giovedì 25 novembre 2010

CODICE PATERNO E PRINCIPIO DI REALTÀ

In un articolo sul “Corriere della Sera” (I “no” che i padri devono saper dire), Paolo Di Stefano torna sulla crisi della figura paterna, che non è iniziata certo ai giorni nostri, dato che già nel 1963 la preannunciava lo psicoanalista Alexander Mitscherlich in Verso una società senza padre. La questione non è però confinata tra le mura domestiche. Si tratta della necessaria presenza nella società del principio (o codice) paterno accanto, e non contro, a quello materno, altrettanto necessario. Sono quindi in causa tutti gli altri ruoli educativi e gli insegnanti in particolare, il modo in cui la collettività nel suo complesso pensa alle nuove generazioni, la legalità come cardine del vivere civile.
Nella scuola domina largamente il codice materno, legato alla protezione e all’accudimento. E questo solo in parte per la netta prevalenza numerica delle donne, dato che, come ricorda Di Stefano, esistono per l’appunto molti “mammi” e non poche donne “con i pantaloni” (si diceva un tempo).
Il problema ricorrente delle occupazioni è stato quasi sempre risolto - o meglio accantonato - in modo “materno”: comprensione, indulgenza, larvata o aperta complicità, strizzatine d’occhio. Ma per crescere, specie a una certa età, si ha bisogno anche - e sempre più - del padre, anche dello scontro con adulti che il conflitto generazionale lo sostengano con fermezza ed equilibrio, senza inutili asprezze, ma senza rifuggire all'occorrenza dalla sanzione, come possono fare un insegnante o un preside consapevolmente "paterni". Ci si oppone, ci si differenzia, ci si definisce, si sperimenta la responsabilità. Magari utilizzando creativamente una varietà di modi, invece di ripetere all’infinito lo stesso copione, come nel rassicurante mondo infantile. Lo sottolinea molto efficacemente uno dei commenti alla nota precedente, firmato da Enio:

I nostri ragazzi liceali avranno mezzi legali per manifestare il loro pensiero e far conoscere il loro dissenso su qualunque tema talenti loro? A iosa! Hanno i blog, i gruppi di discussione, l’assemblea di classe mensile, quella di istituto; possono diffondere volantini, comunicati alla stampa, petizioni al Parlamento, al Governo, al Presidente della Repubblica. Possono chiedere supplementi di studio ai professori di storia, di filosofia, di lettere. Possono stendere testi, manifesti tazebao, pamphlet, aprire siti, costruire reti on line, manifestare e tenere cortei in forma autorizzata al di fuori dell’orario di lezione. Troppo facile. Bisogna invece ripetere ogni anno stancamente il rito dell’occupazione della propria scuola, prendersi un periodo sabbatico dalle lezioni, perché, sia chiaro, studiare affatica. Si diventa pallidi e assorti... Meglio bivaccarci nella scuola, organizzando goliardate, talvolta innocue, altre volte dannose. [...] L’indulgenza di mamma e papà è scontata: sono ragazzi, è un rito di iniziazione all’età adulta…

L’iniziazione, invece, era un incontro non più protetto con la realtà adulta: impegno, fatica, rischio, scelta consapevole, anche sofferenza (i riti di passaggio richiedevano preparazione, coraggio, spesso stoicismo). E a fare i conti con la realtà invita i giovani lo psicanalista Claudio Risé in un intervento sul “Mattino”. Non per caso l’autore è un teorico della rivalutazione del padre (Il padre assente inaccettabile, Il mestiere di padre). Invece di inseguire a tutti i costi il mito della laurea, spesso foriero di disoccupazione prolungata, bisogna valorizzare l’elasticità e la capacità di adattamento della mente giovanile, prendendo in considerazione altre vie per realizzarsi, per esempio l’artigianato, “storicamente importantissimo per la civiltà italiana e dotato di grandi possibilità per il futuro”.

GR

4 commenti:

Valerio ha detto...

Anch'io trovo molto bello l'intervento di Enio e mi permetto di aggiungere ancora una riflessione. La compiacenza di molti genitori nei confronti dei figli che "fanno l'esperienza" dell'occupazione nasce anche da certa loro immaturità, forse dall'essere ancora gorgianamente legati al ricordo della loro adolescenza che rivivono così nelle "imprese" dei figli. C'è, poi, in loro, certo "piccolo-borghese" disprezzo per la cosa pubblica, una sorta di qualunquistica avversione al dovere che taluni contrabbandano come impegno e che è solo anarchica posizione di rendita e di arroganza, che più di un acuto osservatore già colse in loro fin da quando erano ragazzi alla fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta. Infine gli assessori. Ha ragione da vendere Antonio! che direbbero se ogni anno gli studenti occupassero i loro assessorati e creando il caos quotidiano rompessero qua e là le suppellettili, o incatenassero le porte d'ingresso agli uffici di loro pertinenza? Avrebbero quella pazienza dimostrata dal mondo della scuola e dal collega Primerano che da anni sopporta nella TOTALE assenza delle altre istituzioni( in particolare proprio di quelle politiche e di quelle predisposte all'ordine pubblico) che della scuola si faccia sbraco?
Perché, per esempio, di fronte ad una manifestazione per la rivendicazione del posto di lavoro, magari alla presenza di poche decine di manifestanti, si nota spesso una presenza esagerata di forze dell'ordine e davanti alle scuole occupate si avverte , invece, la sensazione che queste si tengano volutamente alla larga?

Andrea Ragazzini ha detto...

Molti degli adulti (genitori, insegnanti, assessori…) che parlano a ogni piè sospinto di “dialogo” con gli studenti non sono consapevoli che questa parola è spesso, nella loro testa e nei fatti, un efficace sostituto eufemistico della parola “controllo”. Diventare adulti significa imparare a fare, eventualmente a sbagliare, di testa propria e assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Anche una trasgressione o una rottura delle regole può essere un modo di crescere, purché si metta nel conto di pagarne il prezzo. Nel caso delle occupazioni, la strategia degli adulti (genitori, insegnanti, assessori…), disposti a tutto pur di evitare il conflitto che inevitabilmente si crea se si oppongono a scelte sbagliate di figli, studenti, futuri elettori, prevede due varianti: il dialogo con la resa incorporata, cioè una finzione di dialogo (sul tema rimando al post precedente e ai relativi commenti); la resa immediata e senza condizioni, con cui si riconosce alla trasgressione o alla rottura delle regole la dignità di “diritto”. In un modo o nell’altro si cerca di restare “dalla parte dei ragazzi”, cioè letteralmente alle loro costole, e si esercita di fatto una forma di controllo, che certo non aiuta, anzi ostacola il conseguimento di una vera autonomia.

Papik.f ha detto...

1. Per quanto riguarda la questione delle occupazioni, anch'io trovo centrato e spassoso il commento di Enio. La mia esperienza personale, però, almeno in riferimento alle cosiddette "autogestioni" largamente diffuse alcuni anni fa, è che da parte di alcuni docenti, più che di dialogo e tolleranza, si potesse parlare di vera e propria attività organizzativa, seguita da commenti compiaciuti del tipo "per i ragazzi è stata una bella esperienza", "li ha fatti crescere", eccetera. Certo un buon numero dei docenti (e dirigenti) di questo orientamento ideologico è recentemente andata in pensione o è sul punto di farlo, e forse questa non è l'ultima ragione per cui ora si avvertono atteggiamenti diversi dall'una e dall'altra parte (dirigenti, docenti, studenti) e anche una maggiore conflittualità (che però non è necessariamente un male, almeno in confronto all'autorizzazione dell'illegalità da parte di chi dovrebbe insegnare a combatterla). Sembra però che alcuni politici e giornalisti fatichino ad accorgersi che l'aria sta cambiando.
2. Per quanto riguarda la questione dell'artigianato, più se ne parla più mi viene da sospirare sul triste destino che rischiano alcuni Istituti d'Arte e Professionali.
Sarebbe interessante occuparsi della questione. Prima che il patrimonio di competenze (da parte soprattutto dei docenti di laboratorio) e di attrezzature rischi di andare disperso, non si potrebbero incoraggiare gli Istituti ad avanzare delle proposte formative alternative (magari anche post-secondarie o per lavoratori, o che so io?). Sarebbe interessante anche un'indagine che consentisse di capire se e come questi Istituti si stanno organizzando per mantenere queste competenze, o se tendono a trasformarsi in Licei artistici tout-court.

Anonimo ha detto...

Serenella ha detto...
Se non si risolve completamente il problema disciplinare non è possibile pensare disperatamente ad alternative alla lezione come il laboratorio. Non è con laboratorio che si risolve il problema di ragazzi maleducati e svogliati. Si deve pensare di premiare chi lavora e di non farlo con chi non lo fa ed abituarli fin dalla più tenera età a studiare e a responsabilizzarsi.
Del resto qualunque lezione si può condurre contemporaneamente come lezione tradizionale e laboratoriale. Il laboratorio privo della sua parte teorica è solo un pasticciare sterile.
L'abitudine all'autocontrollo è da abbinare alla necessità di abituare i bambini e i ragazzi al lavoro e alla fatica di studiare. I compiti a casa sono una necessità pedagogica e non una velleità. Oltretutto c'è da dire sui compiti per casa che sono da considerare come un fattore imprescindibile della libertà d'insegnamento dei docenti.
Bisogna capirlo e certa pedagogia becera, di moda e fallimentare deve finirla di criticare gli insegnanti che lasciano i compiti per casa o che bocciano chi non merita la promozione.
Meglio diversi ragazzi costretti a fare la terza media serale piuttosto che la promozione con diploma a gente che non sa né leggere, né scrivere, né far di conto e che per giunta non ha autocontrollo e non è abituato a sudarsi la promozione che contribuisce a fare della nostra Italia un paese fallimentare e corrotto.
Un pensiero anche per la protesta studentesca attuale.
Una riforma che non ascolta insegnanti e studenti non rinnova nulla, ma conserva gattopardescamente il vecchio.
Si fa finta di buttare fuori i baroni e invece li si favorisce e inoltre si tagliano fondi per l'Università pubblica e si danno soldi alle private. Non vi sono garanzie nei provvedimenti che colpevolmente il Parlamento ha votato favorevolmente.Ricercatori e studenti vengono privati dei diritti e chi avrà genio dovrà necessariamente prendere la strada per i paesi esteri.