martedì 5 ottobre 2021

IL RAPPORTO DELLA FONDAZIONE AGNELLI MOSTRA I PUNTI DEBOLI DELLA SCUOLA MEDIA. MA, A BEN VEDERE, SONO GLI STESSI DI TUTTA LA SCUOLA ITALIANA

 


Secondo Freud, a 5/6 anni comincia un periodo ideale dal punto di vista dell’apprendimento. Le turbolenze della sessualità infantile entrano, per così dire, in sonno, per risvegliarsi in genere all’inizio della pubertà. I bambini sono ora in grado di concentrarsi sulla scuola e gli amici, e dimostrano grande curiosità e desiderio di imparare. Il passaggio dalla primaria alla scuola media ha sempre costituito, con l’ingresso nella preadolescenza (che a dire il vero oggi tende a essere più precoce), l’inizio di una fase che può comportare soprattutto per i maschi una crescente irrequietezza, a volte già l’esigenza di opporsi agli adulti, il desiderio di maggiore autonomia e infine l’avvento di nuovi interessi ed esigenze, come quella di uscire con gli amici dopo aver fatto in fretta e furia i compiti per casa.

Dovrebbe essere ovvio che questi cambiamenti incidono in modo notevole sul rendimento scolastico nella scuola media. In due modi: diminuiscono la motivazione, l’attenzione e la concentrazione rispetto alla primaria; ci sono più problemi di comportamento, i quali, come più volte ha sottolineato l’Ocse, danneggiano a loro volta l’apprendimento per il disturbo e la perdita di tempo che provocano. E magari hanno anche un ruolo nella maggiore tendenza degli insegnanti a chiedere il trasferimento (in una sede forse più “tranquilla”) oppure il “passaggio di ruolo”, in genere alle superiori. I cui docenti (scuole professionali a parte) spesso chiedono a quelli delle medie come fanno a resistere avendo a che fare con i ragazzi “agitati” di quell’età.

Di tutto questo, però, e della maggiore fatica di insegnare che ne deriva, di rado si tiene conto nell’analizzare i risultati della Scuola media. È anche il caso del rapporto della Fondazione Agnelli che la riguarda, di recente pubblicazione. Che aggiunge alle etichette appioppate a questo triennio – “buco nero” o “anello debole” del sistema scolastico – quella di “ventre molle”. Intendiamoci: buona parte delle osservazioni del rapporto sono del tutto condivisibili; purché, però, le si applichi a tutta la scuola italiana e non solo alla scuola media.

Una delle prime imputazioni, per esempio, è questa: Il fatto che oggi praticamente tutti gli studenti riescano a conseguire la licenza media non deve illudere, spingendoci a credere che sia indizio insieme di equità ed efficacia; è semmai una sorta di ‘condono’ alle carenze individuali per consentire il raggiungimento del titolo”. Giusto. Ma tutti gli ordini di scuola sono stati per decenni incoraggiati, consigliati e spinti a condonare le deficienze di preparazione e di disciplina. Da dove provengono i non pochi allievi che nelle prove d’ingresso in prima media denunciano serie lacune? Quante insufficienze anche gravi vengono “abbonate” in molti scrutini finali delle superiori? E perché le matricole universitarie hanno tanti problemi con l’Italiano? Tutta colpa della media? La quale, poi, non detiene certo il monopolio dei precari perché ne ha quasi il 30% invece del 25 delle superiori e il 20 circa della primaria. Non lo ha dei docenti immessi in ruolo ope legis, né di quelli avanti con gli anni: la media è intorno ai 50 anni in tutti gli ordini di scuola. Tutti poi, sia nel primo  che nel secondo ciclo, risentono della mancata selezione iniziale e dell’ insufficiente preparazione fornita loro dai corsi universitari. “In Italia – aggiunge il Rapporto – la carriera di docente è meno ambita rispetto ad altri paesi, perché la professione non gode di adeguato riconoscimento in termini di prestigio, retribuzione e carriera”. Ma anche questo vale per tutti. Giuste analisi, dunque, ma generalizzabili a “ogni ordine e grado”.

Va detto poi che l’Invalsi trae dalle sue indagini tutt’altra conclusione. Nel commento ai dati del 2018, si legge infatti che “l’affermazione, spesso ripetuta, secondo cui la scuola secondaria inferiore rappresenterebbe “l’anello debole” del sistema scolastico italiano non trova riscontro nei dati né delle prove Invalsi né delle indagini internazionali: quello che emerge, invece, è che in questo grado d’istruzione diventa manifesta la differenza di risultati tra le diverse aree dell’Italia, e in particolare tra nord e sud”. Una valutazione che verrà ribadita nel commento ai risultati dell’anno seguente.

Ai limiti di fermezza e di qualità che accomunano la scuola media agli altri segmenti della Pubblica Istruzione, aggiungerei invece una sua reale carenza specifica: quella di essere poco orientativa. Così com’è, serve bene a indirizzare verso i vari tipi di liceo, ma poco verso gli istituti tecnici e per nulla, se non come scelta residuale, a quelli professionali. C’è stato un momento, negli anni ’70, in cui c’erano due insegnanti di educazione tecnica. Si sarebbe dovuta cogliere l’occasione per farne una materia basata su laboratori che introducessero a un certo numero di mestieri fra quelli poi sviluppati negli indirizzi professionali delle superiori o, dove per fortuna funzionano bene, nei corsi di formazione professionale. L’occasione si è persa, la materia è diventata in gran parte teorica e affidata a un solo docente. Colpa, probabilmente, di quel pregiudizio negativo nei confronti della manualità che sarebbe poi stato responsabile della stolta “licealizzazione” degli indirizzi tecnico-professionali. 

Giorgio Ragazzini

“ilSussidiario.net”, 5 ottobre 2021

3 commenti:

Morpy ha detto...

ROARS fa un'analisi diversa: https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2021/10/01/la-scuola-media-della-fondazione-agnelli-persone-o-cervelli/?fbclid=IwAR0tieqRPkIhip4XP6cP3233gvZ-Y00mcT5FEYf1njIwA_cW_hlpi4nIj-w

Giorgio Ragazzini ha detto...

Sì, ce l'hanno mandata e l'abbiamo letta. Sono analisi complementari. Magari non avrei usato l'argomento "i ragazzi sono persone, non cervelli" che suona un po' tendenzioso (magari fosse questo il punto), mentre non c'è dubbio che il bombardamento della didattica "tradizionale", caricaturata quanto basta, ignora la complessità e varietà degli approcci didattici che si praticano in questo triennio. Bisogna perseguire lo scopo di attrezzare i docenti in formazione con molte metodologie diverse, poi saranno i singoli, nella loro libertà metodologica, a decidere quali usare, compresa la famigerata lezione frontale.





Maria Laura ha detto...

Lasciamo da parte per una volta la selezione scolastica – degli alunni – come causa dei successivi insuccessi, coperti o manifesti. Sono stata tanti anni fa insegnante di lettere nelle scuole medie e nel liceo. Ho quasi 80 anni. Seguo molto le vicende scolastiche del mio paese, anche se vivo all'estero.

Vorrei che le difficoltà del ragazzino certificate dal BES fossero obbligatoriamente accompagnate da una valutazione puntuale dell'efficacia dell'insegnamento. Poi, se il ragazzino ha effettivamente specifiche difficoltà di apprendimento (dislessia, discalculia)il cui numero è a mio parere sovradimensionato, che lo aiutino sia gli insegnanti che hanno la cattedra in specifiche discipline sia un'eventuale insegnante d'appoggio.
È insopportabile che siano gli stessi insegnanti del consiglio di classe a decidere, certo all'unanimità (ma questo non cambia molto la qualità infima dell'atto), se un ragazzo sia iperattivo o incapace di concentrazione. Un conflitto di interessi scandaloso.

Nelle mie classi delle medie non c'era confusione. Quelli che non fossero stati alle regole… me li mangiavo. E ne avevano paura. E ci divertivamo abbastanza durante le lezioni.
Sulla questione della selezione precoce che assicurerebbe una scuola migliore: ho l'opinione che sia solo un luogo comune. Il livello delle classi è direttamente proporzionale al lavoro e pure al sapere dell'insegnante. Se io, di italiano, mi attengo al numero di temuzzi o scritti obbligatori (ai miei tempi 3 per quadrimestre) e li correggo in fretta e insegno solo la grammatica del libro di testo, lascerò i ragazzi dov'erano prima di conoscermi: quelli con una famiglia colta ecc., continueranno gli studi, magari con qualche difficoltà superabile; gli altri… forse ne potrà uscire uno, dotato di una gran voglia di studiare.
Se i miei alunni scrivono invece 20 e più testi per quadrimestre, che io correggo con una puntigliosità persino un po' patologica e intreccio a seri discorsi sulla lingua, anche con l'ausilio della grammatica, le cose e soprattutto i loro destini cambieranno radicalmente.

Aggiungo, visto che sono vecchia: bisognerebbe riprendere la struttura del concorso per insegnanti che già insegnano proposto più di vent'anni fa da Luigi Berlinguer, che suscitò tumulti di docenti. Volontarietà nel presentarsi al concorso e commissioni esterne. Bisognerebbe arricchire i contenuti la proposta e rendere possibile a chi non superi il concorso di ripresentarsi dopo alcuni anni.

Avrei altre cose da dire, ma mi fermo qui.