Le statistiche ufficiali
ci dicono che negli ultimi dieci anni un milione e ottocentomila ragazzi delle
scuole superiori risultano «dispersi» (per dispersione si intende la somma
degli abbandoni e delle ripetenze). In realtà le cifre sono molto maggiori. Le
scuole infatti sono tenute a segnalare al ministero solo i ragazzi che
ufficialmente si sono ritirati. Sappiamo invece che la gran parte dei
«dispersi» abbandona senza che le famiglie ne diano notizia, essendo spesso
disinteressate alla vita scolastica dei figli. La percentuale dei bocciati
raggiunge cifre molto alte nei tecnici e nei professionali: in media deve
ripetere la prima il 17% nei tecnici e il 22% nei professionali. La gravità del
problema è evidente e lo sarà ancora di più quando le conseguenze si
manifesteranno sul piano economico, sociale e culturale, nonché sulla qualità
della classe dirigente. Insomma, una descolarizzazione di massa, che si
manifesta anche attraverso una scuola di basso profilo e poco esigente, non è
un buon viatico in generale per il futuro, che forse nella sua veste peggiore
purtroppo sembrerebbe già arrivato. Verrebbe almeno da pensare che la sempre
più ostentata esibizione dell’ignoranza sia anche il frutto della esigua
importanza che da tempo si riserva alla scuola. Al fenomeno dell’alto numero di
insuccessi si accompagna inoltre un fenomeno opposto, e cioè le promozioni
nonostante notevoli carenze in alcune discipline. In sintesi: se
l’impreparazione è catastrofica non si può che bocciare, ma se mancano
all’appello due o tre materie si chiude spesso un occhio. Di fronte a questo
quadro si deve pensare a un’istruzione pubblica che offra più garanzie sul
piano della preparazione e contemporaneamente abbatta le percentuali dei
bocciati, con ciò limitando gli abbandoni per frustrazione, scoraggiamento e
per scelta inadeguata dell’indirizzo. Bisogna evitare che i docenti si trovino
a scegliere tra promuovere uno studente senza che abbia colmato le sue lacune,
destinate a rimanere tali, o bocciarlo imponendogli di ristudiare anche le
materie in cui ha avuto risultati positivi. La soluzione che proponiamo come
Gruppo di Firenze è quella di organizzare le scuole superiori su corsi
disciplinari anziché sulla tradizionale successione delle classi. In altre
parole: non si passerebbe più dalla classe prima alla seconda e così di
seguito, ma dal primo corso di storia, di italiano, di matematica ai rispettivi
secondi corsi e così via. Naturalmente non si accederà al corso superiore senza
aver superato, attraverso un esame, il precedente. Se l’esame non andasse bene,
il ragazzo potrà ripetere il corso e l’esame stesso. Avremmo così, al contrario
di quanto accade oggi, dei ragazzi che non ripeteranno l’intero anno, ma solo
le discipline insufficienti. Inoltre, l’attivazione di corsi di recupero anche
durante l’anno potranno impedire che le carenze si sedimentino, diventando poi
molto più difficile recuperarle. Nel caso che si opti per una durata annuale
dei corsi, il recupero potrà essere fatto anche nel corso dell’estate; e agli
esami un tempo detti «di riparazione» i candidati non potranno più pensare che
«tanto per una materia non mi bocciano» e dovranno perciò prepararsi seriamente
per evitare di rimanere a lungo nel medesimo corso e magari alla fine non
essere ammessi all’esame di Stato. Come si capisce, si t ratta di
un’impostazione che ricorda quella universitaria; ma il gruppo classe,
tradizionale ambito di apprendimento e di socializzazione per gli adolescenti,
non verrà abbandonato, anche per concreti motivi logistici. Naturalmente chi
dovrà ripetere un corso sarà inserito, solo per quello, in un altro gruppo (e
tra l’altro, come effetto non indesiderato, potrà farsi altri amici). Ma il
documento del Gruppo di Firenze volutamente non entra nei particolari della
possibile riforma. Saranno il Parlamento e il ministero dell’Istruzione, se
riterranno di doverla approfondire, a entrare nello specifico e a tener conto
del dibattito in proposito. Sarà più agevole eventualmente prevedere la
possibilità di corsi opzionali sia per motivare i ragazzi che per orientarli
meglio alla vita, ma resta il fatto che con questa nuova impostazione la scuola
diventerà più rigorosa e altrettanto rigorosa la preparazione degli studenti.
Ci auguriamo di poter così contribuire, se la proposta sarà sostenuta da insegnanti,
dirigenti e dall’opinione pubblica, a costruire una scuola più efficace, più
giusta, più credibile nelle sue valutazioni e quindi più utile a studenti e
collettività.
Valerio Vagnoli
"Corriere Fiorentino", 5 febbraio 2019
4 commenti:
La proposta ridurrebbe la frustrazione non solo degli studenti, ma anche quella dei docenti delle materie in cui gli studenti hanno effettivamente lavorato e recuperato, ma che vedono vanificati i loro sforzi da una bocciatura indiscriminata.
In un'epoca ormai remota - metà degli anni 70 - ci si avvicinò a realizzare una scuola superiore basata sui corsi. Addirittura in alcuni casi l'architettura scolastica - mi riferisco ai Centri Scolastici Omnicomprensivi dell'hinterland milanese ad esempio, in cui opero - creò strutture atte a recepire questa innovazione, ma poi purtroppo non se ne fece nulla.
La giustizia si impara sui banchi di scuola. Se gli studenti vedono riconosciuti i loro sforzi - anche se minimi o circoscritti - saranno indotti a pensare di aver perso tempo. Da qui l'abbandono e anche il rancore verso l'istituzione che li ha emarginati.
prof. Giulio Picciolini
docente di Italiano e Storia
Animatore Digirtale
presso IIS Falcone-Righi di Corsico
Grazie Professore. Riflessioni di cui terremo senz'altro conto.
Valerio Vagnoli
Digitale non “Digirtale”
Buongiorno
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