili per l’apprendimento.
Si può dire insomma che manca del tutto in questo documento – ed è la regola da molti anni in tante riflessioni sulla scuola – l’idea che educare i figli serve a introdurli in un ambiente sociale. Per dirla con Hannah Arendt, i genitori “con l’educazione si assumono la responsabilità nei due ambiti, a livello dell’esistenza e della crescita del bambino e a livello della continuazione del mondo”.
In altre parole, l’educazione, oggi identificata con le esigenze del singolo nuovo individuo, serve anche a tutelare il mondo in cui viviamo. A questo scopo libertà e responsabilità devono essere inscindibili nella pratica educativa. Spesso si parla di legalità, di rispetto dell’ambiente o della donna; ma solo un costante allenamento all’incontro con i limiti, al rispetto delle regole e degli altri può far sì che i piccoli umani, naturalmente egocentrici, diventino adulti maturi.
La didattica dovrebbe quindi riflettere l’uguale importanza dell’interesse dell’allievo a sviluppare i suoi talenti e quello della collettività ad accogliere nuovi cittadini preparati e responsabili. Di qui la necessità di certificare gli effettivi livelli di apprendimento e anche l’acquisizione di un comportamento corretto, cioè consapevole dei propri diritti e doveri.
C’è bisogno quindi sia della valutazione “sommativa”, sia di una valutazione formativa che rilevi i progressi e incoraggi gli studenti, ma indichi anche errori e comportamenti sbagliati. Si dovrebbe cioè affiancare al “codice materno”, quello della cura e della protezione (prevalente nei primi anni di scuola), dosi crescenti di “codice paterno”. Che significa parlare all’occasione con franchezza di preparazione inadeguata o di comportamento scorretto, essere meno disponibili ad “abbassare gli ostacoli”, aiutare l’allievo ad assumersi le sue responsabilità, a capire quando adattarsi alle situazioni e quando farsi valere.
L’insegnante deve saper diventare, in poche parole, un rappresentante della realtà di fronte ai propri allievi.
Andrea Ragazzini
(“ilSussidiario.net”, 21 aprile 2020)

domenica 12 aprile 2020

L’“ANNUS HORRIBILIS” DELLA SCUOLA ITALIANA È STATO DAVVERO SALVATO?


Dopo la pubblicazione del Decreto Legge 8 aprile 2020, con le misure sulla conclusione dell’anno scolastico e sugli esami di Stato, la ministra Azzolina, ha dichiarato: “La scuola ha affrontato questa emergenza con grande capacità di reazione. La didattica a distanza ci ha aiutato a salvare l’anno scolastico. Non sostituisce e non potrà mai sostituire del tutto, ovviamente, la didattica in presenza. Ma era l’unica risposta possibile per non lasciare soli bambini e ragazzi e garantire loro il diritto allo studio previsto dalla Costituzione…Tutto ciò che è stato fatto sarà valorizzato. Quel che non si è potuto fare per difficoltà oggettive sarà recuperato, nell’interesse degli studenti e dei bambini… Ci sarà una valutazione seria e coerente con quanto svolto durante tutto l’anno”.
Ma nonostante l’impegno dei docenti e degli studenti per far funzionare la didattica a distanza (che del resto secondo l’Istat non ha raggiunto tutti gli allievi), l’anno scolastico è stato salvato in maniera sostanziale o solo formalistica? E la valutazione sarà davvero “seria e coerente”?
Da un punto di vista formale l’anno scolastico chiude regolarmente a giugno con gli scrutini e con gli esami di Stato, mantenendo in vita le lezioni, sia pure a distanza,  grazie appunto all’utilizzo degli strumenti didattici digitali. In verità concludere l’anno scolastico e ancor più terminare un curriculum di studi per poi iscriversi all’Università o trovare da subito uno sbocco professionale, significa che i docenti, DaD o non DaD, devono verificare le capacità e l’interesse dell’allievo a sviluppare i suoi talenti; e quindi garantire alla collettività che i nuovi adulti siano preparati e responsabili, quale che sia il loro futuro ruolo lavorativo, come del resto prevede il mandato che la nostra costituzione affida alla scuola. Di qui la necessità di certificare gli effettivi livelli di apprendimento, necessità di fatto vanificata dalla sanatoria decisa dal governo per tutti gli studenti di ogni ordine e grado; e dall’indizione di un esame di Stato per nulla attendibile per quanto attiene alla verifica della reale preparazione dei candidati, tutti ammessi d’ufficio.
Il Gruppo di Firenze, nell’ipotesi che le scuole venissero riaperte a maggio, aveva proposto di fare almeno dei corsi di recupero fra giugno e luglio per gli studenti in ritardo nella loro preparazione, ritenendo che farli all’inizio del nuovo anno scolastico a promozione comunque garantita, come ipotizza il Ministero della Pubblica Istruzione, li renderebbe poco utili e attendibili.
Ma per il perdurare dell’epidemia si parla di un’eventuale riapertura delle scuole solo a settembre; e allora, in una contingenza così eccezionale, si poteva valutare la possibilità di far terminare l’anno scolastico in corso non ad agosto ma alla fine di ottobre, facendo così recuperare due mesi a questo “annus horribilis”. Per arginare l’epidemia sono state chiuse fabbriche e negozi e non si sa se riusciranno tutte a ripartire. Moltissimi italiani hanno perso il lavoro e purtroppo tanti hanno perso la vita. Di fronte a tutto questo, non sembra un grave danno la modifica in via eccezionale del calendario scolastico, se questo serve a garantire un più valido e verificato processo formativo.
In definitiva non si può dire che con il decreto del governo l'anno scolastico sia  stato salvato, nonostante l'impegno generoso degli insegnanti, degli studenti e delle famiglie. È andato invece perduto in gran parte per i ragazzi che non avevano gli strumenti o la connessione per seguire le lezioni a distanza (oltre 1/3 secondo l'Istat) e anche per quelli che, per le loro condizioni socio-economiche, non hanno potuto avere l'attenzione e il sostegno dei familiari. E in una certa misura è stato inficiato anche dall'assenza di una qualche attendibile forma di valutazione di fine anno, che è un momento di necessaria verifica del percorso formativo di ciascun studente. Anche nell'interesse di un paese che abbia a cuore il proprio futuro.
Sergio Casprini

UNA TV PER LA SCUOLA, SE LA DIDATTICA ONLINE NON C’È PER TUTTI


Sono arrivati da parte dell’Istat i primi dati certi su chi ha potuto godere in queste settimane della didattica on line, diventata da lunedì scorso obbligatoria per tutte le scuole e per tutti i docenti. Peccato, davvero peccato che tutti gli studenti italiani non potranno in realtà goderne. L’Istat infatti, ci conferma che il 33,8 per cento delle famiglie italiane non possiede un computer o un tablet. Nel Sud del Paese la percentuale raggiunge il 41,6 per cento. L’Istat ci informa inoltre che lo scorso anno il 3 per cento dei giovani intervistati nella fascia fra i 14 e i 17 anni non sapeva usare gli strumenti informatici. Colpa certamente della scuola ancora priva di laboratori e di didattiche adeguate, ma anche dell’arretratezza economica e sociale di alcune zone del Paese e di certe fasce della popolazione. A tutto ciò si aggiungano le aree cosiddette «spente» presenti pure nella nostra Regione. Ma c’è dell’altro: queste percentuali risulterebbero ancora più gravi se l’indagine si rivolgesse ai bambini dai 6 ai 13 anni, perché nei primi cicli scolastici le competenze informatiche sono ovviamente più carenti. Abbiamo quindi l’avvilente conferma che, contrariamente a molte voci che in questi giorni parlavano di percentuali altissime di studenti che avevano seguito le lezioni a distanza, qualche milione è stato invece abbandonato a sé stesso e non certamente per colpa dei docenti.
A questi si aggiungano gli altri studenti le cui scuole non hanno fino a oggi attivato alcuna iniziativa del genere; e ancora altri studenti, soprattutto i più piccoli, che non avevano a disposizione genitori o adulti in grado di seguirli nei collegamenti. Nell’attesa che il ministero e le scuole si attivino affinché dal prossimo anno si completi per tutti gli studenti la dotazione degli strumenti necessari per poter sostenere una vera «DaD» (didattica a distanza), si potrebbe, fin da ora, venire incontro a questa massa di ragazzi attivando almeno per alcuni mesi a fini quasi esclusivamente didattici uno dei nostri, fra i più importanti perché la scuola lo è, canali televisivi nazionali. Beninteso in aggiunta a Rai Scuola. Proprio come avviene in Francia, si dovrebbero dividere e organizzare le proposte secondo i vari ordini e i vari livelli scolastici in fasce orarie che siano per tutti sempre le stesse. E magari chiedere ai ragazzi che non possono avere contatti con i loro docenti di tenere una sorta di diario di bordo che i più piccoli costruiranno con l’aiuto dei loro genitori. Non è mai troppo tardi per ripartire da splendide esperienze didatticotelevisive del nostro passato che sembra però abbiano fatto scuola solo ad altri Paesi! Certamente, come è accaduto nelle scorse settimane, non mancherà una percentuale di studenti, in particolare delle superiori, che per propria scelta diserterà qualsiasi proposta. Purtroppo per decreto anch’essi saranno promossi. Un’ingiustizia che mina ulteriormente la credibilità della nostra scuola, perché insegna agli altri che impegnarsi e darsi da fare spesso da noi non viene premiato.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 12 aprile 2020)

sabato 4 aprile 2020

PER ELENA CENTEMERO, DEPUTATA DELLA LEGA, SCREDITIAMO I DOCENTI. LA RISPOSTA DI VALERIO VAGNOLI

Il “Corriere Fiorentino” di oggi 4 aprile pubblica una lettera della deputata leghista Elena Centemero. Riferendosi a recenti interventi di Valerio Vagnoli sullo stesso giornale poi postati sul nostro blog (29 marzo e 1° aprile), afferma che “non sono accettabili articoli che discreditano la scuola o i docenti o i dirigenti”.
Pubblichiamo la lettera e la breve risposta di Valerio Vagnoli, insieme a una sintesi del nostro comunicato di giovedì scorso che si legge sulla stessa pagina del “Corriere Fiorentino”.
Caro direttore, nel momento di incertezza che stiamo vivendo a causa del Covid-19, la scuola sembra essere ancora uno dei pochi punti di riferimento per ragazzi e famiglie. E lo fa da sola, affrontando la sfida e le difficoltà della didattica a distanza, grazie all’impegno e alla dedizione di insegnanti, dirigenti e personale amministrativo. Una comunità che, dal 24 Febbraio, ha saputo essere presente per i suoi studenti e per le sue studentesse, ha cercato di affrontare le mancanze della didattica a distanza, dalla scarsa connettività (non certo dovuta ai docenti o ai dirigenti) ai pochi device presenti o assenti nelle famiglie. La scuola è abituata a cambiamenti spesso repentini: dovuti all’evolvere della tecnologia, al modificarsi delle caratteristiche e degli interessi dei ragazzi, alla sempre diversa composizione etnica, sociale e culturale del territorio, ma anche in funzione delle richieste del mondo del lavoro. Anche in questa emergenza la scuola ha risposto alla richiesta di cambiare: gli insegnati si sono inventati una didattica nuova, hanno creato materiali, utilizzato una pluralità di strumenti, filmati in italiano e in lingua, link di internet, viaggi virtuali. Utilizzando, come nel caso della mia scuola, il Debate a distanza e visitando virtualmente i luoghi de I Cento passi, dei giudici Falcone e Borsellino, incontrando le realtà antimafia e i familiari di vittime di mafia, come doveva essere nel loro viaggio di istruzione di marzo. Per questo non sono accettabili articoli che discreditano la scuola o i docenti o i dirigenti. Certo ci sono alcune situazioni anomale e poco etiche, che è compito del ministero affrontare con severità. E ancora da soli, i dirigenti e i docenti stanno affrontando il problema della valutazione. Non per sbandierare il no al «6 politico» (non ci sarà), ma per ripensare agli obiettivi didattici in termini di contenuti e competenze e, in questo contesto, per valorizzare il processo formativo. Si dice che gli studenti abbiano acquisito meno conoscenze, che questo sia un anno «perso». Non è così: gli studenti stanno acquisendo le conoscenze indispensabili e le competenze essenziali, ma soprattutto sono più maturi e stanno imparando difficoltà, sacrifici e solidarietà tra di loro. E la scuola ha iniziato un percorso di forte innovazione da cui non si potrà tornare indietro. Mentre infermieri e medici, postini e magazzinieri, nel loro anonimato fanno la loro, onerosissima, parte, anche gli insegnanti, i dirigenti e il personale amministrativo stanno facendo la loro parte. La scuola sta facendo crescere nei giovani l’onestà, di cui questo Paese ha così tanto bisogno.     Elena Centemero
* * *
Sarebbe stato davvero opportuno che l’onorevole Centemero avesse citato un solo rigo dei nostri due articoli in cui si «discreditano la scuola o i docenti o i dirigenti». Anzi, direi proprio il contrario: si riconosce a coloro che si sono impegnati il grande merito di non aver accolto l’invito dei sindacati impegnandosi invece «allo spasimo per non far mancare ai loro allievi il rapporto con la scuola». Siamo inoltre meno certi di Lei che «la quasi totalità dei docenti e delle scuole» sia stata messa in condizione di farlo, per assicurare attività didattiche a distanza. In attesa che il ministero sia in grado di fornirci dati certi, non ci resta che prendere atto di quelli che ci fornisce Save the children: il 50% dei ragazzi da loro seguiti nei progetti contro la dispersione scolastica non ha a disposizione pc, tablet e internet per le lezioni on line. Nemmeno per loro dei corsi estivi?
Valerio Vagnoli


«Ministro eviti ogni forma di sanatoria»
«Una cosa è semplificare, un’altra eliminare qualsiasi tipo di verifica dello studente». I docenti del Gruppo di Firenze commentano così le anticipazioni sul decreto che sta preparando la ministra Azzolina in merito agli scrutini e agli esami. «La ministra si è più volte detta contraria al “6” politico ma ora non sembra in questa direzione», continuano. Tra i motivi di dissenso la possibilità che l’alunno debba «recuperare debiti durante l’anno successivo, ma con questo rinvio si ottiene poco o nulla». Pertanto, concludono i docenti fiorentini va «evitata qualsiasi forma di sanatoria».


venerdì 3 aprile 2020

A FUTURA MEMORIA: IL NOSTRO COMUNICATO DI IERI SU SCRUTINI ED ESAMI

Con ogni probabilità, oggi il consiglio dei ministri approverà il decreto-legge sulla conclusione dell’anno scolastico (qui la bozza) con cui si delibera proprio quella sanatoria generalizzata che la ministra Azzolina aveva escluso categoricamente. Pubblichiamo il comunicato che abbiamo diffuso ieri per tentare di evitare in extremis una decisione del genere.

Scrutini ed esami: saranno “seri” come li voleva la Ministra?
Nei giorni scorsi la Ministra Azzolina si è più volte impegnata a garantire la serietà delle valutazioni di fine anno e degli esami di Stato, dicendosi di conseguenza contraria al cosiddetto “6 politico”. Le anticipazioni giornalistiche sul decreto che domani sarà esaminato dal Consiglio dei Ministri e che in queste ore si sta mettendo a punto non sembrano però andare con chiarezza in questa direzione. Comprendiamo benissimo le grandi difficoltà di questo momento, che però non devono indurre a banalizzare oltre misura momenti importanti della vita scolastica come le valutazioni di fine anno e gli esami. Una cosa è semplificare, un’altra eliminare qualsiasi tipo di verifica, utile per capire a che punto si trova ciascun studente. Si potrebbe ad esempio ridurre l’ampiezza del programma da ripassare e su questo valutare la preparazione degli allievi con opportune verifiche finali e con le prove d’esame per chi termina il primo o il secondo ciclo di istruzione. Chi ha lacune significative dovrebbe essere chiamato a sostenere un “esame di riparazione” a settembre. Si parla invece di “debiti da recuperare durante l’anno successivo”; ma sappiamo dall’esperienza che con questo rinvio si ottiene poco o nulla.
Va detto  chiaramente che evitare forme di sanatoria è prima di tutto nell’interesse educativo e culturale dei ragazzi, anche nell'attuale situazione.  Non è così che li si può aiutare a crescere in maturità e autostima. Il Presidente del Consiglio ha richiamato tutti al senso civico, all’accettazione dei doveri che la situazione impone. E tutti, in grande maggioranza e in misura diversa, stiamo assumendoci le nostre responsabilità. Non diamo ai giovani messaggi sbagliati, sminuendo il diritto-dovere a una formazione scolastica seria.
Valerio Vagnoli, Giorgio Ragazzini, Andrea Ragazzini, Sergio Casprini
2 aprile 2020

mercoledì 1 aprile 2020

CORSI ESTIVI A SCUOLA PER CHI È ESCLUSO DALLA DIDATTICA ON LINE


Come d'altronde c'era da aspettarsi, non sono mancate, accanto a pareri favorevoli, anche diverse critiche alla proposta di tenere aperte le scuole in estate per organizzare corsi integrativi e recuperare così almeno in parte il tempo perduto. Spesso provengono, queste critiche, da docenti e dirigenti che in questo periodo si sono impegnati allo spasimo per non far mancare ai loro allievi il rapporto con la scuola; e in molti casi con la quotidianità di sempre. Quotidianità stravolta come mai era finora accaduto neanche con le guerre o i disastri naturali. Di fronte a eventi eccezionali è opportuno, anche perché rappresenta per i giovani un esempio, non rimanere con le mani in mano, rispondendo, nei limiti del possibile, con misure altrettanto eccezionali. Come appunto hanno fatto e fanno molti docenti e dirigenti che non si sono defilati rispetto alle loro responsabilità, applicando con fatica e impegno la didattica a distanza. Altri però non sono stati in grado di farlo, o per l’obiettiva difficoltà di improvvisare qualcosa di mai sperimentato in precedenza o per la mancanza di strumenti o per altri motivi. Come se non bastasse, a questo si è aggiunta la contrarietà dei sindacati (“il contratto non lo prevede”).  Insomma, temiamo che una parte consistente degli studenti italiani in questi due mesi (destinati a prolungarsi), abbia perso qualsiasi contatto, o quasi, con i propri docenti. E ancora una volta a pagare il prezzo più alto per la prolungata chiusura delle scuole sono i giovani, i ragazzi e i bambini che non hanno in famiglia gli strumenti (e magari l’aiuto dei genitori)  per consolidare quanto già fatto e svolgere almeno in parte il programma restante. Ed è proprio pensando a chi non ha usufruito della didattica a distanza che si dovrebbero utilizzare una parte dei mesi estivi, sotto la guida in aula di quei docenti che per un motivo o per l'altro non sono stati impegnati nella didattica via internet. Si potrà sfruttare a questo scopo in particolare la seconda parte di giugno e la prima di luglio, anche per non danneggiare ulteriormente il turismo estivo e salvaguardando ovviamente le ferie degli insegnanti e coloro che saranno impegnati negli esami. Oltre a chi naturalmente in questi mesi ha fatto lezione a distanza. Toccherà alle scuole individuare le classi che non hanno potuto supplire “da remoto” alla sospensione dell’anno scolastico e provvedere di conseguenza. Gli scrutini si possono rimandare a fine agosto – inizio di settembre. E chi sarà ancora carente in una o due materie dovrà seguire un corso pomeridiano di recupero nei mesi successivi.
Spesso, anche dal mondo scolastico, si rivendica giustamente la necessità che la prima priorità del Paese debba essere la scuola. Nella eccezionale e drammatica situazione che stiamo vivendo credo che questa può essere anche un'occasione per rivendicare tale priorità.
Valerio Vagnoli
 “Corriere Fiorentino” 1° aprile 2020