domenica 24 febbraio 2019

SCUOLE SUPERIORI PER CORSI DISCIPLINARI: UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE E LA NOSTRA RISPOSTA

Quattro docenti, due universitari e due della scuola secondaria, ci hanno inviato un' interessante riflessione sulla nostra proposta di una diversa organizzazione delle superiori. Mi pare che il senso di questo documento possa essere sintetizzato in tre punti:
1) non molti hanno compreso che lo scopo principale della proposta del Gruppo di Firenze nasce dall’intento di restituire serietà all’istruzione; questa diffusa incomprensione fa intravedere “il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a quello per cui era stata avanzata, verso cioè un ulteriore svuotamento dell’istruzione pubblica”;
2) secondo i quattro autori “lo sfascio della scuola attuale” non deriva, come spesso si sostiene, dai limiti imposti all’autonomia scolastica, ma dal suo “pieno successo”, per l’inevitabile concorrenza al ribasso fra gli istituti;
3) di conseguenza “nessuna iniziativa di miglioramento dell’istruzione in Italia può avere successo se prima le scuole non sono liberate dall’ansia delle iscrizioni indotta dalla riforma dell’autonomia”.
Riguardo al primo punto, secondo noi non c’è dubbio che quanto proponiamo creerebbe le condizioni per restituire maggiore credibilità alle valutazioni finali. Infatti, non solo non ci sarebbe più l’alternativa “draconiana” tra una promozione immeritata e una bocciatura nonostante i risultati positivi in alcune materie, ma semplicemente non ci sarebbe più il voto di consiglio, dato che la piena responsabilità delle valutazioni, anche di fronte ai loro allievi, sarebbe affidata ai singoli docenti. Alcuni dei quali potrebbero magari conservare nei propri corsi delle abitudini “buoniste”, ma senza più l’alibi della decisione collegiale
Quanto al secondo punto, noi pensiamo che il degrado della scuola italiana non può essere addebitato, se non in parte, all’autonomia scolastica, che è stata istituita nel 2000, ma ha radici nei decenni precedenti, a partire dagli eccessi ideologici degli anni settanta. Sono questioni su cui ci siamo molte volte soffermati: la crisi dei ruoli educativi, la svalutazione della responsabilità individuale e del rispetto delle regole, il logoramento dell’etica professionale e dell’etica pubblica. Tuttavia non c’è dubbio che l’autonomia degli istituti abbia dato il suo contributo, anche fornendo al governo della scuola, cioè al Ministero e ai suoi organi periferici, un comodo alibi per giustificare il disimpegno dai suoi compiti più importanti: l’indirizzo, la verifica, il controllo.
Venendo infine al terzo punto, siamo convinti che la riforma strutturale della secondaria superiore che proponiamo possa essere attuata indipendentemente da altri cambiamenti, sia pure importanti e necessari. Non c’è dubbio però che il buon funzionamento di qualsiasi assetto del sistema scolastico ha come indispensabile condizione una cornice di serietà e responsabilità, che oggi è sostanzialmente assente.
Andrea Ragazzini

giovedì 21 febbraio 2019

SCUOLE DIVERSE, UNITÀ A RISCHIO


Non è ancora del tutto chiaro quali cambiamenti comporterà l’attuazione dell’autonomia «differenziata» chiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma non mancano i timori, avanzati da più parti, di disparità radicali tra le regioni, a cominciare dalle risorse disponibili. Per quello che riguarda la scuola, in attesa di sapere che esito avrà il complesso iter della riforma, è senz’altro possibile fin da ora sottolineare che deve essere in primo luogo salvaguardata, attraverso i programmi scolastici, la già indebolita identità nazionale, evitando che venga meno la condivisione di troppa parte del patrimonio culturale che ne è la base. A partire dalla stessa lingua che, specie in certe regioni, potrebbe venire emarginata a vantaggio dei dialetti. Quanto alla formazione professionale, fin dal testo originale della Costituzione si tratta di materia regionale. Il sistema trentino da anni in questo offre risultati eccellenti e certamente sia il Veneto che la Lombardia lo hanno ben studiato e giustamente cercano di applicarlo almeno in parte. È possibile che la nuova situazione consenta loro di spingersi oltre, per esempio verso la creazione di un unico contenitore in cui confluiscano una parte degli istituti professionali e la formazione, come appunto ha fatto negli anni scorsi la provincia autonoma di Trento. Non gioverebbe, come molti rivendicano, accentuare l’autonomia delle scuole, perché quello che non le fa funzionare non sono tanto le norme, quanto la mancanza di un «governo» basato su dirigenti liberati dalle troppe incombenze burocratiche e amministrative e affiancati da docenti — almeno in parte liberati dall’insegnamento — che abbiano forti competenze progettuali e organizzative. Sia chiaro, nessuno vuol santificare l’attuale sistema scolastico nazionale, per molti aspetti inadeguato e gestito per decenni sostanzialmente come ammortizzatore sociale, trascurando il rigore della selezione dei docenti. Per tanti politici l’operazione di demandare tutto alle scuole è stato un capolavoro di furbizia, uno scaricabarile di compiti prima affidati agli uffici periferici, che ha oltre tutto evitato la necessità di creare altri spazi e altre attività educative per i ragazzi e i giovani al di fuori del contesto scolastico. E i ministri, anziché occuparsi di cambiare solo le formule dell’esame di maturità, avrebbero dovuto assumere e formare ispettori che abbiano la possibilità di cacciare dirigenti e docenti incapaci e disonesti.
E ancora, come amministrare le scuole autonome se la stragrande maggioranza dei direttori amministrativi ricopre l’incarico senza averne titolo e molte volte le capacità? Infine, i poteri locali, che pur ne hanno piena responsabilità, si sono forse interessati in questi decenni di costruire scuole che si diversificassero dai principi architettonici con cui si sono costruiti i «nuovi» penitenziari? Senza responsabilità (e dunque senza controlli e valutazioni) non può esistere autonomia utile e produttiva: e basti pensare, tra i tanti fenomeni che lo dimostrano, al prosperare dei cento e lode in zone in cui i risultati delle indagini nazionali e internazionali certificano rendimenti scolastici che in negativo non hanno eguali tra i paesi Ocse. Ma da qui ad appropriarsi della gestione da parte delle regioni dell’intero sistema scuola ce ne corre, perché una scuola della nazione è indispensabile. Per molti versi c’è ancora da «fare l’Italia» e da costruire la sua scuola: di massa s’intende, che se non è di qualità serve a poco. Neanche ad aiutarci a costruire una solida unità nazionale, irraggiungibile attraverso un sistema scolastico diverso, appunto, da regione a regione.
Valerio Vagnoli
Editoriale del “Corriere Fiorentino”, 16 febbraio 2019

sabato 9 febbraio 2019

RISPOSTA A “CONDORCET”: QUALI RIPETENZE AIUTANO DAVVERO GLI STUDENTI?

“Condorcet” ha commentato su “ilSussidiario.net” la proposta del Gruppo di Firenze sulla bocciatura e la ripetenza per materia. Le differenze permangono, sottolineate in questa replica
“ilSussidiario.net” 9 febbraio 2019  

Su questo giornale il gruppo “Condorcet” – autore di un progetto che punta a “realizzare una scuola veramente democratica” – ha commentato la nostra proposta di scuole superiori basate su corsi disciplinari invece che sulla tradizionale successione delle classi. La loro valutazione è più o meno questa: l’idea del Gruppo di Firenze è quasi uguale a uno dei “quattro interventi strutturali” di cui parla il documento Condorcet, ma “servono interventi che le diano una cornice e un senso”. Che sono i seguenti (cito dal loro manifesto): “1) riformare i cicli scolastici e abolire le bocciature; 2) una maggiore connessione tra scuola e società (con particolare attenzione al lavoro); 3) archiviare la logica contingente del cosiddetto “bonus merito” e adottare quella strutturale di introdurre le carriere per i docenti; 4) liberare le istituzioni scolastiche e i loro dirigenti da una burocrazia soffocante, che impedisce alle scuole di essere realmente autonome”.
Ma le due proposte che riguardano le ripetenze sono davvero quasi uguali? Vediamo. Noi parliamo di sostituire la bocciatura “in blocco” con quella materia per materia. Alla fine di ogni corso disciplinare c’è un esame, la cui valutazione verrà finalmente sottratta al famigerato “voto di consiglio” e ai mercanteggiamenti che caratterizzano troppi scrutini di fine anno, in cui spesso i 5 e anche i 4 diventano miracolosamente 6. In caso di insuccesso si potrà consentire di ripetere l’esame; se l’impreparazione permane si dovrà ripetere il corso.
Nella proposta del gruppo “Condorcet” invece “gli alunni, se non hanno acquisito le competenze richieste in una disciplina, ripetono nell’anno successivo solo quella disciplina e non l’intero anno di corso”. Ma poi si aggiunge: “con la possibilità di fare un esame di recupero se intendono rimettersi in pari”. In altre parole, si fa decidere allo studente stesso se farsi esaminare o no… Un’idea francamente sconcertante. Senza dover sostenere per forza un esame una volta seguito di nuovo il corso, quanto è grande il rischio che i ripetenti si limitino a “scaldare il banco” invece di impegnarsi per trarne profitto? Tanto varrebbe, allora, far decidere a loro se ripetere o meno il corso andato male…
Questa impostazione trova il suo sbocco nel conseguimento di “certificati finali” che “attesterebbero il livello effettivamente raggiunto in ogni disciplina”, un’idea praticata in alcuni paesi, che via via riemerge e che comunque la si valuti dovrebbe però comportare l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Quest’ultimo implica necessariamente la sufficienza in tutte le materie, altrimenti si potrebbe dare il caso di un diploma di perito tecnico (per esempio) che certifica conoscenze e competenze insufficienti nelle materie professionalizzanti… (Personalmente sarei favorevole a discuterne a proposito delle lauree, non per le scuole secondarie).
In ogni caso è evidente che su questo punto cruciale le due proposte si allontanano molto: noi puntiamo a favorire il massimo impegno in tutte le materie e a disincentivare drasticamente la pratica dei “condoni” connessa alla bocciatura totale, mentre il piano di Condorcet finirebbe inevitabilmente per far balenare nelle menti degli studenti – e più in quelle dei meno motivati – l’idea che qualche materia si può anche non studiare. Paradossalmente la nostra strategia risulterebbe quindi più “inclusiva” di quella “per una scuola veramente democratica”.
Vengo al rilievo secondo il quale sarebbe impossibile introdurre “una simile rivoluzione” indipendentemente da altri cambiamenti. Condorcet ne propone quattro, come si è detto: le carriere per i docenti, maggiore autonomia delle scuole, la riforma dei cicli e un rinnovato rapporto con il mondo del lavoro. Limitarsi a una proposta per volta è per noi una questione di metodo, che consente di evitare un dibattito dispersivo e raccogliere tutte le possibili adesioni. La scuola basata su corsi disciplinari, comunque, starebbe in piedi anche da sola, una volta risolti i non pochi problemi attuativi. E va da sé che molto altro è necessario, tra cui certamente la cosiddetta “carriera”, cioè la creazione di nuovi ruoli qualificati che collaborino al governo della scuola.
Quanto al “rinnovato rapporto col mondo del lavoro”, negli anni abbiamo dedicato diverse iniziative alla formazione e all’istruzione professionali, di cui auspichiamo la graduale unificazione. In Toscana siano riusciti a far sì che la formazione professionale venisse rivalutata, tanto che la Regione ha varato negli ultimi anni dei corsi triennali all’interno degli istituti professionali. Anche su questo, quindi, siamo d’accordo con i colleghi di Condorcet. Ma l’opzione di una qualificata formazione professionale deve essere subito a disposizione dei ragazzi che escono dalle medie e che possono trovare soddisfazione in una scuola più basata sul fare che sullo studio teorico. La causa principale delle alte percentuali di bocciati nei primi due anni degli istituti professionali (oltre il 22% in prima e quasi il 13% in seconda) è la combinazione tra le troppe materie e le troppo poche ore di laboratorio; in altre parole, la scarsa corrispondenza tra le aspettative dei nuovi iscritti e la realtà con cui si scontrano. Un problema che si è via via aggravato dai primi anni 90, tanto che si è potuto parlare di “licealizzazione” dei professionali. L’apparente saggezza di rimandare le scelte a 16 anni, come propone Condorcet, si scontra con questo irrefutabile dato di fatto. Ingabbiare per altri due anni in una scuola generalista chi è già scoraggiato rispetto allo studio teorico non risponde ad alcuna logica pedagogica concreta. Anzi il gusto per la cultura si può meglio recuperare a partire da qualcosa che ci piace e in cui si riesce.
Infine, un cenno all’ispirazione di fondo che guida un po’ tutte le nostre iniziative. La scuola italiana (come l’Italia tutta) ha bisogno di robuste iniezioni di serietà, che nella bella definizione del Dizionario De Mauro è la “qualità di chi agisce con responsabilità, con correttezza, con capacità e volontà di assolvere i propri doveri e gli impegni assunti”. Quanta serietà c’è nel sistema scolastico? In breve: la formazione iniziale dei docenti è poco selettiva e poco basata sull’esperienza; molti docenti sono entrati e continuano a entrare nella scuola ope legis; l’anno di prova è quasi sempre una formalità; l’aggiornamento è raro e spesso poco utile; l’interscambio con l’università inesistente; quasi nulla la possibilità di sradicare dalla cattedra e dalla presidenza gli insegnanti e i dirigenti incapaci o gravemente scorretti; agli esami si copia e si fa copiare; la parola disciplina è screditata (ma l’Ocse non si stanca di rimarcarne l’importanza); l’orrore per le sanzioni è diffusissimo; rarissime le conseguenze per chi occupa le scuole e dilapida i soldi pubblici; di etica professionale non si è mai parlato. Forse anche di questa cornice, amici del gruppo Condorcet, bisognerebbe discutere.
Giorgio Ragazzini

giovedì 7 febbraio 2019

CON LE SUPERIORI BASATE SU CORSI, AVREMO RAGAZZI MENO FRUSTRATI E PIÙ PREPARATI


Le statistiche ufficiali ci dicono che negli ultimi dieci anni un milione e ottocentomila ragazzi delle scuole superiori risultano «dispersi» (per dispersione si intende la somma degli abbandoni e delle ripetenze). In realtà le cifre sono molto maggiori. Le scuole infatti sono tenute a segnalare al ministero solo i ragazzi che ufficialmente si sono ritirati. Sappiamo invece che la gran parte dei «dispersi» abbandona senza che le famiglie ne diano notizia, essendo spesso disinteressate alla vita scolastica dei figli. La percentuale dei bocciati raggiunge cifre molto alte nei tecnici e nei professionali: in media deve ripetere la prima il 17% nei tecnici e il 22% nei professionali. La gravità del problema è evidente e lo sarà ancora di più quando le conseguenze si manifesteranno sul piano economico, sociale e culturale, nonché sulla qualità della classe dirigente. Insomma, una descolarizzazione di massa, che si manifesta anche attraverso una scuola di basso profilo e poco esigente, non è un buon viatico in generale per il futuro, che forse nella sua veste peggiore purtroppo sembrerebbe già arrivato. Verrebbe almeno da pensare che la sempre più ostentata esibizione dell’ignoranza sia anche il frutto della esigua importanza che da tempo si riserva alla scuola. Al fenomeno dell’alto numero di insuccessi si accompagna inoltre un fenomeno opposto, e cioè le promozioni nonostante notevoli carenze in alcune discipline. In sintesi: se l’impreparazione è catastrofica non si può che bocciare, ma se mancano all’appello due o tre materie si chiude spesso un occhio. Di fronte a questo quadro si deve pensare a un’istruzione pubblica che offra più garanzie sul piano della preparazione e contemporaneamente abbatta le percentuali dei bocciati, con ciò limitando gli abbandoni per frustrazione, scoraggiamento e per scelta inadeguata dell’indirizzo. Bisogna evitare che i docenti si trovino a scegliere tra promuovere uno studente senza che abbia colmato le sue lacune, destinate a rimanere tali, o bocciarlo imponendogli di ristudiare anche le materie in cui ha avuto risultati positivi. La soluzione che proponiamo come Gruppo di Firenze è quella di organizzare le scuole superiori su corsi disciplinari anziché sulla tradizionale successione delle classi. In altre parole: non si passerebbe più dalla classe prima alla seconda e così di seguito, ma dal primo corso di storia, di italiano, di matematica ai rispettivi secondi corsi e così via. Naturalmente non si accederà al corso superiore senza aver superato, attraverso un esame, il precedente. Se l’esame non andasse bene, il ragazzo potrà ripetere il corso e l’esame stesso. Avremmo così, al contrario di quanto accade oggi, dei ragazzi che non ripeteranno l’intero anno, ma solo le discipline insufficienti. Inoltre, l’attivazione di corsi di recupero anche durante l’anno potranno impedire che le carenze si sedimentino, diventando poi molto più difficile recuperarle. Nel caso che si opti per una durata annuale dei corsi, il recupero potrà essere fatto anche nel corso dell’estate; e agli esami un tempo detti «di riparazione» i candidati non potranno più pensare che «tanto per una materia non mi bocciano» e dovranno perciò prepararsi seriamente per evitare di rimanere a lungo nel medesimo corso e magari alla fine non essere ammessi all’esame di Stato. Come si capisce, si t ratta di un’impostazione che ricorda quella universitaria; ma il gruppo classe, tradizionale ambito di apprendimento e di socializzazione per gli adolescenti, non verrà abbandonato, anche per concreti motivi logistici. Naturalmente chi dovrà ripetere un corso sarà inserito, solo per quello, in un altro gruppo (e tra l’altro, come effetto non indesiderato, potrà farsi altri amici). Ma il documento del Gruppo di Firenze volutamente non entra nei particolari della possibile riforma. Saranno il Parlamento e il ministero dell’Istruzione, se riterranno di doverla approfondire, a entrare nello specifico e a tener conto del dibattito in proposito. Sarà più agevole eventualmente prevedere la possibilità di corsi opzionali sia per motivare i ragazzi che per orientarli meglio alla vita, ma resta il fatto che con questa nuova impostazione la scuola diventerà più rigorosa e altrettanto rigorosa la preparazione degli studenti. Ci auguriamo di poter così contribuire, se la proposta sarà sostenuta da insegnanti, dirigenti e dall’opinione pubblica, a costruire una scuola più efficace, più giusta, più credibile nelle sue valutazioni e quindi più utile a studenti e collettività.
Valerio Vagnoli
"Corriere Fiorentino", 5 febbraio 2019

sabato 2 febbraio 2019

RIPETERE LE MATERIE INSUFFICIENTI, NON LA CLASSE: SCUOLE SUPERIORI BASATE SU CORSI DISCIPLINARI


“il Sussidiario.net”, 1° febbraio 2019*
Da anni si riaccende ogni tanto la discussione sul tema “bocciatura sì / bocciatura no”; e un’iniziativa per abolirla nei primi otto anni di scuola – dove è già un’extrema ratio– è fortunatamente abortita per l’opposizione della ministra Fedeli. Ma non è al riparo da queste intenzioni neppure la scuola superiore, nella quale anche don Milani ammetteva la bocciatura (“Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri”). Molti sono abolizionisti perché poco inclini alla valorizzazione del merito e tendono a rifiutare le valutazioni negative per le loro conseguenze. Però neppure il più acceso anti-abolizionista può negare in scienza e coscienza che far ripetere l’anno, cioè tutte le materie, di fronte ad alcune insufficienze sia un sistema poco soddisfacente, anche se in genere è il minore dei mali rispetto a una promozione inopportuna. Il dilemma è noto. Se lo studente non viene promosso, potrà recuperare conoscenze e competenze non acquisite, ma dovrà ristudiare da capo anche le discipline in cui non aveva problemi. E se è vero che per non pochi ragazzi bocciare ha costituito un’occasione per riconquistare senso di responsabilità e conseguente impegno, in altri questo può causare frustrazione e scoraggiamento o spingere addirittura all’abbandono, soprattutto se l’insuccesso si ripete e se la famiglia non è in grado di sostenerlo con ripetizioni private. Se invece gli vengono “condonate” le materie insufficienti per evitare la bocciatura, lo studente si porterà dietro una preparazione lacunosa; e per di più sarà portato a pensare che studiare tutte le discipline non è poi così necessario. Venendo alla “sospensione del giudizio” (così il ministro Fioroni ribattezzò, reintroducendoli, gli esami di riparazione), se è sempre meglio di niente, è anche vero che il dilemma bocciare/non bocciare si ripropone molto spesso anche a settembre. Quanti consigli di classe se la sentono oggi di far ripetere l’anno per una materia o magari due, anche quando è evidente che il rimandato non ha aperto libro? L’ovvio risultato sarà quello di rafforzare la tendenza a prendere sotto gamba future “sospensioni del giudizio”.
Di fronte a questo evidente stallo, l’abolizione pura e semplice della bocciatura sarebbe un rimedio peggiore del male, cioè l’anticamera di un ulteriore occultamento delle carenze. Non c’è corso di recupero o sforzo di variazione nella didattica che possa rendere superflui gli esami e le verifiche rigorose. La maggioranza degli studenti avrà sempre bisogno di questo per impegnarsi sul serio e per capire a che punto si trova. L’amore per lo studio è un grande dono o una grande conquista, ma è illusorio fondarvi a priori un sistema scolastico.
La soluzione che proponiamo come Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità è un’organizzazione delle scuole superiori basata su corsi disciplinari invece che sulla successione delle classi. In altre parole, come si legge nel documento reperibile sul nostro blog “non si passerebbe più dalla prima classe alla seconda e così via, ma dal primo al secondo corso di italiano, dal primo al secondo di matematica e via dicendo”. Ogni corso termina con un esame, Non c’è più quindi la bocciatura completa, ma si potrà essere bocciati negli esami che concludono i corsi, con la possibilità di ripetere l’esame dopo un certo tempo oppure il corso stesso in caso di nuovo insuccesso o di preparazione gravemente carente.
Non siamo entrati volutamente nei dettagli, ma la struttura didattica somiglia un po’ a quella universitaria, oltre che al sistema finlandese delle scuole superiori, a cui la nostra ipotesi (che è poi uno schema generale da studiare nei particolari) si ispira. C’è chi ne ha dedotto la liquidazione della classe intesa come gruppo di riferimento, notoriamente importante per gli adolescenti. Ma la scuola non è l’università e il gruppo classe non solo è bene che rimanga, ma il suo mantenimento sarebbe probabilmente reso inevitabile anche da motivi di semplificazione organizzativa. Infatti, come oggi è in genere impossibile far scegliere la sezione, soprattutto quando alcune sono molto più richieste e altre meno, così sarà nella nuova organizzazione rispetto ai corsi. La soluzione più logica è dunque quella di costituire ugualmente dei "gruppi classe" i cui membri dovranno tutti seguire lo stesso corso di italiano, lo stesso di latino, di inglese,  eccetera. In questo modo non cambierebbe nulla sul piano della relazione con i compagni e i docenti sarebbero per tutti gli stessi. Solo che, a differenza di quanto è successo fino a ora, la composizione dei gruppi non cambia, come succede oggi, quando si perdono o si acquistano dei ripetenti “totali”, ma a seconda delle materie. In parole povere, Giuseppe Bianchi, bocciato a italiano e inglese, i suoi compagni non lo vedranno più nei corsi successivi di queste materie, ma negli altri corsi resterà con loro. Si potrebbe quindi verificare addirittura una maggiore continuità di rapporto fra compagni di classe. D’altra parte, nell’ipotesi che i corsi siano di durata annuale, magari con esami intermedi, la “sospensione del giudizio” acquisterebbe ben altra serietà. A chi non volesse rifare il corso, potrebbe infatti essere offerta la possibilità di corsi estivi intensivi per poi ripetere l’esame a settembre; con la grossa differenza che nella nuova situazione l’interesse a darsi da fare sarebbe molto forte, venendo a mancare il ricatto emotivo insito nel far ripetere l’anno in tutte le materie per una sola insufficienza.
Una scelta di questo genere, dunque, costituirebbe una grande opportunità per ridare efficacia al nostro sistema istruzione. Naturalmente non si tratta di qualcosa che è possibile attuare senza un’approfondita preparazione. Da parte nostra non abbiamo voluto “appendere” a questa ipotesi altri cambiamenti, come in genere si usa col risultato di fare tutto male o di non riuscire a fare niente. È solo uno “schema di gioco”, che oltre a superare, ma nel senso della serietà, il problema delle ripetenze, promette di essere efficace nel combattere la dispersione e di rendere più credibili le valutazioni. Gli studenti sarebbero più responsabilizzati e diventerebbe più semplice l’istituzione di corsi opzionali, per esempio in vista della scelta universitaria. Un orientamento in questo senso del Parlamento e del Governo dipenderà molto anche da quanto i colleghi e i dirigenti degli istituti superiori apprezzeranno e faranno propria questa proposta.
Giorgio Ragazzini

*Pubblicato con il titolo ll Gruppo di Firenze: ecco come eliminare la bocciatura