Il 5 giugno
scorso, Ernesto Galli della Loggia ha indirizzato al nuovo ministro dell’Istruzione
Bussetti una lettera con le seguenti dieci proposte, che vale la pena di commentare
una per una.
1)
Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove
siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono
gli alunni. Ciò avrebbe il significato di indicare con la limpida
chiarezza del simbolo che il rapporto pedagogico non può essere costruito che su una
differenza strutturale e non può implicare alcuna forma di
eguaglianza tra docente e allievo.
La proposta suona molto più
come un’utile provocazione, che come indicazione da prendere alla lettera. Che
debba essere recuperata una “limpida chiarezza” sulla necessaria asimmetria del
rapporto tra insegnante e allievo, cioè tra chi sa e chi non sa, non c’è il
minimo dubbio. Mi pare però, anche per aver insegnato con e senza pedana, che
in concreto quei 20 centimetri circa in più abbiano una forza simbolica modesta
nella percezione degli allievi, a differenza del gesto di alzarsi tutti insieme
in segno di rispetto all’arrivo dell’insegnante, (proposta numero 2).
2)
Sempre
a questo principio deve ispirarsi la reintroduzione
dell’obbligo per ogni classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in
segno di rispetto (e di buona educazione) all’ingresso nell’aula del
docente.
Insieme alla
proposta precedente, il rilancio di questo semplice ed efficace gesto di buona
educazione ha attivato in automatico in alcuni commentatori i fantasmi
dell’autoritarismo e del ritorno a un passato di sadismo pedagogico. Scrive il preside fiorentino Ludovico Arte: “Fra
l’altro, Galli della Loggia suggerisce l’obbligo per legge di alzarsi in piedi
all’ingresso dei docenti. Stupisce che non abbia rispolverato anche le
bacchettate sulle dita e gli studenti in ginocchio sui ceci”. L’ispettore
Emanuele Contu ne trae spunto sul “Sussidiario” per attaccare il feticcio della
“didattica trasmissiva”, contro cui si accanisce da tempo anche Luigi
Berlinguer: “Il punto è che da tempo abbiamo superato una visione
dell'insegnamento come operazione trasmissiva e del docente come depositario di
una sapienza predicatoria, da inculcare dall'alto del pulpito nelle menti
rigorosamente passive di un popolino che si ammaestra con l'antica liturgia
della bella lezione frontale”. Come si vede, i due pareri sono accomunati dalla
volontà di squalificare l’interlocutore attraverso una caricatura delle sue
posizioni (in barba alla retorica dell’ altro e del diverso) e dalla mancata
consapevolezza della grave crisi del rapporto docente-allievi. Sarebbe infine interessante
sapere quanto la pratica è già diffusa, ma nella mia ultima scuola avevamo
inserito la norma nel regolamento di istituto con il pieno accordo di tutti.
3) Divieto deciso nei confronti di
tutte le «occupazioni»
più o meno simboliche e delle relative autogestioni che ormai si celebrano da
decenni come un tempo la «festa degli alberi». Per la semplicissima ragione che
esse non servono a nulla se non, assai banalmente, a non studiare. Bisogna
cominciare a dire le cose come stanno.
È
stupefacente che dopo decenni di occupazioni manchi nello Statuto degli
studenti e in molti regolamenti di disciplina un qualche accenno al fenomeno. Più
che parlare genericamente di occupazioni, è comunque preferibile indicare il
divieto di alcuni comportamenti collegati, da sanzionare severamente sul piano
della condotta, senza ovviamente escludere la denuncia per quelli che
costituiscono anche reato:
- entrare nella scuola forzando porte o finestre;
- impedire l'ingresso al personale della scuola o
ad altri studenti;
- interrompere o impedire lo svolgimento
dell'attività didattica;
-
rimanere senza permesso nell'edificio scolastico al di fuori delle ore di
lezione o di altre attività programmate o autorizzate dal dirigente scolastico;
- non partecipare alle lezioni pur essendo all'interno
dell'edificio scolastico.
Per l’aggiornamento dei regolamenti interni,
abbiamo messo a punto negli anni scorsi un vademecum, poi diffuso via internet,
che nella premessa distingue le “autogestioni”, in genere ottenute sotto la
minaccia - più o meno velata - dell’occupazione, dalle giornate di attività
culturali organizzate per tempo dagli studenti con la collaborazione dei
docenti (https://bit.ly/2JBc5rb).
4) Cancellazione di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un qualunque ruolo delle famiglie o di loro rappresentanze
nell’istituzione scolastica. Dal momento che non ci sono rappresentanti dei
pazienti nelle strutture ospedaliere, né degli automobilisti negli Uffici della
motorizzazione, né dei contribuenti nell’Agenzia delle Entrate, non si vede
perché debba fare eccezione la scuola. Si chiama demagogia: meglio farne a
meno.
Del
sistema degli “organi collegiali” istituito nel 1974 sono ormai tutti
scontenti, anche perché spesso ci vuole del bello e del buono per trovare chi è
disposto a farne parte. Ma sono anche il
frutto di un’idea di partecipazione in cui si confondono poteri e
responsabilità differenti. Le decisioni di carattere tecnico-professionale non
dovrebbero essere materia di cogestione, invece gli studenti (nelle scuole
superiori) e i genitori sono membri del consiglio d’istituto in posizione più
meno paritetica rispetto al preside e ai docenti; e per di più il presidente è
un genitore. Gli studenti e le loro famiglie potrebbero essere meglio garantiti
da ampi poteri e diritti di conoscenza, critica, proposta, consultazione,
assemblea; e magari da un istituto di “difesa civica” esterno alla scuola. Sarebbe
bene, quindi, riformarli in questo senso. Peraltro la proposta di Galli della
Loggia deriva forse di più dal noto fenomeno dei genitori sindacalisti dei
figli, molto più numerosi dei loro rappresentanti, che in non pochi casi
diventano aggressori dei docenti. In questo caso bisognerebbe sempre denunciare
il teppista o la teppista di turno, ricordandosi che chiunque “offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto
d’ufficio e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni”.
E sarebbe dovere del Ministero assicurare all’offeso il rimborso delle spese
legali e processuali.
5)
Divieto di convocare gli insegnanti ad assemblee,
riunioni, commissioni e consigli di qualunque tipo per più di tre o al massimo
quattro volte al mese.
La scuola non deve essere un riunionificio.
Le riunioni possono essere utili o
inutili. E anche quelle utili possono pesare a professionisti oberati di
compiti extra-didattici. In una scuola debitamente sburocratizzata, in cui agli
insegnanti fosse riservato solo l’insegnamento e le necessarie pertinenze, tra
le quali il fondamentale scambio di idee e di esperienze tra docenti, le
riunioni, entro limiti ragionevoli, servirebbero. Altrimenti ha ragione Galli
Della Loggia.
6) Sull’esempio del Giappone, affidamento della pulizia interna e del decoro esterno degli edifici
scolastici agli studenti della scuola stessa. I quali potrebbero provvedere
un’ora prima dell’inizio delle lezioni alternandosi a gruppi ogni dieci giorni.
Oltre al piccolo ma non proprio indifferente risparmio economico, sarebbe un
mezzo utilissimo per instillare negli studenti stessi il sentimento di
appartenenza alla propria scuola e per insegnare alle giovani generazioni il
rispetto delle proprietà pubbliche e gli obblighi della convivenza civile (non
s’imbrattano i muri!). In fondo, l’alternanza scuola-lavoro non sarebbe meglio
iniziarla proprio nella scuola?
In un paese ipersindacalizzato come
il nostro si è subito obbiettato che in questo modo si cancellano posti di
lavoro e si sfrutta il lavoro minorile. Ma così si evita il giudizio sulla
validità educativa della proposta e si preclude una riflessione su come attuarla. In
questa logica, d'altra parte, anche la collaborazione dei figli ai lavori domestici
dovrebbe essere interdetta in quanto danneggia le colf. Non è però pensabile far
venire un’ora prima gli allievi. Basterebbe una modalità più minimale, per
esempio trattenersi a turno dieci - quindici minuti per pulire la propria
classe.
7) Per superiori ragioni di igiene antropologico-culturale divieto assoluto agli studenti (pena il sequestro) di portare non solo
in classe ma pure all’interno della scuola lo smartphone. Possibilmente
accompagnato dalla proposta di legge di vietarne comunque la vendita o l’uso ai
minori di 14 anni (divieto che evidentemente non vale per i semplici
cellulari).
Ci sono ormai evidenze irrefutabili
sui danni che i cellulari a scuola possono provocare o intensificare:
distrazione continua rispetto al lavoro, utilizzo per copiare, facilitazione
del “cyberbullismo” contro compagni e insegnanti, rafforzamento della
dipendenza. Eppure si continua a parlare con faciloneria di educazione a un
loro uso “responsabile”. E l’educazione a non usarli per un po’?
8) Obbligo per tutti gli istituti scolastici di
organizzare e tenere aperta ogni giorno per l’intero pomeriggio una biblioteca
e cineteca con
regolari cicli di proiezioni, utilizzando, se necessario, anche studenti di
buona volontà. L’adempimento di tale obbligo deve rientrare tra gli elementi
basilari di valutazione della qualità degli istituti stessi. Ai fondi necessari
si può provvedere almeno parzialmente dimezzando l’assegnazione di 500 euro
agli insegnanti che utilizzano tale somma non per acquistare libri. Il motto
della scuola diventi: «Il buon cinema e la lettura della pagina
scritta innanzi tutto!»
L’idea di tenere aperte le
scuole per tutta una serie di attività – dai compiti a casa al recupero,
dall’educazione degli adulti ad attività di quartiere – ha ormai alle spalle
diversi anni di storia e di variazioni sul tema. Probabilmente è più utile nei
quartieri disagiati, dove bambini e ragazzi hanno poche occasioni di
socializzazione e di svago; e in questo senso bisognerebbe aggiungere all’offerta
anche la palestra. In altre zone della città molti giovani hanno ormai troppi
impegni pomeridiani (sport, danza, musica) per essere attratti dalla biblioteca
o dalla cineteca. Escluderei quindi l’obbligo, mentre sarebbe auspicabile il sostegno
ministeriale alle scuole in cui l’apertura pomeridiana è veramente utile.
9) Alle gite scolastiche sia fatto obbligo
di scegliere come meta solo località italiane. Che senso ha per un giovane
italiano conoscere Berlino o Barcellona e non aver mai messo piede a Lucca o a
Matera? L’Europa comincia a casa propria.
Personalmente sarei d’accordo
sull’obbligo di limitare le gite all’Italia o per lo meno su una loro decisa
incentivazione. Difficile però farne una norma generale sull’istruzione, a
scapito dell’autonomia delle scuole.
10) Istituti e «plessi scolastici» devono essere intitolati al nome di una personalità illustre e
devono essere designati in tutte le circostanze e in tutti i documenti con tale
nome, non già (come avviene oggi più di una volta) con un semplice numero o
l’indicazione di una via. In fin dei conti anche ai più giovani forse non
dispiace avere un passato.
In genere (non sempre) le singole
sedi sono intitolate a personaggi illustri. Sono gli istituti comprensivi che a
volte assumono il nome del quartiere, della strada o del paese. Non credo però
che qualcuno dica di frequentare l’Istituto comprensivo Calenzano (comune
vicino a Firenze), ma “la Rodari”, “la Collodi” o un’altra delle sedi che
formano l’istituto. Dove questo non è, si segua senz’altro questa proposta. Sarebbe
altrettanto importante far conoscere qualcosa dei personaggi a cui sono
dedicate le scuole. E già che ci siamo, evitiamo di esporre bandiere sporche e
stracciate... (GR)