sabato 4 dicembre 2021

L' EDUCAZIONE FISICA DIVENTI POMERIDIANA PER DARE FORZA ALLO SPORT

 

Gentile Direttore,

ho letto con molto interesse l’articolo del dottor Sarti e la risposta del consigliere del Coni Sanzo a proposito della pratica sportiva dei ragazzi. Due diversi punti di osservazione, quello del pediatra/educatore e quello dell’uomo di sport. Le preoccupazioni di Paolo Sarti sono senza dubbio fondate, non solo sulla sua esperienza professionale, ma anche sulle numerosissime testimonianze che parlano di genitori tifosi scatenati dei propri figli dei quali, del tutto immemori delle proprie responsabilità educative, alimentano ambizioni il più delle volte irragionevoli e nocive per il loro equilibrio psicologico. Tuttavia è vero che una seria pratica sportiva può essere una grande risorsa per i ragazzi, in particolare per gli adolescenti, anche, come scrive lo stesso Sanzo, sul piano educativo: imparare il rispetto di regole e avversari; coltivare una passione e comprendere che per raggiungere dei traguardi, grandi o piccoli, servono impegno e fatica; imparare a fare i conti con i propri limiti. Tutte acquisizioni fondamentali anche per gli altri ambiti di vita dei giovani, inclusa la scuola. Che potrebbe essere a sua volta il luogo più appropriato per guidare tutti i ragazzi (in particolare quelli delle superiori) a una pratica dello sport il meno possibile esposta ai rischi di cui scrive Sarti. Le due ore di Educazione fisica hanno però da questo punto di vista degli evidenti limiti. A Firenze come in tante città italiane, molti istituti con sede in centro spesso non dispongono neppure di una palestra degna di questo nome e sono costretti a trasferirsi in altre sedi. Le ore sono incastonate nell’orario mattutino e si può immaginare quanto tempo possa essere realmente dedicato all’esercizio sportivo. La possibilità di fare una doccia, salvo eccezioni, è inesistente. Per di più, negli ultimi anni agli insegnanti di Educazione fisica sono state spesso affidate varie altre «educazioni», dalla lotta alle droghe al patentino, assai poco pertinenti al loro specifico ambito disciplinare, a discapito della vera e propria attività sportiva. Io credo quindi che si dovrebbe valutare la possibilità che l’Educazione fisica diventi, almeno nelle superiori, un' attività curricolare pomeridiana, anche con un maggior numero di ore per la pratica sportiva, pur riservandone alcune ad aspetti teorici. Si tratterebbe certamente di un cambiamento di non poco conto, con vari problemi da affrontare come la disponibilità di attrezzature sportive (ma potrebbe essere l’occasione per realizzarne di nuove), o le difficoltà per gli studenti fuori sede. Ma si potrebbe iniziare con delle sperimentazioni.

 Andrea Ragazzini   -   “Corriere Fiorentino”, 4 dicembre 2021

 

LETTERA APERTA AL MINISTRO BIANCHI SUGLI ESAMI DI MATURITÀ


   Gentile Ministro Bianchi,

a quanto abbiamo letto, Lei sarebbe orientato a riproporre un esame di maturità senza gli scritti come lo scorso anno, quando molti degli stessi studenti, interpellati dai giornali, l’hanno giudicato più o meno una burletta.  

Nonostante i problemi causati dalla pandemia, per far svolgere gli scritti in sicurezza a fine anno molte aule sono libere per ospitare piccoli gruppi di candidati. E che l'esame debba essere una verifica seria e impegnativa è nell’interesse di tutti. In quello dei ragazzi – per cui deve costituire anche una porta di ingresso nell’età adulta – perché li spinge a esercitarsi e a studiare, anche affrontando quel tanto di ansia che conferma l’importanza di questo passaggio. Solo così potranno uscirne con soddisfazione. È nell’interesse della collettività, alla quale è doveroso garantire che alla promozione corrisponda una reale preparazione. Infine la scuola, che delle promozioni si assume la responsabilità, riacquisterebbe un po’ di quella credibilità che ha perso proprio scegliendo la via dell’indulgenza a compenso della sua frequente inadeguatezza nel formare culturalmente e umanamente le nuove generazioni.

Non si tratta quindi solo della reintroduzione delle prove scritte, per molte ragioni indispensabile (insieme alla garanzia che non si copi e non si faccia copiare, come accade massicciamente ogni anno); ma di trasmettere agli studenti il messaggio di serietà e di autorevolezza che in fondo si aspettano da parte degli adulti.  

Grazie per la Sua attenzione. 

Roberta De Monticelli, già Professore ordinario di Filosofia della Persona, Università Vita Salute San Raffaele

Adriano Prosperi, Professore Emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale di Pisa

Alberto Giovanni Biuso, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica, Università di Catania

Alessandro Barbero, Docente Ordinario di Storia medievale, Università del Piemonte Orientale

Anna Oliverio Ferraris, Psicologa e psicoterapeuta, già Docente di Psicologia dello sviluppo, Università La Sapienza

Carla Bagnoli, Professore di Filosofia teoretica all’Università di Modena e Reggio Emilia

Carlo Cottarelli, Economista, dirige l'Osservatorio sui Conti Pubblici della Cattolica di Milano

Carlo Fusaro, Già Ordinario di Diritto pubblico comparato Università di Firenze

Chiara Frugoni, già Docente di Storia Medievale e della Chiesa presso l’Università di Pisa

Donatella Di Cesare, Docente Ordinario di Filosofia teoretica, Università di Roma La Sapienza

Elsa Fornero, Docente di Economia  Università di Torino,  Ministro del Lavoro nel Governo Monti

Enrica Lisciani-Petrini, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica, Università di Salerno

Ferdinando Luigi Marcolungo, Docente Ordinario di Filosofia teoretica, Università di Verona

Francesco Perfetti, Già Docente ordinario di Storia contemporanea, Università LUISS Guido Carli di Roma

Fulco Lanchester, Docente ordinario di Diritto Costituzionale e Comparato, Università La Sapienza, Roma

Giacomo Poggi, Professore Onorario di Fisica generale, Università di Firenze

Giovanni Belardelli,  Professore Ordinario di Storia delle dottrine politiche Università di Perugia

Giovanni Orsina, Docente Associato di Storia Comparata dei Sistemi Politici Europe, Università LUISS di Roma

Giulio Ferroni, Professore Emerito di Letteratura italiana Università di Roma La Sapienza -

Giuseppe Nicoletti, Docente Ordinario di Letteratura Italiana, Università di Firenze

Gustavo Zagrebelsky, Giurista e accademico, Presidente Emerito della Corte Costituzionale

Lorenzo Strik Lievers, Già Docente di Didattica della Storia presso l’Università di Milano Bicocca

Marco Santambrogio, Docente di Sistemi di Elaborazione dell’Informazione presso il Politecnico di Milano

Maria Cristina Grisolia, Professore Ordinario di Diritto Costituzionale, Università di Firenze

Maurizio Dardano, Accademico della Crusca e docente emerito di Storia della lingua, Università Roma Tre

Nicla Vassallo, Professore ordinario di Filosofia teoretica nell’Università di Genova

Paolo Crepet, Psichiatra, sociologo e saggista

Renato Mannheimer, Sociologo e Accademico, Esperto di sondaggi demoscopici, partener di Eumetra Monterosa

Renza Bertuzzi, Docente nelle scuole superiori, dirige “Professione Docente”, organo della Gilda degli Insegnanti

Rino Di Meglio, Coordinatore Nazionale della Gilda degli Insegnanti

Roberta Lanfredini, Professore Ordinario di Filosofia teoretica nell’Università di Firenze

Roberto Tripodi, Responsabile Formazione dell’Associazione Scuole Autonome della Sicilia

Stefano Poggi, Docente Ordinario di Storia della Filosofia presso l'Università di Firenze

giovedì 2 dicembre 2021

UN BUON CITTADINO DEVE SAPER LEGGERE E SCRIVERE

 …Pinocchio, con il suo Abbecedario nuovo sotto il braccio prese la strada e strada facendo discorreva tra sé: “Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere; domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare di conto…”               Collodi, Le Avventure di Pinocchio  

Carlo Lorenzini in una caricatura di Angiolo Tricca del 1875

 A S.E. il Ministro Coppino… È appunto per questi e per molti altri motivi, che sarebbe bene gridare fin d’ora: rispettiamo gli analfabeti! L’analfabeta, con una splendida similitudine, venne paragonato a un candido foglio, vergine e puro da ogni macchia d’inchiostro e da ogni lettera dell’alfabeto: sicché dunque, a conti fatti, l’Italia può vantarsi presentemente di possedere diciassette milioni di fogli candidi come la neve. Signor Ministro! Un po’ di carità per tutte queste risme di carta bianca!” Così scriveva Carlo Lorenzini, detto Collodi, nell’ottobre1877 in una lettera di protesta al ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, reo di aver promosso la legge, approvata dalla Camera il 15 luglio 1877, con cui l’istruzione elementare diventò obbligatoria e gratuita dai 6 ai 9 anni.

La lettera rivela lo spirito irriverente e goliardico di uno scrittore noto per i suoi trascorsi libertari e bohémien nella Firenze dei Lorena, pur avendo studiato nel prestigioso liceo religioso degli Scolopi insieme a Giosuè Carducci, Diego Martelli e Telemaco Signorini; e che da patriota aveva combattuto a Curtatone e Montanara nel 1848 e poi partecipato alla seconda guerra d’Indipendenza del 1859.

 

Michele Coppino

Per capire quel momento storico va però ricordata l’urgenza per il giovane stato italiano, formatosi nel 1861, di creare un’identità nazionale tramite una lingua, una cultura, un’educazione per un popolo di ben 17 milioni di analfabeti, come ricordava lo stesso Collodi. La legge Coppino rispondeva a questa esigenza. Si creò, conseguentemente una grande domanda di libri di testo, che gli editori italiani cominciarono a soddisfare. E proprio in quegli anni Collodi, contraddicendo le sue provocatorie affermazioni contro la scolarizzazione di massa, iniziò a dedicarsi alla letteratura per infanzia e in particolare scrisse dei racconti con finalità pedagogiche, creando la figura di Giannettino, che spiegava ai bambini l’Abbaco, la Geografia e nozioni di economia e scienza della nuova Italia. Se negli anni del Risorgimento il laico Lorenzini aveva fatto, sia pure in forma ironica da par suo, sorprendenti affermazioni elitarie sull’alfabetizzazione di massa, era scontato invece che la Chiesa cattolica, che fino ad allora aveva avuto il monopolio dell’istruzione per i più abbienti, facesse inizialmente resistenza alla nascita di una scuola elementare pubblica e gratuita per tutti, dove imparare a leggere, scrivere e far di conto.

Dalla legge Coppino in poi, durante la Monarchia e poi con la Repubblica, si è sviluppato invece un processo virtuoso di riforme scolastiche, che ha promosso l’alfabetizzazione del popolo italiano, portando l’obbligo scolastico progressivamente ai gradi superiori dell’istruzione, di modo che la scuola potesse così garantire la formazione di tutti e la selezione dei migliori nell’ambito di un sistema didattico in cui avessero pari valore le lezioni e le verifiche dell’apprendimento. Questo processo di riforme nel suo cammino ha incontrato resistenze e difficoltà nella sua attuazione, senza però che alcun politico o intellettuale, e tantomeno la Chiesa, ponessero in discussione il valore fondante dell’istruzione pubblica italiana, almeno fino alla riforma della media unica nel 1962.

Con il Sessantotto i giovani contestatori nell’università e nelle medie superiori videro nella scuola, in un’ottica radicale e ideologica, uno strumento di selezione di classe. Furono quindi criticati i canoni tradizionali della cultura e della pratica didattica, anche attraverso l’organizzazione di corsi alternativi e spesso con la promozione generalizzata attraverso i voti “politici”. Anche se poi il movimento di contestazione ebbe termine, nella sua parte più politicizzata rimasero vivi anche negli anni successivi alcuni principi e valori nel campo della didattica, rafforzati dall’arrivo di nuove concezioni pedagogiche nella scuola italiana. Le quali sostenevano (e sostengono) che il compito della scuola non è tanto quello di trasmettere conoscenze o mere nozioni, ma di far sì che gli studenti acquisiscano “competenze trasversali”, utili anche orientarsi nel mondo del lavoro, a scapito degli insegnamenti disciplinari, di cui si riducono ore e contenuti; e soprattutto non devono subire mortificazioni psicologiche con voti negativi e bocciature.

Questo ha comportato che gli studenti conoscano sempre meno la loro lingua madre, che cioè non sappiano più né leggere né scrivere correttamente, al punto che attualmente le università sono costrette a istituire corsi recupero di italiano. Paradossalmente lo conferma il testo zoppicante di una petizione che ha raggiunto le 40.000 firme, in cui “gli studenti maturandi chiedono l’eliminazione delle prove scritte agli esami di maturità del 2022, poiché trovano ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le loro capacità”. Se pure si possono capire, dato il clima buonista che vige nella scuola attualmente e la permanenza di residui sessantottini, la protesta e l’irresponsabilità dei giovani firmatari (che per inciso costituiscono una piccola minoranza), non è giustificabile l’indulgenza nei loro confronti da parte dei rappresentanti delle istituzioni scolastiche, in primis il ministro in carica Patrizio Bianchi, immemore dei comportamenti seri e responsabili dei suoi predecessori.

Nicola Coppino, Gaetano De Sanctis, Giovanni Gentile, Aldo Moro, citando alcuni ministri della Pubblica Istruzione in tempi diversi nella storia del Nostro Paese, avevano svolto con spirito di servizio il loro compito di rappresentanti dello Stato, in quanto erano consapevoli che la nazione affida alla scuola il mandato sociale di formare buoni cittadini, dotati di competenze culturali e professionali, che sappiano leggere e scrivere bene, siano rispettosi delle leggi dello Stato e abbiano un forte senso di appartenenza alla comunità nazionale.

Sergio Casprini 

(Editoriale pubblicato sul sito del “Comitato Fiorentino” per il Risorgimento il 1° dicembre 2021)

sabato 20 novembre 2021

NON ERA UNO SCHERZO

 Il 22 ottobre pubblicammo su facebook la petizione di un gruppo di studenti contrari a ripristinare le prove scritte negli esami di maturità. Un testo talmente pieno di errori ortografici, sintattici, logici e di improprietà di linguaggio da far pensare a uno scherzo. La petizione in un mese ha raggiunto 42.000 adesioni (relativamente poche per un bacino di oltre 2 milioni e 600 mila studenti delle superiori più i loro familiari). Ma il Ministro Bianchi, la cui "bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei", direbbe Dante, è orientato a confermare quelli che molti degli stessi studenti hanno giudicato esami burletta. La maturità "snella" viene giustificata con le difficoltà patite dai ragazzi negli ultimi due anni e con il crescere dei casi di Covid attualmente in corso; anche se dopo la fine dell’anno scolastico nelle scuole ci saranno aule vuote sufficienti a suddividere i maturandi in piccoli gruppi e si potranno tenere le finestre aperte.

I promotori della petizione potranno quindi ringraziare il Minisdro dela Publica Istruzzione.

(GR)

 

martedì 5 ottobre 2021

IL RAPPORTO DELLA FONDAZIONE AGNELLI MOSTRA I PUNTI DEBOLI DELLA SCUOLA MEDIA. MA, A BEN VEDERE, SONO GLI STESSI DI TUTTA LA SCUOLA ITALIANA

 


Secondo Freud, a 5/6 anni comincia un periodo ideale dal punto di vista dell’apprendimento. Le turbolenze della sessualità infantile entrano, per così dire, in sonno, per risvegliarsi in genere all’inizio della pubertà. I bambini sono ora in grado di concentrarsi sulla scuola e gli amici, e dimostrano grande curiosità e desiderio di imparare. Il passaggio dalla primaria alla scuola media ha sempre costituito, con l’ingresso nella preadolescenza (che a dire il vero oggi tende a essere più precoce), l’inizio di una fase che può comportare soprattutto per i maschi una crescente irrequietezza, a volte già l’esigenza di opporsi agli adulti, il desiderio di maggiore autonomia e infine l’avvento di nuovi interessi ed esigenze, come quella di uscire con gli amici dopo aver fatto in fretta e furia i compiti per casa.

Dovrebbe essere ovvio che questi cambiamenti incidono in modo notevole sul rendimento scolastico nella scuola media. In due modi: diminuiscono la motivazione, l’attenzione e la concentrazione rispetto alla primaria; ci sono più problemi di comportamento, i quali, come più volte ha sottolineato l’Ocse, danneggiano a loro volta l’apprendimento per il disturbo e la perdita di tempo che provocano. E magari hanno anche un ruolo nella maggiore tendenza degli insegnanti a chiedere il trasferimento (in una sede forse più “tranquilla”) oppure il “passaggio di ruolo”, in genere alle superiori. I cui docenti (scuole professionali a parte) spesso chiedono a quelli delle medie come fanno a resistere avendo a che fare con i ragazzi “agitati” di quell’età.

Di tutto questo, però, e della maggiore fatica di insegnare che ne deriva, di rado si tiene conto nell’analizzare i risultati della Scuola media. È anche il caso del rapporto della Fondazione Agnelli che la riguarda, di recente pubblicazione. Che aggiunge alle etichette appioppate a questo triennio – “buco nero” o “anello debole” del sistema scolastico – quella di “ventre molle”. Intendiamoci: buona parte delle osservazioni del rapporto sono del tutto condivisibili; purché, però, le si applichi a tutta la scuola italiana e non solo alla scuola media.

Una delle prime imputazioni, per esempio, è questa: Il fatto che oggi praticamente tutti gli studenti riescano a conseguire la licenza media non deve illudere, spingendoci a credere che sia indizio insieme di equità ed efficacia; è semmai una sorta di ‘condono’ alle carenze individuali per consentire il raggiungimento del titolo”. Giusto. Ma tutti gli ordini di scuola sono stati per decenni incoraggiati, consigliati e spinti a condonare le deficienze di preparazione e di disciplina. Da dove provengono i non pochi allievi che nelle prove d’ingresso in prima media denunciano serie lacune? Quante insufficienze anche gravi vengono “abbonate” in molti scrutini finali delle superiori? E perché le matricole universitarie hanno tanti problemi con l’Italiano? Tutta colpa della media? La quale, poi, non detiene certo il monopolio dei precari perché ne ha quasi il 30% invece del 25 delle superiori e il 20 circa della primaria. Non lo ha dei docenti immessi in ruolo ope legis, né di quelli avanti con gli anni: la media è intorno ai 50 anni in tutti gli ordini di scuola. Tutti poi, sia nel primo  che nel secondo ciclo, risentono della mancata selezione iniziale e dell’ insufficiente preparazione fornita loro dai corsi universitari. “In Italia – aggiunge il Rapporto – la carriera di docente è meno ambita rispetto ad altri paesi, perché la professione non gode di adeguato riconoscimento in termini di prestigio, retribuzione e carriera”. Ma anche questo vale per tutti. Giuste analisi, dunque, ma generalizzabili a “ogni ordine e grado”.

Va detto poi che l’Invalsi trae dalle sue indagini tutt’altra conclusione. Nel commento ai dati del 2018, si legge infatti che “l’affermazione, spesso ripetuta, secondo cui la scuola secondaria inferiore rappresenterebbe “l’anello debole” del sistema scolastico italiano non trova riscontro nei dati né delle prove Invalsi né delle indagini internazionali: quello che emerge, invece, è che in questo grado d’istruzione diventa manifesta la differenza di risultati tra le diverse aree dell’Italia, e in particolare tra nord e sud”. Una valutazione che verrà ribadita nel commento ai risultati dell’anno seguente.

Ai limiti di fermezza e di qualità che accomunano la scuola media agli altri segmenti della Pubblica Istruzione, aggiungerei invece una sua reale carenza specifica: quella di essere poco orientativa. Così com’è, serve bene a indirizzare verso i vari tipi di liceo, ma poco verso gli istituti tecnici e per nulla, se non come scelta residuale, a quelli professionali. C’è stato un momento, negli anni ’70, in cui c’erano due insegnanti di educazione tecnica. Si sarebbe dovuta cogliere l’occasione per farne una materia basata su laboratori che introducessero a un certo numero di mestieri fra quelli poi sviluppati negli indirizzi professionali delle superiori o, dove per fortuna funzionano bene, nei corsi di formazione professionale. L’occasione si è persa, la materia è diventata in gran parte teorica e affidata a un solo docente. Colpa, probabilmente, di quel pregiudizio negativo nei confronti della manualità che sarebbe poi stato responsabile della stolta “licealizzazione” degli indirizzi tecnico-professionali. 

Giorgio Ragazzini

“ilSussidiario.net”, 5 ottobre 2021

mercoledì 1 settembre 2021

TORNA A SUONARE LA CAMPANELLA. Ma i problemi di fondo sono da decenni gli stessi




Suona la campanella;
scopa, scopa la bidella;
viene il bidello ad aprire il portone;
viene il maestro dalla stazione;
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…

Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.

Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
amore, lottare, lavorare
.

Gianni Rodari, Il primo giorno di scuola

 

Tra le priorità programmatiche del governo Draghi c’era l’esigenza di tornare prima possibile alla normalità nella scuola: in termini di orari, di programmi, di esami, ma soprattutto di presenza di allievi e docenti in carne e ossa nelle classi, visti i pessimi risultati della didattica a distanza, confermati tra l’altro dai recenti dati dell’Invalsi.

Sarà possibile iniziare un regolare anno scolastico come negli anni pre-Covid, grazie a un alto numero di vaccinati tra i docenti, l’introduzione del Green Pass, le fasce d’ingresso diversificate e le mascherine per gli allievi. Resta il problema della sicurezza dei trasporti pubblici per gli studenti pendolari e delle presenza ancora in alcune regioni di scuole con classi numerose.

Il dibattito e le polemiche degli ultimi mesi sul rientro in sicurezza nelle aule e sul ritorno alla normalità della scuole hanno però nascosto i problemi che da lungo tempo caratterizzano l’istruzione in Italia. La scarsa preparazione dei nostri giovani non è dovuta solo a questi due anni di lockdown e di didattica a distanza. Nasce molto prima, da quando i fondamenti del fare scuola sono venuti meno, a partire dagli anni ’60, con il proposito delle classi dirigenti di allora, in sé corretto, di cancellare le chiusure e i privilegi classisti di cui era imbevuto l’ordinamento scolastico tradizionale. Ideologicamente, però, si è pensato che il classismo della scuola consistesse essenzialmente nei suoi contenuti e nei relativi modi di insegnamento e di apprendimento. Cioè nella cosiddetta cultura «borghese» e nel «nozionismo»; e dunque che, modificati o aboliti l’una e l’altro, cancellati il latino, il riassunto e le poesie «a memoria», sarebbe stata possibile un’istruzione finalmente per tutti. Da qui progressivamente sono stati intaccati i contenuti epistemologici di ogni disciplina, anche per la ricerca di una trasversalità tra i diversi insegnamenti, al punto che alcune materie come l’italiano e la storia, fondamentali per la formazione di una cittadinanza consapevole e della coscienza nazionale, rischiano di non essere più patrimonio comune del nostro Paese.

Inoltre, il tentativo dei politici e dei pedagogisti di quegli anni di rinnovare il tradizionale modello di istruzione con il fine democratico di annullare gli svantaggi di partenza di molti allievi ha portato di fatto a una scuola programmaticamente, ma anche illusoriamente, «inclusiva» con la proclamazione del “diritto al successo formativo”. Con l’inevitabile conseguenza di addossare alla sola scuola il conseguimento di questo successo e di far sparire il tema della volontà e dell’impegno da parte degli allievi. Si è proceduto inoltre a un graduale appiattimento dei corsi di studi, invece di dare il giusto valore alla diversità e alla ricchezza dei diversi percorsi scolastici, tanto che si è potuto imputare alla classe politica la “licealizzazione” degli istituti tecnici e professionali. Ancora nella linea di un’ illusoria “inclusione”, si è soprattutto delegittimata qualsiasi forma di selezione insieme ai suoi strumenti di valutazione del merito, al contrario di quanto chiede l’art. 34 della nostra Costituzione (I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.)

Infine le istituzioni scolastiche, con la loro politica permissiva, hanno pervicacemente cercato il consenso dei genitori e degli studenti, dando molto più peso ai loro diritti che alle loro responsabilità, non imponendo le giuste regole dello stare a scuola e pregiudicando l’autorevolezza del corpo insegnante nello svolgimento del suo compito.

Nel lungo processo storico della formazione dello Stato italiano la classe politica risorgimentale e gli uomini di cultura, che fossero o no ministri della Pubblica Istruzione, da De Sanctis a Villari, da Croce a Gentile, da Salvemini a Gobetti hanno visto la scuola non in maniera ideologica o come terreno di avventurose sperimentazioni pedagogistiche, ma come spazio reale di emancipazione culturale e democratica e di formazione di un’autentica coscienza nazionale.

La scuola deve giustamente stare al passo con i tempi e accettare le sfide della modernità, senza però perdere il rigore culturale e i veri fini educativi insiti nel suo Dna, altrimenti si accentuerà ancora lo smarrimento delle nuove generazioni, già provate da due anni di pandemia e di confinamenti, con il rischio che i continui richiami di Draghi e di Mattarella alle responsabilità e ai doveri civici dei cittadini cadano nel vuoto soprattutto per chi è più fragile per età e per formazione.

 Sergio Casprini

 

Dal sito web del "Comitato Fiorentino per il Risorgimento", 1° settembre 2021

giovedì 5 agosto 2021

PILLOLE DI INVALSI 2021

 

Dei risultati delle prove  Invalsi 2021 si è molto parlato nelle scorse settimane, soprattutto perché hanno evidenziato i danni provocati ai livelli di apprendimento dalla mancanza di un rapporto "in presenza"  con gli insegnanti di larga parte della popolazione scolastica. Il rapporto dell'Invalsi mette infatti a confronto le rilevazioni del 2021 con quelle del 2019. Qualunque sia l'opinione che si ha su questo tipo di test, può comunque essere utile rivederne in una sintesi alcuni dei dati più significativi. 

Per leggere le pillole clicca qui

A cura di Andrea Ragazzini

lunedì 2 agosto 2021

ANTONELLA VIOLA : SÌ AL GREEN PASS, MA NON PER LA SCUOLA

Da alcuni giorni "La Stampa" ospita le opinioni contrapposte, favorevoli e contrarie al  Green Pass, di numerose personalità (il giornalismo esiste per questo, scrive il direttore Massimo Giannini). Giovedì scorso l'immunologa Antonella Viola, pur decisamente schierata a favore, si diceva però contraria a utilizzare il Pass per la scuola. Di seguito una nostra lettera in proposito alla Stampa.


Caro Direttore, 
ho letto sul Suo giornale il confronto di opinioni tra Carlo Freccero e Antonella Viola e sono del tutto d’accordo con quest’ultima, con una sola ma importante eccezione. Scrive la Professoressa a proposito del Green Pass: “Un luogo dove non può essere richiesto è, per esempio, la scuola, che deve restare un diritto per tutti i ragazzi, anche in fase di emergenza”. Dunque, in nome del diritto allo studio degli studenti che non intendono vaccinarsi, si può fare eccezione alla necessità di “evitare che si creino degli ampi focolai”? E soprattutto, che dire della lesione al diritto allo studio di eventuali compagni contagiati e per questo costretti a restare a casa? D’altronde già la normativa pre-Covid in materia di assenze da scuola superiori a cinque giorni richiede che il medico certifichi che uno studente è guarito e non è affetto da malattie infettive, mentre in era Covid prevede che si attesti l’avvenuta guarigione mediante tampone. A protezione dei compagni e degli insegnanti.
Un cordiale saluto,
Andrea Ragazzini

Gruppo di Firenze per la scuola
del merito e della responsabilità

martedì 20 luglio 2021

LETTERA A DRAGHI DI GIOVANNI MARIA FLICK, PIETRO ICHINO E ALTRI SULLE VACCINAZIONI A SCUOLA


 Signor Presidente,

desideriamo esprimerle la nostra profonda preoccupazione per il fatto che a tutt'oggi non sappiamo se e come si intenda garantire un inizio del prossimo anno scolastico in presenza per tutti gli studenti italiani. Anche i risultati delle prove Invalsi hanno purtroppo certificato il drammatico arretramento dei livelli di apprendimento causato dall'emergenza della pandemia in tutta la scuola italiana, in particolare nelle superiori, chiuse per più tempo negli ultimi due anni scolastici. Noi riteniamo che per sventare il rischio di un altro anno funestato dal confinamento a casa di bambini e ragazzi sia indispensabile una legge che condizioni all'avvenuta vaccinazione l'ammissione al lavoro del personale scolastico e la frequenza delle lezioni agli studenti, con la sola eccezione di coloro per i quali ci siano controindicazioni mediche.

Sappiamo delle resistenze verso questo tipo di provvedimento, tuttavia confidiamo che Lei saprà richiamare il governo e il parlamento alla necessità di assumersi questa responsabilità verso il paese e verso l'istituzione scolastica, che è così fondamentale per il futuro dell'Italia e in particolare dei suoi giovani cittadini.

Giovanni Maria Flick     Presidente Emerito della Corte Costituzionale

Pietro Ichino                   Professore Emerito di Diritto del Lavoro Università Statale di Milano

Leonardo Becchetti        Ordinario di Economia Università di Roma Tor Vergata

Giovanni Belardelli        Ordinario di Storia delle dottrine politiche Università di Perugia

Sergio Belardinelli          Ordinario di Sociologia dei processi culturali Università di Bologna

Marco Bentivogli           Già Segretario generale della FIM CISL, ora Coordinatore di Base Italia

Carlo Cottarelli              Economista, dirige l'Osservatorio sui Conti Pubblici della Cattolica di Milano

Enrico Deaglio               Giornalista e scrittore

Riccardo Del Punta         Professore Ordinario di Diritto del Lavoro Università di Firenze

Andrea Del Re               Avvocato Cassazionista, Vicepresidente Scuola Superiore della Magistratura

Roberta De Monticelli   Già Ordinario di Filosofia della Persona, Università Vita Salute San Raffaele

Giulio Ferroni                Professore Emerito di Storia della Letteratura, Università di Roma La Sapienza

Elsa Fornero                   Docente di Economia  Uni. di Torino,  già Ministro del Lavoro

Chiara Frugoni              È stata Docente di Storia medievale a Pisa, Roma Tor Vergata, Parigi

Carlo Fusaro                  Già Ordinario di Diritto pubblico comparato Università di Firenze

Silvio Garattini              Fondatore e Presidente dell'Istituto farmavologico Mario Negri

Emanuela Girardi          Presidente di Base Italia

Piero Ignazi                   Professore Ordinario di Scienza politica Università di Bologna

Enrico Morando            Presidente di LibertàEguale, Viceministro dell'Economia nel Governo Gentiloni

Mauro Magatti               Ordinario di Sociologia generale Università Cattolica di Milano

Massimo Pallini             Ordinario di Diritto del Lavoro Università Statale di Milano

Angelo Panebianco        Professore Emerito di Scienza politica Università di Bologna      

Gianfranco Pasquino     Professore Emerito di Scienza politica e Accademico dei Lincei

Francesco Perfetti          È stato Ordinario di Storia contemporanea alla LUISS di Roma

Adriano Prosperi           Professore Emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale di Pisa

Alessandro Rosina         Professore Ordinario di Demografia Università Cattolica di Milano

Lucia Valente                 Professore Ordinario di Diritto del Lavoro Università La Sapienza          

Ü   Dalla terza riga in ordine alfabetico.

     A cura del Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

domenica 18 luglio 2021

NON È COLPA DI MIO FIGLIO

Da un pub di Roma dove centinaia di persone si erano assiepate per seguire Italia-Spagna si è originato un focolaio di Covid: 97 casi confermati, 88 dei quali di giovani sotto i 25 anni. La mamma di un diciottenne ha commentato: «Mi chiedo come abbiano fatto i proprietari a essere così superficiali». C’è da capirla: mai è successo durante la pandemia che non si siano rispettate le norme di sicurezza,  né che si siano formati assembramenti di ragazzi. Mai si sono visti gruppi di persone senza mascherina, specialmente davanti ai locali notturni, dove comunque il raccomandato distanziamento non è mai stato trascurato. Dunque come poteva prevedere, poveretta, quello che è accaduto? Tanto meno si poteva pretendere dal ragazzo, data la sua tenerissima età, che lo prevedesse lui e che quando ha visto che c’erano «molte più persone di quelle che poteva contenere il pub», per di più senza mascherina, se ne andasse. E poi si sa, la colpa non è mai dei figli.

(GR)

sabato 26 giugno 2021

LETTERA AI PROMOTORI DEL “MANIFESTO PER LA NUOVA SCUOLA” (e per conoscenza ai firmatari)

Gentili colleghi,

abbiamo molto apprezzato il vostro “Manifesto per la nuova scuola” e ne condividiamo la severa critica al main stream pedagogico-educativo che ormai da qualche decennio combatte come retrograda la scuola “incentrata sulla conoscenza e sulla trasmissione del sapere”, per usare le vostre parole, e che anche nella Didattica a distanza ha visto l’occasione per auspicare nuove fumose rivoluzioni metodologiche.

Del tutto d’accordo dunque sull’insensata contrapposizione tra conoscenze e competenze; sulla necessità di riaffermare la libertà di insegnamento, restituendo ai docenti la responsabilità di scegliere le metodologie più appropriate, e di una profonda sburocratizzazione della professione di insegnante; su una sostanziale revisione dell’autonomia scolastica, con il drastico ridimensionamento delle attività aggiuntive, per restituire centralità alla didattica curricolare; su un uso degli strumenti digitali funzionale alle scelte metodologiche di ciascun docente e non scioccamente mitizzato come perno di nuovi e più avanzati modi di fare scuola.

Detto del nostro sostanziale consenso alle idee portanti del “Manifesto”, a noi pare che rimettere al centro della scuola pubblica i contenuti culturali e, come voi dite, la loro elaborazione e acquisizione, richieda necessariamente di ridare valore allo studio e rendere gli studenti consapevoli dell’impegno, a volte della fatica, che questo comporta; insomma della loro parte di responsabilità nel realizzarsi come persone libere e cittadini consapevoli. Questo aspetto andrebbe chiaramente esplicitato, dal momento che è da tempo assente nella nostra scuola e tanto più oggi in quella delle “soft skills” e dell’apprendimento giocoso.

Per quanto riguarda il reclutamento e la formazione degli insegnanti, voi giustamente sottolineate la necessità di una approfondita preparazione culturale che si accompagni a un’ autentica motivazione all’insegnamento. Ci pare importante esplicitare che questo comporta necessariamente una rigorosa selezione, che garantisca agli studenti di ogni età insegnanti preparati e consapevoli delle loro responsabilità. Come sapete in Finlandia solo un aspirante su nove riesce a diventare insegnante, mentre da noi sono moltissimi i docenti entrati in ruolo ope legis e questo comporta che una quota certo minoritaria, ma tutt’altro che irrilevante, non ha né la motivazione né la preparazione adeguata per insegnare, con grave danno per i loro allievi.

Infine due osservazioni, relative ai percorsi di alternanza scuola-lavoro e ai test Invalsi. Quanto ai primi siamo d’accordo sul vostro giudizio negativo per quanto riguarda gli indirizzi liceali, mentre pensiamo che siano importanti per gli istituti tecnici e professionali, dove anzi dovrebbero essere potenziati e forse essere anche meglio integrati nell’orario scolastico.

Quanto ai test Invalsi siamo sostanzialmente d’accordo con quanto pensava Giorgio Israel, che ne era un severo critico perché troppo ambiziosi, ma li riteneva utili se finalizzati a verificare il raggiungimento di obiettivi minimi nelle materie fondamentali. Si tratta certo di chiarirne gli obiettivi, i contenuti e le modalità di somministrazione, ma a noi pare che sia responsabilità del Ministero avere un quadro il più possibile chiaro di come funziona la scuola pubblica anche al fine introdurre eventuali correttivi.

Cordiali saluti e buon lavoro.

 Andrea Ragazzini, Sergio Casprini, Giorgio Ragazzini

Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

 

lunedì 7 giugno 2021

I NEMICI DELL’INTERROGAZIONE

 Si può battagliare contro le interrogazioni facendone la caricatura? È un gioco sbagliato e dannoso.

Negli ultimi anni si è fatta più frequente e più aspra la critica a diversi aspetti della scuola che si considerano superati; e tra questi l’interrogazione. Di per sé non è certo un male che la tradizione, in tutti i campi, venga sottoposta a verifiche e revisioni. È anzi un tratto fondamentale della cultura europea quello di sapersi via via rinnovare mantenendo vive le sue conquiste. Purché non lo si faccia basandosi sulla caricatura di ciò che vogliamo mettere in discussione e proponendo alternative credibili. Non sempre è così. Qualche esempio:

- Così si è espressa in un convegno la presidente di un’associazione professionale: “Come godiamo noi insegnanti quando sentiamo ripetere parola per parola quello che abbiamo detto!”

- Tra le ragioni di una petizione che gira su internet da qualche anno contro i compiti a casa si legge tra l’altro: “Le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche...) hanno durata brevissima. Ma allora quando si studia?

- Una docente sulla pagina facebook del Gruppo di Firenze propone un’ alternativa: “Interrogare uno studente non consiste nel contare [!] le nozioni che ha acquisito, ma nel vederlo muoversi nelle nozioni, elaborarle, criticarle e apprezzarle, sentire il suo parere, argomentare con lui, se è il caso discuterle e eventualmente contestarle”. Vasto programma che, enfasi a parte, può essere perseguito solo sulla base di solide conoscenze.

- Anche nel blog di un docente non si vede di buon occhio l’interrogazione: “In fin dei conti, far ripetere informazioni è la modalità meno efficace per consentire ad uno studente di rappresentare ciò che ha imparato, per far vedere all’esterno la propria conoscenza. Con la classica interrogazione si valuta poco ed in modo incompleto.”

- Infine, si può intuire già dal titolo che aria tira in un articolo dell’aprile scorso sul “Sussidiario.net” (che con grande apertura pubblica opinioni anche molto diverse sulla scuola): Bisogna ripartire dai character skills o vinceranno i “trombetti”. L’espressione deriva da un pensiero di Leonardo da Vinci: “Chi tiene la pagina davanti agli occhi in modo da vedere solo quella, non può più vedere la natura e intenderne le leggi”. In questo modo, aggiunge, si diventa “recitatori e trombetti delle altrui opere”. Parentesi: la citazione è poco appropriata, perché Leonardo non ironizzava su “studenti e docenti che si fermano alla superficie dell’oggetto”, ma (ingenerosamente) sugli intellettuali della sua epoca che si rifacevano ai grandi autori dell’antichità, Platone in particolare. Leonardo, che era autodidatta (salvo che in pittura), era comprensibilmente portato a esaltare la conoscenza basata sull’esperienza contro quella, per così dire, astratta. Chiusa parentesi.

All’umoralità, alla vaghezza o alla pretenziosità di molte di queste critiche si può rispondere prima di tutto che non c’è un solo modo di interrogare; e che da decine di secoli lo studio individuale è fondamentalmente basato sulla lettura, la comprensione e la memorizzazione di testi scritti. E che sottolineare, annotare, prendere appunti, aiutarsi con schemi o sintesi, farsi delle domande, provare a ridire quello che si è letto, sono i metodi che più o meno tutti hanno usato per impossessarsi di un argomento (e niente di tutto questo si può definire “ingurgitare”). Inoltre, esporre il pensiero di un filosofo, la dimostrazione di un teorema, le cause, le origini o le conseguenze di un evento storico non significa di per sé “ripetere a pappagallo” quello che si memorizza. L’espressione è appropriata solo quando si capisce che lo si sta facendo senza comprendere quello che si dice. E di norma è anche un esercizio di grande utilità per padroneggiare e arricchire l’espressione orale.

Insomma, capire ed esporre con parole proprie, arricchirsi di conoscenze e punti di vista da mettere in relazione è la base su cui si può – gradualmente – costruire la capacità di “muoversi nelle nozioni, elaborarle, argomentare” e solo dopo esprimere fondatamente, se è il caso, un proprio parere.

Ma non si deve incoraggiare un superficiale opinionismo, già patologicamente diffuso in rete, dove viene spessissimo ignorata, anche senza arrivare al terrapiattismo, la distinzione tra fatti e opinioni. Proprio in merito a quella che chiamava “cultura della supponenza”, anni fa Claudio Magris raccontò sul “Corriere della Sera” un episodio della sua esperienza di liceale che considerava una lezione di umiltà, certo agli antipodi delle tendenze di cui sopra. Interrogato sul pensiero di un filosofo, il futuro germanista iniziò con un “Penso...”, ma fu immediatamente bloccato dal professore che esclamò: “Come osi pensare, Magris? Lìmitati a esporre!”

Giorgio Ragazzini

“Il Sussidiario.net”, 7 giugno 2021