sabato 31 gennaio 2015
LA SCUOLA VA MALE PERCHÉ I DOCENTI HANNO IN MEDIA 53 ANNI? UNA LETTERA AL DIRETTORE DEL “CORRIERE”
Qualche giorno fa Gian Antonio Stella ha commentato con abbondanza di
confronti internazionali i dati sull’età media elevata degli insegnanti
italiani. Il problema non è nuovo e risaputa ne è la causa fondamentale: i
numerosi aumenti dell’età pensionabile degli ultimi vent’anni. Continua.
UN PRESIDE DICE NO ALLE ISPEZIONI ANTIDROGA: “NON UMILIARE GLI STUDENTI”
Nei giorni scorsi ha fatto notizia nelle
cronache fiorentine dei quotidiani il rifiuto opposto dal dirigente scolastico
di un istituto tecnico a un’ispezione antidroga della polizia. “Un
ragazzo che fa uso di stupefacenti –
ha argomentato – è
una persona con cui mi devo confrontare, che va innanzitutto aiutata, eventualmente
punita, ma non umiliata davanti ai compagni”.
E ha aggiunto: “Occorre smetterla con gli
atteggiamenti buonisti, ma anche evitare di trasformare le scuole in un carcere”.
Valerio Vagnoli gli ha risposto sottolineando invece che i controlli della
polizia nelle scuole fiorentine, in alcune delle quali sono state trovate dosi
nascoste di hashish, costituiscono “un
deterrente e un messaggio chiaro degli adulti ai giovani”.
Il servizio del "Corriere Fiorentino".
La risposta di Valerio Vagnoli.
Il servizio del "Corriere Fiorentino".
La risposta di Valerio Vagnoli.
lunedì 26 gennaio 2015
DOMANDE DEI DIRIGENTI A FARAONE: MA LA RISPOSTA È NEL VENTO...
Venerdì scorso una
trentina di dirigenti scolastici hanno avuto l'occasione d'incontrare in una
scuola pratese l'on Faraone, colui che in realtà, pur senza averne per ora
l'incarico, è di fatto l'attuale facente funzioni di ministro
dell'istruzione.
Malgrado l'incontro
fosse aperto a tutti i dirigenti toscani, ed in particolare a quelli delle
provincie di Prato, Firenze e Pistoia, la presenza è risultata molto scarsa;
forse perché sono tante, e a ragione, le loro rivendicazioni, dato che per
moltissimi aspetti vivono condizioni lavorative, stipendiali e umane
insostenibili.
Con il mio intervento
mi sono permesso di informare direttamente il sottosegretario-ministro di
quanto avessi trovato gravi e poco responsabili alcune sue dichiarazioni in
merito alla “valorizzazione” degli studenti che occupano le scuole, in quanto,
secondo lui, queste esperienze rappresentano a volte momenti di formazione più
stimolanti e ricche delle stesse lezioni. Ultimamente lo stesso
sottosegretario ha addirittura annunciato che un rappresentante degli studenti
farà parte della commissione a cui spetta decidere sull’ immissione in ruolo
dei neo-docenti alla fine dell'anno di prova.
Ho fatto inoltre
presente che in via di principio non sono contrario a un questionario di fine
anno, com'egli stesso propone, che permetta ai ragazzi di esprimersi sul lavoro
fatto dai loro docenti. Occorre tuttavia inserire proposte del genere in un
contesto molto più articolato, specificandone le finalità e i limiti. Insomma,
occorre evitare che debbano essere interpretate come strumenti di controllo del
lavoro dei docenti anziché un’occasione di confronto reciproco di fine anno che
serva a migliorare il futuro rapporto didattico. Senza queste premesse c'è il
timore che questi provvedimenti possano incoraggiare nei ragazzi un
atteggiamento di contrapposizione: da una parte una classe docente refrattaria
ai cambiamenti, dall'altra gli allievi, vittime di un sistema scolastico
e di insegnanti inadeguati.
Faraone, nella sua
risposta agli interventi, ha fatto solo un breve riferimento alla mia critica
della sua sciagurata considerazione sulle occupazioni, ignorando quant'altro
avevo detto nel mio intervento. Lo ha fatto con una certa aria di sufficienza e
con l'invito a leggermi tutto l'articolo in cui si era lasciato andare a queste
riflessioni, compresa la parte finale in cui si esaltava anche il ruolo delle
autogestioni.
Nessun dialogo serio,
dunque, ma la risposta sfuggente di un politico che si sa muovere tra slogan e
provocazioni ad effetto in grado di colpire l’opinione pubblica, di far parlare
di sé, di raccogliere facili consensi. È di questo che hanno bisogno i giovani?
(VV)
mercoledì 21 gennaio 2015
LA DERIVA DEMAGOGICA NEL GOVERNO DELLA SCUOLA. DOPO LA LODE DELLE OCCUPAZIONI, FARAONE INSEDIA GLI STUDENTI NEI NUCLEI DI VALUTAZIONE
Il sottosegretario Faraone si
muove da tempo come ministro de facto,
e purtroppo lo fa doppiando in demagogia i predecessori, che pure si erano distinti per
ricerca della popolarità a buon mercato. La notizia è che dal prossimo anno scolastico gli studenti compileranno un questionario in cui, stando alle anticipazioni di
“Repubblica”, diranno la loro sulla puntualità dei docenti, sulla loro capacità
espositiva e sull’efficacia dell’insegnamento. È anche possibile che sia
contemplata una voce “suggerimenti”. Nel secondo ciclo, inoltre, uno studente
eletto verrà inserito nel nucleo di valutazione interno, con diritto di voto
nel caso della valutazione alla fine dell’anno di prova (non previsto invece
per gli aumenti premiali di stipendio). Che nella valutazione della scuola e
dei docenti i pareri degli allievi possano essere uno degli elementi da prendere in considerazione, anche se con le
dovute cautele e purché vengano espressi su aspetti che sono in grado di
apprezzare, lo abbiamo sempre affermato. Qui però siamo di fronte a
un’operazione inquinata dalla demagogia sia nei contenuti, sia nei modi con cui
è presentata. Una cosa infatti è ascoltare anche gli studenti, altro è
chiamarli a far parte di un organismo tecnico-professionale quale il nucleo di
valutazione, in quanto ovviamente privi della necessaria preparazione per
assolvere un compito tanto delicato; e peraltro già si tratterebbe, anche senza
questa enormità, di un organismo esclusivamente interno che fa disinvoltamente
a meno dell’apporto fondamentale di un servizio ispettivo adeguato. Quanto alle
tre questioni indicate nel questionario, passi per la puntualità (che comunque dovrebbe
essere controllata dal dirigente e dai suoi collaboratori) e per la
chiarezza espositiva; ma l’efficacia didattica, che è argomento complesso, non
è certo tema da porre a uno studente, potenzialmente interessato a scaricare
sui docenti i suoi ritardi nell’apprendimento.Sui possibili "suggerimenti" ai propri insegnanti meglio sorvolare...
Neppure accettabili sono le
motivazioni e i toni con cui il sottosegretario giustifica la novità. Dopo il
panegirico degli occupanti di qualche tempo fa, dichiara infatti : “Abbiamo
deciso di chiudere la fase del paternalismo dei benpensanti e mettere i giovani
davvero al centro della scuola, la loro partecipazione alle decisioni che li
riguardano deve diventare strutturale”. Forse Faraone considera paternalistico
vedere i ragazzi come persone in via di formazione, che non si possono mettere sullo stesso piano dei
docenti e del dirigente di una scuola. Come mai allora non sono i malati a
valutare i medici, né gli imputati i giudici? Forse è quello che ha visto (o ha
voluto vedere) nelle scuole che lo ha convinto: “Negli studenti che ho
incontrato ho visto la classe dirigente di domani: ragazzi con le idee chiare,
di prospettiva, pragmatici e determinati. Non sono minus habens, non sono immaturi. E a scuola si decide della loro
vita”. Di fronte a una retorica del genere, che fa da base, con qualche
supponenza, alle riforme annunciate, anche per i più allergici alla dietrologia
è impossibile non pensare che si tratti soprattutto di recuperare al governo il
consenso di quei giovani che ne dicevano peste e corna nelle mobilitazioni
autunnali contro la “Buona Scuola” (in cui tra l’altro non c’era traccia di
studenti valutatori e neppure nel questionario on line). Guarda caso il giorno
dopo “La Repubblica” titola: Gli studenti
applaudono Faraone: dateci potere. E c’è da temere che ben presto si
cominci a parlare di voto ai sedicenni. (GR)
venerdì 9 gennaio 2015
LA RESPONSABILITÀ VERSO IL MONDO: LE RADICI DELL’EDUCAZIONE SECONDO HANNAH ARENDT
“I genitori non si limitano a chiamare i
figli alla vita facendoli nascere, ma allo stesso tempo li introducono in un
mondo. Con l’educazione si assumono la responsabilità nei due ambiti, a livello
dell’esistenza e della crescita del bambino e a livello della continuazione del
mondo. […] La responsabilità della crescita del bambino è in certo senso
contraria al mondo: il bambino deve essere protetto con cure speciali, perché
non lo tocchi nessuna delle facoltà distruttive del mondo. Ma anche il mondo
deve essere protetto per non essere devastato e distrutto dall’ondata di novità
che esplode con ogni nuova generazione”[1]. Anche
negli anni ’50 in cui furono scritte queste riflessioni ci voleva la mente
libera di Hanna Arendt per ricordarci senza perifrasi e addolcimenti che
l’educazione, oggi identificata quasi senza residui con le esigenze di ogni
singolo nuovo individuo, serve anche a tutelare il mondo in cui viviamo. Questa
capacità di rendere evidente la pura e semplice verità ricorda il
bambino a cui Andersen fa esclamare che l’imperatore è nudo. Solo che lì gli
spettatori vedevano bene che il sovrano non aveva niente addosso anche se
temevano di parlare, mentre oggi sembra che la fascinazione esercitata da quel
“bene scarso” che sono diventati i bambini, unita all’influenza delle teorie
pedagogiche puerocentriche che hanno disorientato gli educatori, faccia sì che
l’importanza di crescere degli individui responsabili verso quello che li
circonda sia quasi sparita, se non nella teoria, almeno nella pratica. In altre
parole si parla volentieri di legalità, di ambiente, di beni comuni, ma si
dimentica che solo un costante allenamento al rispetto delle regole e degli
altri può trasformare i piccoli umani naturalmente egocentrici in giovani
adulti maturi. Ed è la scuola, aggiunge la Arendt, “l’istituzione che abbiamo
inserito tra l’ambiente privato, domestico, e il mondo, con lo scopo di
permettere il passaggio dalla famiglia alla società. La frequenza scolastica
non è richiesta dalla famiglia, ma dallo Stato, ossia dal mondo pubblico;
quindi, rispetto al bambino, la scuola rappresenta il mondo anche senza esserlo
di fatto”[2]. Ma quanto
l’istituzione scuola abbia difficoltà a sentirsi responsabile nei confronti del
“mondo”, o almeno della collettività, lo dice la sparizione della parola
“doveri” (e di quanto essa evoca) nella riflessione pedagogica, nelle norme e
nelle circolari ministeriali, nelle allocuzioni agli studenti del ministro di
turno, nei programmi scolastici, nei temi, nelle prove d’esame e, last but not least, nella stessa
formazione iniziale e nei corsi di aggiornamento dei docenti, oltretutto privi,
come categoria, di uno straccio di codice etico-deontologico. Per di più, tutti
i momenti in cui, come docenti e dirigenti, ci dovremmo ricordare di assolvere
a un mandato sociale (e penso soprattutto alla valutazione del profitto e a
quella del comportamento) troppo spesso li viviamo come se riguardassero solo
noi e l’allievo in questione, quindi con un riflesso di tipo genitoriale che
esclude dal nostro campo visivo sia ogni preoccupazione di equità rispetto agli
altri allievi, sia l’obbligo di certificare per conto della società gli
effettivi livelli di apprendimento, pur tenendo conto dei margini di
discrezionalità impliciti nel ruolo. La scuola, dunque, non può essere soltanto
un servizio individuale all’utente, ma, almeno altrettanto, un’istituzione pubblica
al servizio della società e del suo futuro. Infatti, “l’educazione è il momento
che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e
salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza
l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi
amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli
in balìa di se stessi”[3]. (GR)
lunedì 5 gennaio 2015
SENZA DOVERI NON C’È DEMOCRAZIA. IL LIBRO NECESSARIO DI LUCIANO VIOLANTE
Citazioni:
“L’affidamento delle scelte relative ai diritti dei cittadini alle tecnocrazie degli avvocati che sollevano questioni e dei magistrati che su quelle questioni decidono, lasciando le istituzioni elette dai cittadini nel ruolo di comprimari, getta una luce preoccupante sulle possibili trasformazioni dello Stato costituzionale di diritto. Non a caso, con riferimento a questa situazione, si è parlato di “Giuristocrazia”.
“Una democrazia non vive solo di diritti e di giudici volenterosi. Vive anche di adempimento dei doveri, di forza morale, di rispetto delle regole, di fiducia nel futuro”.
"Già Machiavelli ci aveva ricordato che la «Repubblica delle leggi» per vivere ha bisogno dei buoni costumi dei cittadini. Ma troppo spesso i cittadini hanno ritenuto che fosse sufficiente esigere buoni costumi dai politici, trascurando i propri doveri. E non pochi politici hanno ritenuto che non fosse il caso di esigere buoni costumi dai cittadini, sperando in una loro corriva indulgenza.”
“Quando un’autorità di governo coglierà l’esigenza di ricostruire in Italia un’autorità sociale attraverso un’accentuazione della necessità dei doveri, pubblici e privati, accompagnati da propri e altrui comportamenti coerenti, si potrebbe davvero riavviare un corso nuovo caratterizzato dal prestigio della politica”.
“Parlare di un tempo dei doveri permette di disporre di una prospettiva per superare i due più gravi ostacoli alla realizzazione di un ordine civile conforme a Costituzione: la partecipazione oppositiva, che riguarda la società e il policentrismo anarchico che affligge le istituzioni. La partecipazione oppositiva è un atteggiamento largamente diffuso nella nostra società, che consiste nell’opporsi a qualunque decisione pubblica, per principio […]. Il policentrismo anarchico consiste nel groviglio di centri decisionali, autorizzativi, concessori, consultivi; nessuno ha il potere di dire la parola finale, ma tutti hanno il potere di impedire che altri la dica”.
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