(“Corriere
Fiorentino”, 29 dicembre 2016)
Il reportage di
Alessio Gaggioli sul Corriere fiorentino di martedì scorso (Il compagno di banco? Un detenuto) è
stato un’immersione profonda dentro la realtà del carcere di Volterra. Una
realtà in cui la vita stessa è costretta dentro perimetri scarni e per qualcuno
senza speranza di riattraversarli. Vi si svolgono delle lezioni davvero
speciali, dove convivono studenti che la sera se ne tornano a casa e altri
“studenti” più grandi che non hanno altra casa se non la cella e l'aula
scolastica. Singolare coincidenza: pochi giorni fa dopo trentaquattro anni sono
tornato nel carcere di Sollicciano per l’intitolazione di un'aula a un amico,
un docente davvero speciale morto prematuramente pochi mesi fa. È il carcere
dove avevo insegnato nella sezione femminile quando ero poco più di un ragazzo.
Oggi si aggiunge a quell'emozione questo reportage struggente che ci ricorda
come tutti si può contribuire a cambiare in meglio la vita delle persone, anche
dentro le mura di un carcere. E dentro quelle di Volterra la vita può cambiare
in meglio anche per gli studenti esterni, quei ragazzi che avevano abbandonato
la scuola e che ritrovano ora la loro passione in compagnia dei carcerati dalla
vita distrutta per aver distrutto a loro volta e per loro colpa chissà quante
altre vite.
Naturalmente le
convivenze, anche episodiche, tra detenuti e giovani studenti esterni devono
essere costantemente monitorate e sostenute anche sul piano psicologico. Mi
spiego meglio: la profonda valenza umana e formativa legata a questa esperienza
non deve farci perdere di vista i rischi che dietro essa si possono nascondere.
Quasi quarant’anni fa un gruppo giovanile parrocchiale fu autorizzato a
condividere momenti del loro tempo libero con i ragazzi del riformatorio in cui
insegnavo; e purtroppo accadde che un paio di questi “esterni” prendessero una
brutta strada avendo subìto l’influenza di alcuni giovani delinquenti. Certi
rischi si possono correre, conoscendo quanto sia a volte totale la
disponibilità dei giovani a immedesimarsi nel dolore degli altri, rimanendone
poi vittime inconsapevoli. Sono certo che i responsabili del bellissimo
progetto del carcere di Volterra hanno messo in conto questa possibilità e che
non faranno mancare gli opportuni momenti di riflessione a questi ragazzi.
A parte questo,
l'esperienza dimostra quanto sia fondamentale una scuola che educhi al lavoro;
e solo chi ha pregiudizi sociali può pensare che il lavoro manuale non
valorizzi la sfera dell'intelligenza, che invece si manifesta e si realizza anche
attraverso l'esperienza pratica. Chissà quanti ragazzi riusciremmo a preservare
dall’insuccesso scolastico se non li umiliassimo costringendoli a frequentare
una scuola che non risponde alle loro attitudini. E chissà quanti non
finirebbero in carcere se si fosse in grado di dar loro, attraverso il lavoro,
una motivazione e una speranza!
Intanto
rallegriamoci per questa bella realtà volterrana – e volterriana – e ricordiamoci dei bei versi del Manzoni che
ammonivano chi aveva ricevuto “in copia”, cioè in
abbondanza, a donare poi con volto amico. I ragazzi che vanno a scuola
tra i carcerati ci ricordano, con il Manzoni, che l'abbondanza non è da
intendersi soltanto sul piano economico ma anche umano. E questo patrimonio,
per fortuna, ancora abbonda dalle nostre parti: anche nei giovani.
Valerio
Vagnoli
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