Giorgio Ragazzini, “ilSussidiario.net”, 20 novembre 2024
Ci
preoccupiamo, a ragione, delle “fughe di cervelli” verso mete che offrono
maggiori occasioni di lavoro e migliori retribuzioni rispetto all’Italia,
soprattutto nella ricerca scientifica. Ma se l'istruzione ha l'enorme
importanza che tutti gli attribuiscono, non dovremmo chiederci cosa fare per
attirare verso l’insegnamento una parte dei migliori studenti che ogni anno
concludono il percorso scolastico?
Come
sappiamo, gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi d’Europa e
nettamente al di sotto anche della media Ocse: 31.000 euro annui contro 44.000
(fonte: “La Tecnica della Scuola”). Un loro consistente aumento dovrebbe quindi
essere una delle prime mosse per far crescere l’interesse dei “cervelli” per
l’insegnamento. È vero però che l’entità delle retribuzioni è fortemente
correlata a quella del Pil, il che non favorisce una rapida soluzione del
problema, se la ricchezza complessiva non aumenta significativamente. D’altra
parte, il paese in cui gli insegnanti godono probabilmente del maggior
prestigio è la Finlandia, che li paga più o meno come quelli italiani. L’insegnamento è infatti la
professione più ambita dai giovani finlandesi, che la antepongono a quella del
medico e dell’avvocato. La cosa si spiega con l’estrema selettività
dell’accesso ai corsi universitari che formano i docenti per i vari ordini di
scuola, che ne escono con un solidissimo equipaggiamento professionale. Oltre
ad aver acquisito un elevato livello di preparazione nella scuola superiore, i
candidati devono superare una prova scritta su temi assegnati in precedenza.
Seguono varie altre prove e dei colloqui per mettere a fuoco la personalità del
candidato e le motivazioni che lo hanno spinto verso questa scelta. Solo uno
ogni nove-dieci viene ammesso. È questa
la base dell’ottima reputazione di cui godono gli insegnanti presso l’opinione
pubblica e presso le famiglie in particolare. Quello che attira i ragazzi
finlandesi è proprio la prospettiva di entrare a far parte di un corpo
professionale qualificato e stimato, di trarre per questo soddisfazione dal
loro lavoro e di poter contare anche sul supporto di consulenti esperti quando
dovranno affrontare situazioni particolarmente problematiche.
È
necessario e urgente muoversi in questa direzione. Anche in Italia si dovrebbe diventare
insegnanti solo a certe condizioni, cioè avendo conseguito a scuola una solida
preparazione culturale e superando prove selettive per accedere a un percorso
rigoroso tanto dal punto vista teorico, quanto da quello applicativo (seminari,
simulazioni, tirocini).
Per realizzare un cambiamento del genere, si può puntare su
corsi universitari fin da principio orientati alla formazione dei docenti,
oppure dedicare alla formazione didattica il biennio dopo la laurea triennale. E
ovviamente si dovranno tenere nel debito conto le differenti “destinazioni” dei
futuri docenti (scuola dell’infanzia, primaria, media, superiori).
Verrebbero
così smantellati gli attuali meccanismi della formazione e del reclutamento che
generano numerose immissioni in ruolo di personale poco o per nulla verificato.
Le supplenze potrebbero essere affidate, almeno in parte, ai nuovi docenti come
tirocinio.
Ci
sono infine provvedimenti che già da oggi migliorerebbero, oltre alla qualità,
l’immagine della scuola. Tra questi, il più importante è garantire che tutti
gli studenti possano avere insegnanti sufficientemente buoni. In altre parole, togliere
dalla cattedra quelli effettivamente inadeguati o professionalmente scorretti,
che danneggiano gli studenti e la credibilità dell’istruzione pubblica.
Nel
2017 la Ministra Valeria Fedeli dichiarò, in un’intervista al “Sussidiario.net”,
che “l’inamovibilità
a fronte dell’incapacità non dev’essere più possibile”. Era la prima volta che
un ministro si esprimeva su questo problema. Purtroppo la legislatura finì
senza che l’argomento venisse affrontato in concreto.
Speriamo che se ne occupi il Ministro Valditara, che ha più volte sottolineato la necessità di “restituire autorevolezza e dignità” agli insegnanti; e in questa direzione ha già preso provvedimenti pienamente condivisibili come il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato per i docenti aggrediti e la forte rivalutazione della disciplina come condizione essenziale per il lavoro scolastico.
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