domenica 18 ottobre 2009

LUOGHI COMUNI E REALTÀ SU OCCUPAZIONI E DINTORNI

Su questo blog abbiamo spesso denunciato i danni provocati da una società che non fa rispettare le regole ai suoi ragazzi. Un colpevole autoinganno fa perseverare molti adulti in alcune inconsistenti convinzioni e luoghi comuni:
1. L’occupazione, certo, non è in sé un fatto positivo, ma per i ragazzi costituisce un importante“rito iniziatico”.
Purtroppo nella maggioranza dei casi le occupazioni risultano deludenti per gli studenti che vi prendono parte e comunque diseducative, perché non si scontrano con interlocutori solidi e non ottengono in genere nulla, quando non creano danni gravi (vedi articolo su quelle fiorentine).
2. È giusto che attività politiche o manifestazioni studentesche abbiano luogo regolarmente nell’orario scolastico (e pazienza se vi partecipa solo una minoranza e gli altri vanno a casa).
Le iniziative degli studenti potranno essere prese sul serio dall’opinione pubblica quando si svolgeranno di pomeriggio e non faranno perdere ore di lezione. Sarebbe d’altra parte una scelta fondamentale di politica scolastica quella di favorire l’associazionismo studentesco in orario extrascolastico come luogo di crescita culturale e civile, che costituirebbe una reale alternativa alle occupazioni e alle autogestioni.
3. In nome della democrazia si possono tollerare cortei non autorizzati (per non parlare di quelli autorizzati) anche se paralizzano il traffico di un’intera città.
Sarebbe altamente educativo - oltre che doveroso - che a nessuna manifestazione politica, studentesca o no, fosse consentito di ledere i diritti di altri.
4. Non essendo l’Italia uno Stato di Polizia, è ovvio che se un preside chiama la forza pubblica, perché gli studenti impediscono di fare lezione, quest’ultima di solito non venga neppure o, se arriva, si produca tutt’al più in paterne raccomandazioni.
Leggi, forze dell’ordine, magistratura, dirigenti scolastici dovrebbero convergere nel far capire ai ragazzi quali sono i loro doveri accanto ai loro diritti.
5. Per promuovere il senso di responsabilità e prevenire vandalismi e altri comportamenti antisociali è prioritario lo studio dell’educazione civica o il seguire qualche progetto di “educazione alla legalità”.
Alle regole si educa prima di tutto facendole sempre rispettare. Solo così si è credibili anche nell’ora (senz’altro utile) di “educazione alla cittadinanza”.
Da qualche anno la scuola - prima con Fioroni, poi con la Gelmini - sta facendo dei passi avanti (non senza errori e incertezze) sulla via del rigore e della responsabilità. Troppi adulti, purtroppo, e fra questi non pochi insegnanti, si attardano in presunte trincee antiautoritarie, abdicando in sostanza al compito di dare degli autentici punti di riferimento alle nuove generazioni.

(GR)

5 commenti:

feynman ha detto...

passi avanti sulla via del rigore? la trovata Gelminiana di far fare media al voto di condotta ha di fatto aumentato la media dei voti. Alcuni genitori di una mia classe si sono lamentati con la preside perchè, a parer loro, abbiamo dato voti di condotta troppo bassi. Vorrebbero tutti 9 e 10 così le medie voti si alzano...

Fauso Pezzato ha detto...

I conti in tasca alla Gelmini


di Fausto Pezzato da Il Corriere del Veneto, 18.10.2009

Qualcuno dovrebbe spiegare alla signora Maria Stella Gelmini, diventata ministro della PI per volontà di Dio e degli uomini (quelli del Pdl), che scopo principale del suo alto incarico dovrebbe essere il miglioramento complessivo della Scuola (culturale, etico, edilizio), anche in una visione più dignitosa ed economicamente adeguata dell’insegnamento.

Non dovrebbe mirare, invece, a uno spietato contenimento dei costi, anche quando causano un palese deterioramento della qualità e offrono di questa istituzione fondamentale l’immagine di un ente (quasi) inutile. Purtroppo, ogni volta che il nome del ministro compare sulla stampa o in tv vengono annunciati nuovi tagli, ulteriori sforbiciate agli stanziamenti, crudeli risparmi. L’assessore alle politiche scolastiche di Padova, Claudio Piron, come altri suoi colleghi in tutta Italia, lamenta gli effetti che la strategia gelminiana sta producendo col limite invalicabile dei «25 alunni 25» per classe: da un lato esso moltiplica le classi medesime, dall’altro produce eccezioni (27 alunni) secondo la legge della Fisica sulla compressione dei corpi.

«Aule sovraffollate per i tagli della Gelmini », titolava ieri il Corriere su una dichiarazione di Piron riferita a quanto sta accadendo nelle scuole medie della nostra città. Se, per propria inclinazione o per crudele necessità, il ruolo prioritario del ministro della PI è quello di spendere il meno possibile, non si capisce perché la scuola non venga trasferita al ministero del Tesoro. Se le ristrettezze finanziarie (ma in troppi casi politica e burocrazia sprecano il denaro pubblico) sono l’unico ambito d’azione di ogni ministero, tanto vale reclutare un plotone di bravi ragionieri. La sensazione, invece, è che spesso i tagli abbiano un senso politico-ideologico e servano a compensare il cattivo uso che in altri luoghi e circostanze si fa dei nostri quattrini.

E’ chiaro che anche 25 alunni per classe sono troppi se vogliamo fornire loro della qualità e non della quantità. Basta ascoltare l’opinione di un buon insegnante per rendersene conto. Ecco, si vorrebbe che la signora Maria Stella, che dedica le sue giornate ai bilanci e considera le cattedre come pedine secondarie nella sua scacchiera, dimostrasse che la nomina a ministro della Pi non è dovuta soltanto a competenze accessorie ma anche, e prevalentemente, a un talento specifico. Ne sarebbero felici molti travet che alla scuola dedicano (per pochi soldi) le loro esistenze, e moltissimi genitori.

Anzi, l’intero Paese avrebbe di che rallegrarsene, visto che in quelle aule si sta giocando, fra l’altro, il nostro futuro. Forse una scuola migliore farebbe cessare anche l’emorragia di cervelli che, col «pezzo di carta» in bocca, scappano all’estero.

Manuela Ghizzoni e Maria Coscia ha detto...

Gelmini vuole voto di religione


Ai giornalisti che le chiedevano se il voto di religione debba far media con gli altri, il ministro Gelmini ha risposto: "Il voto in religione oggi non c'è. Ancora esiste un giudizio. Il nostro intendimento è quello di chiedere un parere al Consiglio di Stato per evitare contenziosi, ma la mia opinione è che essendo passati dai giudizi ai voti in tutte le materie questo debba valere anche per l'insegnamento della religione".

"Il ministro Gelmini non sa di cosa parla, oppure fa di nuovo e solo propaganda" sostengono Manuela Ghizzoni e Maria Coscia, deputate Democratiche della commissione Cultura di Montecitorio. "La Corte Costituzionale, infatti, ha già stabilito il principio di facoltatività dell'ora di religione, nel rispetto della laicità dello Stato, in base al quale è necessario garantire pari dignità ai ragazzi di ogni culto".

"Purtroppo - aggiungono - il nuovo sistema di valutazione che ha fatto venir meno il criterio di un giudizio globale sui rendimenti scolastici lascia spazio anche a questo tipo di 'pensate': siamo convinte - concludono - che il Consiglio di Stato rispedirà al mittente la proposta".

GIULIA BELARDELLI ha detto...

Malascuola, i racconti dei lettori. Se tra i banchi vince la precarietà

di GIULIA BELARDELLI

E' proseguito per tutto il giorno il rosario di testimonianze arrivate sulla situazione delle scuole pubbliche in Italia. Storie raccontate dai lettori dopo l'articolo di denuncia pubblicato da Repubblica. Sono per lo più genitori, ma anche insegnati, precari e non, stanchi di vedere ogni giorno "un Paese che sta rinunciando a educare i propri figli".

Strutture fatiscenti, banchi rotti, poche sedie, classi sovraffollate. E poi mancate supplenze, ore di "buco" che diventano giorni interi, settimane senza studiare inglese, matematica, informatica. La scuola come parcheggio, insomma, tenuta su da insegnanti che riescono ancora ad amare il proprio lavoro e da genitori che ormai non si stupiscono più dover mettere mano al portafogli per comparare risme di fogli, sapone, carta igienica, fazzoletti.

"Quando in classe sono state lette le norme igieniche anti-influenza, i ragazzi le hanno accolte con una fragorosa risata - si legge in un post - L'ordine é di lavare le mani più volte possibile; peccato che in bagno non ci sia sapone né carta igienica, perché non ci sono i soldi". I germi sulle maniglie delle porte? "Pericolo scampato - commenta ironicamente una lettrice - Nella scuola dove vanno i miei figli non ci sono le maniglie nei bagni; a volte non ci sono neanche le porte".

"L'Italia é considerata un paese ricco, eppure guardando i vostri istituti si direbbe il contrario": queste le parole di una mamma polacca. La figlia fa le elementari a Roma, in un "edificio vecchio e tutto da ristrutturare, mentre - aggiunge - nel mio Paese le scuole sono pulite e ordinate". Sono in molti, dalla Calabria al Veneto, a lamentare macchie di muffa sui soffitti, cornicioni pericolanti, cortili poco sicuri, mancanza di strutture (in primo luogo mense e palestre) e di apparecchiature (soprattutto computer).

C'é rabbia in molte testimonianze, come in quella di una signora di Guidonia. La figlia frequenta l'istituto turistico pisano, dall'anno scorso inagibile per metà struttura. "Ci hanno dato dei container - scrive - ma non sono completi: mancano lavagne, banchi e sedie. I ragazzi fanno solo 3 ore di lezione al giorno: il ministro Gelmini ha il dovere di occuparsi di queste situazioni".

Tra i tanti racconti di "Malascuola", c'é anche qualche voce fuori dal coro, che parla di istituti che funzionano, di classi numericamente giuste, di supplenze puntuali. Si tratta però di 2-3 casi su oltre un centinaio di testimonianze, concentrati in piccoli comuni alla provincia di Milano. Il resto sono una valanga di commenti negativi: "tutta colpa dei tagli - recita un post - e di un Paese che decide di non investire più sui suoi giovani". "La cosa più grave - commenta un altro lettore - é che si stia tentando di restringere l'istruzione ad una sola classe sociale (quella ricca e potente), perché il popolo ignorante fa comodo". "Mia figlia non ha mai avuto problemi nello studio - scrive una mamma romana - Da un po' di tempo si trova in un evidente disagio dovuto alla precarietà che respira quando va a scuola e in cui versano i suoi insegnanti". Una precarietà densa, materiale e psicologica: un'atmosfera pesante, soprattutto quando ad avvertirla sono bimbi e ragazzi sui banchi di scuola. Sempre che i banchi ci siano, ovvio.

(repubblica.it - 6 ottobre 2009)

GIULIO PERUZZI ha detto...

L'Unità - giovedì 22 ottobre 2009 - pag. 21

Istruzione, non esiste la qualità «a costo zero»

Si parla di riforme e se ne fa solo una questione di numeri. Ma il sapere viaggia su altri parametri. La Gelmini non si confronta con chi la scuola la fa tutti i giorni

GIULIO PERUZZI

È davvero difficile seguire la politica su scuola, università e ricerca in questo Paese. Miriadi di provvedimenti più o meno mirabolanti vengono continuamente annunciati a mezzo stampa. I comunicati sono infarciti con parole oggi di moda come merito, valutazione, trasparenza, competizione. Il successivo passaggio dalle parole ai fatti, quando non ha tempi biblici, si traduce in atti manchevoli se non dannosi. È successo con i precari della scuola, dove un regolamento ministeriale in contrasto con una sentenza del TAR del Lazio rischia di gettare nel caos le graduatorie degli insegnanti con ripercussioni sull’anno scolastico appena avviato. È successo con i concorsi per il reclutamento dei docenti universitari, bloccati per più di un anno, cambiando le regole di costituzione delle commissioni a bandi già chiusi. È successo, cosa ancora più grave, con il taglio indiscriminato dei finanziamenti alle università. Succede in questi giorni con l’annuncio di un giro di vite sull’accreditamento dei titoli rilasciati dalle Università Telematiche. È solo un annuncio. Ma non era stata la ministra Moratti, con la sua fiducia un po’ sospetta nelle nuove tecnologie, ad aprire la stura alla proliferazione di queste (pseudo)università? E non era stato il ministro Mussi a bloccare l’accreditamento di alcuni di questi atenei denunciandone l’eccessiva proliferazione? Vedremo in questo caso quando alle parole seguiranno quali fatti, sperando che questi “anco tardi a venir non siano gravi”. Due aspetti stupiscono in questo modo di procedere. Il primo riguarda l’assenza di un coinvolgimento di coloro che operano nella scuola, nell’università e negli enti di ricerca, e la contestuale mancanza di una vera interazione con le commissioni parlamentari che istruiscono gli interventi legislativi su formazione e ricerca. In queste ultime la ministra Gelmini si reca di rado, e quando lo fa si comporta come se avesse davanti dei giornalisti: illustra cioè il suo “comunicato stampa” senza prestarsi a una vera discussione. Il secondo aspetto stupefacente è che anche chi ha a cuore le sorti della formazione e della ricerca del nostro Paese sembra accettare i perimetri segnati dalle tecniche comunicative del Governo. E così non si pone abbastanza l’accento sul fatto che l’investimento in formazione e ricerca nel nostro Paese è tra i più bassi d’Europa. E neppure sul fatto che si deve smettere di parlare di riforme serie a costo zero. E neppure che a rendere migliore il sistema universitario non è una semplice contabilità di crediti formativi, ore di insegnamento, numero di studenti in rapporto ai docenti, ecc. E che bisogna fare un’attenta valutazione dell’importanza dei corsi di laurea, perché non è detto che un corso di laurea oggi poco di moda (e quindi con pochi studenti) sia meno importante per il futuro del Paese di un corso di laurea oggi di moda (e quindi con tanti studenti). Si fanno invece proposte come “facciamo cassa evitando due anni di fuori ruolo”. Per non parlare di chi, più realista del re, propone riforme a costo zero come i test di ingresso nazionali ai corsi di laurea. L’intento, quanto mai egregio, dovrebbe essere quello di permettere agli studenti bravi, o comunque in alto in graduatoria, di scegliere l’Ateneo migliore in cui studiare. Ma il vero problema nel nostro Paese non è quello di poter scegliere un Ateneo, ma dei costi della mobilità in assenza di infrastrutture che garantiscano il diritto allo studio. Realizzarle però costa.