Nei giorni scorsi “La
Stampa” ha commentato i risultati del progetto “Fuoriclasse” contro la
dispersione condotto da Save The Children
in alcune scuole di sei città italiane, integrandoli con i dati di inchieste
internazionali del 2010 e del 2011. L’articolo sposa senz’altro il luogo comune
che vede nella scuola primaria un segmento di eccellenza e nella media il “buco nero” o “anello debole” della
scuola italiana. Tra l’altro il titolo in prima pagina, La grande fuga dalle medie, non rispecchia neppure il contenuto
dell’articolo, che parla di una dispersione intorno al 15% nell’intero sistema
scolastico, che si verifica quasi tutta dopo
le medie. Detto questo, gli stessi grafici intitolati Divari sociali mostrano chiaramente che il declino dei punteggi
nelle prove delle indagini parte almeno dalla quarta elementare, mentre lo
stesso Invalsi ha smentito che ci sia un problema specifico della scuola media
e ha ricordato che nella preadolescenza – sempre più anticipata – per tanti
motivi può diminuire il desiderio di imparare, mentre crescono altri interessi
tra cui l’importanza del gruppo. Questo non significa che il triennio delle
medie non abbia bisogno di un ripensamento, anche nella sua capacità orientativa
per la scelta della scuola superiore. Ma che la scuola primaria sia immune da
carenze nell'assicurare un’adeguata preparazione in uscita non lo si può certo
sostenere.
Ma non tutte le colpe
della dispersione sono del primo ciclo, anzi. Abbiamo più volte ripetuto
che gli istituti tecnici e ancora di più
i professionali, sempre più “licealizzati” dai primi anni novanta in poi, non
sono tali da poter valorizzare le attitudini di tutti quelli che si rivolgono a
loro. Né possiamo ignorare le differenze
sociali tra zone d’Italia e anche tra quartieri delle medesime città; e che le
condizioni di povertà coinvolgono ora milioni di immigrati che spesso non possono
neanche più contare su mestieri che gli italiani, per decenni, si sono abituati
a non svolgere. Le periferie di molte nostre città, non solo del sud, sono talvolta
abbandonate a sé stesse o dominate dalla malavita e solo la scuola offre spesso
in quelle realtà un servizio sociale decisivo per la vita di molti bambini, anche
dando loro la possibilità di fare un pranzo degno di questo nome e di restare
fino alle cinque del pomeriggio in un ambiente protetto.
Fatto sta che non possiamo più permetterci di ignorare
che moltissimi ragazzi arrivano alle superiori, dopo ben otto anni di scuola
dell'obbligo, con una preparazione inadeguata che in molti casi non è neppure
quella che un tempo si acquisiva con la terza elementare. E che una parte
consistente delle matricole universitarie, come da tempo avvertono i docenti
universitari, è priva di un adeguato bagaglio lessicale e di un compiuto
controllo ortografico e sintattico della lingua italiana. Se vogliamo
cominciare a ragionare seriamente sull’istruzione pubblica, dobbiamo
abbandonare le retoriche modaiole, tra cui quella della personalizzazione come
dogma di fede, e tornare a pensare la scuola anche dal punto di vista della
collettività e non solo da quello del singolo allievo e dei suoi genitori.
Questo significa in sintesi: una scuola più esigente nel verificare il sicuro
possesso degli strumenti di base almeno alla fine del primo ciclo (scrivere
correttamente, leggere e capire, “far di conto” come si diceva un tempo); più
ferma nel chiedere la correttezza dei comportamenti, che non è solo doverosa in
sé, ma influisce moltissimo sull’apprendimento; più determinata nel favorire la
qualità media del corpo docente. Non c'è tempo davanti a noi, occorrono anni e
anni per costruire un futuro migliore
del presente e portarci al livello dei più avanzati paesi europei, almeno nella
diminuzione del tasso di dispersione; che è di dimensioni tali da chiederne
conto a chi, con le chiacchiere e la demagogia, ha ridotto la nostra scuola a questo
livello indecoroso. Giorgio Ragazzini e
Valerio Vagnoli
14 commenti:
Avevamo una scuola elementare tra le migliori al mondo e questo è il risultato. Mi hanno detto che all'Università si attivano corsi di recupero per le competenze di base della lingua italiana. Niente da aggiungere caro Berlinguer.
LA “BUONA SCUOLA”?! SOLO ALTRE CHIACCHIERE E DEMAGOGIA
1) bell’articolo sul serio! condivido anamnesi e diagnosi, non la terapia prospettata.
2) non bisogna dimenticare infatti il dato che negli ultimi 3, 4 o 5 decenni la popolazione scolastica è più che raddoppiata o quadruplicata, è cresciuta fino a saturazione, fino ad avere la scuola di massa (siamo al 100% TRANNE la dispersione al 15% circa). la crescita è avvenuta sostanzialmente per aggiunte e per estrapolazioni ad immagine dei licei, non c’è stata una riprogettazione strategica, solo adattamenti e ristrutturazioni empiriche ed occasionali (quasi una riforma all’anno e a ministro).
3) nei licei che furono (ma quasi ancora oggi) si mettevano voti VERI sia per il profitto, sia per la condotta, si poteva bocciare e selezionare, chi non era in grado o adatto (per capacità e impegno suoi o per le caratteristiche dell’indirizzo scelto) poteva essere bocciato, veniva fatto scendere dall’ascensore sociale e poteva proseguire con la scala a pioli di un lavoro precoce e meno pregiato. ora non esistono più scale a pioli, né ha senso salirle a vent’anni.
4) la attuale scuola di massa, per essere estesa a tutti o quasi e senza riprogettazione o riforme strategiche, è stata costretta e indotta a ridurre i programmi e regalare voti e promozioni: la certificazione ora è fasulla, l’etichetta non corrisponde più al contenuto né in quantità, né in qualità. le responsabilità delle scelte e delle omissioni sono in alto e non vanno addossate ai docenti (come è moda e alibi) anch’essi vittime.
5) però adesso invocare «una scuola più esigente nel verificare il sicuro possesso degli strumenti di base almeno alla fine del primo ciclo (scrivere correttamente, leggere e capire, “far di conto” come si diceva un tempo); più ferma nel chiedere la correttezza dei comportamenti, che non è solo doverosa in sé, ma influisce moltissimo sull’apprendimento; più determinata nel favorire la qualità media del corpo docente» non è soluzione praticabile e alla portata. sarebbe come pretendere di fermare una valanga oppure pretendere di restaurare una rete idrica cresciuta per aggiunte e malandata cambiando solo i rubinetti.
6) «tasso di dispersione; che è di dimensioni tali da chiederne conto a chi, con le chiacchiere e la demagogia, ha ridotto la nostra scuola a questo livello indecoroso», conviene esplicitare, dare nome e cognome a questo “chi”. per me sono i politici passati e attuali, i governi e i ministri (dell’istruzione, dell’economia, ….); chiacchiere e demagogia includono anche la l. 107/2015, presentata anch’essa con l’etichetta mendace di “buona scuola”. e poi il tasso di dispersione è anch’esso fasullo: tempo addietro calcolai che il “rendimento” della scuola superiore era circa del 50% (rendimento riferito al numero di diplomati davvero maturi e in 5 anni).
La scuola è nata con la borghesia ed è stata distrutta dalla nuova borghesia.
Salve...vi posso segnalare questo articolo? Mi interesserebbe molto anche la vostra opinione su "Liberare la scuola", il documento elaborato da alcuni dirigenti contro la burocrazia ministeriale.
http://www.imille.org/2016/03/la-scuola-italiana-tra-presidi-esasperati-buffe-circolari/
Gentilissimo Rocchi,
grazie per la segnalazione. Ho letto e sottoscritto il bel documento che peraltro contiene alcuni temi da sempre caldeggiati dal Gruppo ( carriera docenti, burocrazia zarista, responsabilità dirigenziale esosa....). Mi permetto una chiosa relativa alla circolare sui viaggi d'istruzione. Questa avrebbe dovuto essere preceduta da un avvertimento nei confronti dei dirigenti e dei docenti il cui tenore doveva essere più o meno il seguente. -Cari docenti, state attenti a quello che fate e soprattutto a quello che solitamente non fate, per esempio controllare la pressione delle gomme del pullman che vi porterà in gita , fare l'alcool test al conducente, controllarne la validità della patente, misurare la coppa dell'olio e quant'altro, perché se accadesse qualcosa ci sarà sempre un magistrato che vi riconoscerà colpevoli. Andatevi a vedere le sentenze per capirlo e se non ne avete il tempo prestate attenzione alle nostre raccomandazioni e non prendetele come mera letteratura surreale, ma avvertimento rispetto non a quello che potrebbe accadervi, bensì a quello che già da tempo accade-.
Invece la circolare, come buona parte delle circolari, non chiarendo i motivi di tanto eccesso di meticolosità, ricopre ancora una volta di ridicolo, agli occhi dell'opinione pubblica, il mondo scolastico.
Ora, pur non mancando docenti e dirigenti irresponsabili, come in tutte le categorie, a cui non affiderei neanche per un minuto il mio gatto appena sceso dalla poltrona, occorre prendere atto che da anni il personale della scuola è sottoposto ad angherie di ogni genere e non più sostenibili. Naturalmente il ministero si guarda bene dal dirlo e dal difenderci apertamente e resta il fatto che la stragrande maggioranza delle persone che lavorano nella scuola, la sostengono e la fanno sopravvivere malgrado l'apparato ministeriale e malgrado la deriva burocratica che ci sta letteralmente soffocando. Le stesse reti scolastiche, rappresentano una ulteriore gabbia burocratica e rischiano di minare quel poco di autonomia scolastica degna di questo nome. Autonomia messa sempre più in discussione da inviti, però cogenti, ad inviare insegnanti a una miriade di attività formative grazie alle quali non si realizzerà una scuola di regime ( magari! avrebbe un'identità e potremmo contrastarla e forse sconfiggerla), ma una scuola delle chiacchiere e dell'apparato burocratico destinata ad esaltarsi nelle parole fatte, negli slogan, nelle circolari, nei seminari, nelle reti, negli elefantiaci apparati periferici e centralizzati, nel personale distaccato in questo o l'altro ufficio, mentre un quarto delle scuole sono date in reggenza e metà tirano a campare in edifici che neanche i proprietari( provincie e comuni) spesso rivendicano come propri. Ed infatti i politici se ne guardano bene dal prendersi le loro responsabilità e se crolla qualcosa, che il dirigente vada in galera, come è accaduto al povero collega Livio Bearzi preside a L'Aquila.
Intanto prepariamoci all'inizio della prossima settimana e alle decine di norme e circolari che ci sovrasteranno e che se dovessimo leggerle per intero finirebbero per impedirci di lavorare. E così si consolida la più tenace arte italica che naturalmente è quella dell'arrangiarsi.
Intervengo sull’argomento introdotto da Francesco Rocchi. Sono d’accordo sia con l’ottimo articolo, nel suo insieme, sia con l’osservazione fatta da VV a proposito della famigerata circolare sui Viaggi di istruzione, che anch’io ho interpretato nello stesso senso.
Sono anche pienamente d’accordo sul fatto che uno dei problemi principali della nostra scuola sia “la totale mancanza di un cosiddetto ‘middle-management’”. Credo però che questo sia dovuto in buona misura alla volontà dei dirigenti. Non di ogni singolo dirigente, naturalmente, ma delle posizioni assunte dalle loro associazioni professionali.
Almeno così mi porta a ritenere la mia esperienza personale. Ricordo che oltre vent’anni fa, in un convegno del Ministero, l’idea che dovessero essere costituite delle posizioni di carriera intermedie fu totalmente rigettata da parte dei dirigenti presenti. Secondo loro, non dovevano esserci altro che incarichi a tempo determinato, conferiti e revocati dai dirigenti stessi. E così è stato.
Ma quando ero un ufficiale di complemento, tanto tempo fa, non ricordo che il tenente colonnello comandante del battaglione avesse il potere di nominare pro-tempore i comandanti delle compagnie scegliendoli a suo arbitrio tra la truppa o tra i sottufficiali. Quei capitani aveva e quelli si teneva, pur avendo naturalmente il potere e il dovere di valutarli in un modo che avrebbe influito sulle loro future carriere; e anche di rimuoverli, ma in casi davvero estremi. Né gli sarebbe mai saltato in mente di sentire per questo sminuita la sua autorità.
Suppongo che a qualcuno l’analogia militare possa dare fastidio, ma in ogni caso si tratta di un sistema organizzativo rodato da alcuni millenni di funzionamento.
Comunque, per quanto mi riguarda, se ci fosse stata la possibilità di un concorso per titoli ed esami per accedere a un ruolo intermedio, naturalmente con un miglioramento retributivo accettabile, lo avrei fatto (per dirigente mai: ogni uomo dovrebbe conoscere i propri limiti, secondo il sano principio dell’ispettore Callaghan, e io credo di conoscerli, non avrei mai le forze per affrontare un mostro burocratico come quello ottimamente descritto nell’articolo).
Ma mettermi in luce davanti al mio dirigente per cercare di ottenere incarichi, in competizione con altri, non rientra tra le cose che posso prendere in considerazione di fare. E non penso di essere l’unico. Tanto più se a questi incarichi corrisponde una retribuzione aleatoria e legata alla contrattazione di Istituto, e nessuna forma di autorità sui colleghi che si dovrebbero organizzare o coordinare.
Si è scelta la linea di un uomo solo al comando, secondo uno pseudo-modello aziendale, la si è fortemente accentuata con la legge 107, che mi rifiuto di chiamare con il vacuo slogan governativo. E naturalmente, secondo l’Italian style, non si è data al dirigente, come ben illustra l’articolo, neanche una minima parte dei poteri necessari, innanzitutto sulla manutenzione ordinaria delle strutture. Quale dirigente aziendale non ha l’autorità né i fondi per intervenire autonomamente sulle condizioni dei suoi stabilimenti?
Anzi si è deciso che debba esercitare contemporaneamente le sue funzioni in più istituti (anche se non credevo che l’assunzione di reggenze si configurasse come un obbligo).
Ora i dirigenti protestano per la situazione in cui si sono venuti a trovare. E hanno pienamente ragione di farlo, lo farei anch’io al loro posto e, per quanto può servire, sono solidale con loro su questo punto. Non sono però del tutto sicuro che, in qualche misura, ciò non sia anche dovuto a loro scelte.
@VV
Grazie a lei per il suo commento e per le sue osservazioni. Se volesse copincollare il suo commento anche in calce all'articolo, renderebbe un bel servizio alla discussione su imille. Le ragioni di quella circolare mi erano del tutto oscure, e lei invece ne propone una lettura sensata, che tutto sommato conferma anche la mia ipotesi che il ministero, per sue natura, finisca spesso per mollare schiaffi anche quando vuole dare carezze.
Stesso invito rivolgo a Papik, con il quale pure non posso dire di concordare del tutto: trovo che non sarebbe male dare la possibilità ai presidi, con tutte i contrappesi del caso, di circondarsi di collaboratori con cui ci sia stima e "feeling".
V.P., vedo, non ha avuto bisogno di alcun invito e ha già contribuito con diversi commenti alla discussione, anche con diversi link. Non posso dire di essere d'accordo con lui, ma è pure difficile avere un dibattito tra persone che sono tutte quante d'accordo. Appena possibile, rispondo.
E grazie ancora dell'"ospitalità".
segnalo alla riflessione e al confronto:
Documento FLC CGIL "Trentadue azioni per liberare la scuola" - 5 febbraio 2015
(documento meno parziale e improvvisato di quello dei presidi o d.s. di "liberare la scuola")
Gentile Francesco Rocchi, come avrà visto ho aderito al suo invito.
Preciso, però, che non ho mai inteso affermare che le cose dovrebbero necessariamente essere organizzate come dico io. Quello da me indicato è un possibile modello alternativo. Se lo si fosse scelto, sarei stato interessato a concorrere; visto che le cose stanno come stanno, invece, non ho alcun interesse ad assumere incarichi oltre al normale insegnamento.
Ma questa è una mia posizione personale, chiunque può pensarla diversamente e assumere tutti gli incarichi che vuole, non sono certo tra coloro che considerano negativamente i colleghi che li cercano.
Può darsi che la scuola non abbia perso nulla a rinunciare alla collaborazione mia e di chi la pensa come me. E certamente la soluzione da me proposta sarebbe costata di più.
Non posso che essere d'accordo.
Facciamo una considerazione attraverso i decenni: come mai le varie riforme portano a un peggioramento delle abilità di base? Non sarà che sono state sbagliate?
La licealizzazione a me sembra che sia stata introdotta soprattutto alle elementari:
troppo frammentaria e dispersiva l'offerta. Un errore l'abolizione dell'esame in quinta, che consentiva alle maestre di concentrarsi su obiettivi precisi, assurdo impedire ai laureati in lingue di insegnare lingua alle elementari.
Un errore, in comune alle medie, comprimere storia e geografia in sintesi troppo superficiali per dar spazio agli idoli del momento (informatica, diritti civili, solidarietà, Novecento etc.), un errore abbandonare un solido percorso su testi progressivamente complessi e scritti in buon italiano.
Dettati, ortografia, calcolo, impaginazione corretta, uso della memoria, cartine, date. Poche cose e buone. RR
P.S. dopo il Sessantotto è stata introdotta in tutta Europa, soprattutto su base francese, la decostruzione dei programmi scolastici. Se a ciò aggiungiamo il concetto televisivo di varietà e superficialità, che si è insinuato nel corpo insegnante, e i vari slogan sulle 'competenze trasversali', i risultati sulle menti dei ragazzi e sulle loro conoscenze non possono che essere letali.
In quanto ai corsi di italiano di base all'università, vi posso assicurare che non è un mito, ma sono la tragica e pura verità. Circa i tre quarti degli studenti son sa collocare correttamente l'accento su una parola (non sto parlando di extracomunitari).
RR
Come Papik nella mia attività di docente non ho mai ricoperto alcun incarico . Ho fatto parte, per interesse mio personale e perché impegno non retribuito, pertanto poco appetibile, di vari Consigli d’Istituto. Non ho mai partecipato a progetti, né sono andato oltre i miei compiti d’insegnante anche per un mio limite nel non saper gestire in maniera meno ingombrante la mia attività di docente; chi invece vi riesce è giusto che lo faccia e che metta queste sue competenze al servizio degli altri
Ho conosciuto collaboratori del preside impresentabili sebbene scelti, o forse per questo motivo, dai colleghi. Non dimenticherò uno di questi che ad inizio anno incontrava i neoarrivati per farsi propaganda elettorale. Naturalmente anche lui fu graziato da un concorso riservato e divenne alla fine un preside, come la gran parte dei presidi di un tempo che hanno goduto di grandi generosità nell’entrare in ruolo forse proprio perché espressione di interessi sindacali.
Ho conosciuto anche collaboratori, come avviene da tempo, scelti dai dirigenti e generalmente mi sembrano molto più preparati e motivati che non quelli eletti dai colleghi. In generale dietro a queste scelte dal basso si nascondevano manfrine sindacali che creavano camarille insopportabili e dominanti il clima scolastico. Credo infine che debba essere il DS a prendersi la responsabilità davanti ai collegi, di scegliere persone preparate, equilibrate e disponibili ad occuparsi dell’organizzazione e gestione della scuola, almeno fino a quando queste figure non saranno istituzionalizzate, come spero, attraverso un ruolo e una carriera del tutto specifici.
Io però continuo a non capire come possano Ragazzini & Vagnoli conciliare l'idea che i percorsi formativi degli istituti professionali debbano tenersi distanti dalla cosiddetta "licealizzazione" con la tesi per cui non debbano avere dignità inferiore a quella dei licei. Per mantenere un valore formativo adeguato anche al di là delle materie strettamente professionalizzanti, è necessario che i programmi di alcune materie "generaliste", come la letteratura italiana o la storia, siano il più possibile simili a quelli dei licei. La differenza poi rispetto a questi ultimi la fa la presenza di materie come latino e filosofia che negli istituti professionali sono assenti (e direi pour cause, anche se in Francia due ore settimanali di filosofia e solo nell'ultimo anno si trovano anche in questi tipi di scuola). A meno che non si pensi a un modello come quello tedesco, dove, una volta reso il latino facoltativo, scomparso quasi del tutto il greco e non esistendo la filosofia come materia liceale, la differenza tra Gymnasium, Realschule (istituto tecnico) e Realschule (Istituto professionale), la fanno la durata complessiva delle scuole e i programmi totalmente diversi per le materie di base, come tedesco, matematica e storia. Ma la Germania ha un altra tradizione (sistema duale, ecc.) e un diverso mercato del lavoro, oltre che la tendenza a formare più lavoratori ubbidienti che cittadini realmente consapevoli. Ora, temo che cittadini realmente consapevoli non li formi neppure la nostra scuola, ma non è "delicealizzando" gli istituti professionali che andremmo in una direzione migliore.
Mi permetto solo di far presente che i lavoratori tedeschi hanno stipendi e libertà che quelli italiani, malgrado abbiano a disposizione i più forti sindacati d'Europa ( o forse proprio per questo)se li sognano.
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