lunedì 25 giugno 2018

ALLA RICERCA DI UN MAESTRO. L’attesa per le decisioni del governo, le nuove sfide educative

Il tempo della scuola è per la maggior parte dei ragazzi lentissimo, quasi quanto quello della lunga durata della storia, secondo le note categorie del tempo storico di Fernand Braudel.
Per i docenti, almeno per quelli bravi, è invece velocissimo, al pari di quello dei pensionati che, per non misurarlo, abbandonano spesso nei comodini i loro antichi orologi. In questo periodo molti insegnanti, proprio come gli anziani che fanno il bilancio della loro esistenza, saranno tormentati dal rimorso di non aver svolto tutto il programma o di aver saltato argomenti che forse, col senno di poi (il senno è sempre «di poi», come ci insegnano Ariosto e Cervantes), andavano invece privilegiati. Così è la scuola, la vera scuola: mai dominata dalle certezze e mai in grado di lasciare in pace le coscienze di chi ci lavora, perché insegnare non è uno scherzo! Oltre a dare contenuti allo spirito dei ragazzi, dobbiamo infatti aiutarli al formarsi una coscienza, però rispettandola e insegnando loro a rispettare quella degli altri. Sarebbe bellissimo se questo aiuto fosse garantito a tutti. Invece, non è così, perché non tutti i docenti hanno consapevolezza e sufficiente preparazione da poterlo garantire ai loro allievi. E questa consapevolezza è da decenni venuta meno anche a buona parte della classe dirigente, che non ha voluto mai realmente occuparsi della reale funzione che la scuola dovrebbe avere. Forse prevale il timore di andare incontro alle contestazioni dei sindacati o degli studenti, probabilmente insopportabili a quei politici che preferiscono vivacchiare alla meno peggio anziché governare. Per di più una buona parte dei pedagogisti e della burocrazia ministeriale perde la testa per tutto ciò che è contemporaneità, educazioni, nuovismo, sperimentazioni e non si accorge che la scuola sta perdendo di valore e di significato, soprattutto grazie al suo consumarsi in una didattica che faccia notizia e desti scalpore. E sta altresì trascurando la costruzione dell’identità nazionale, lasciandola oramai a qualche canale televisivo e a qualche, sempre più raro, evento sportivo di successo. Per l’immediato futuro restiamo in attesa di quanto deciderà il Ministro dell’istruzione. Nel «contratto» (cioè nel programma) di governo ci sono molte ovvietà e poche proposte precise. Si vuole «superare» la Buona scuola, ma speriamo che della abborracciata riforma dei passati governi non vengano abolite, ma solo corrette, le non molte novità positive come l’alternanza scuola lavoro, la chiamata diretta dell’organico potenziato o l’intenzione di valorizzare le esigenze e le proposte dei docenti nell’aggiornamento professionale. Che fine farà poi il proposito della ministra Fedeli di affrontare il problema degli insegnanti inadeguati? Peraltro le politiche scolastiche sono spesso penalizzate anche dall’essere date in gestione a un apparato di funzionari per i quali dovrebbe essere obbligatorio ogni tanto un anno sabbatico nelle aule scolastiche, per rendersi conto di quanto siano incomprensibili i loro atti e le loro circolari (anche una ventina al giorno) e di cosa siano diventate da tempo molte scuole. Non quelle dove vanno a studiare i loro figli, ma quelle di periferia, i percorsi accidentati di certi tecnici e professionali, questi ultimi definitivamente snaturati con la recente revisione degli ordinamenti. Tuttavia, come scriveva mio padre dalla guerra, bisogna sperare di tornare e di ripartire con ottimismo confidando in uomini di ben altra moralità, come è giusto augurare ai ragazzi che a settembre torneranno a scuola di trovare sulla loro strada dei bravi docenti che abbiano anch’essi una precisa consapevolezza morale di quello che sarà il loro futuro. Perché di bravi, malgrado tutto, ce ne sono e sono loro a mandare avanti la baracca (con certi edifici scolastici del nostro sud il termine è quanto mai appropriato). E per coloro che fortunatamente li incontreranno, l’anno nuovo sarà senz’altro bellissimo, perché un vero maestro se lo porteranno dietro per tutta la vita, anche se non avessero più l’occasione di rivederlo, neppure su una panchina, senza orologio, intento a rallentare il tempo che invece fugge; anche per i ragazzi, malgrado non se ne rendano conto, anche per i ragazzi. Speriamo che lo abbiano presente coloro che metteranno ora mano al destino della nostra scuola.
Valerio Vagnoli
(“Corriere Fiorentino”, 16 giugno 2018)

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