Lo scorso agosto ebbi occasione di scambiare qualche battuta con un ragazzo che faceva il cameriere in un agriturismo dolomitico. Disse di frequentare un istituto tecnico e che per raggiungerlo si deve alzare molto presto, dato che abita in campagna. Quanto alle vacanze, ci disse come se fosse un’assoluta ovvietà: “Che ci sto a fare tre mesi a casa senza far niente? Così vengo qui a lavorare”.
Mi è tornato in mente questo ragazzo così poco bamboccione nel leggere un articolo sul “Messaggero” di Antonio Lombardi, presidente dell’Alleanza Lavoro, l’associazione di categoria delle Agenzie per il Lavoro, che rievoca la sua personale esperienza di vacanze spese nell’imparare un mestiere (come raccomandano due detti della saggezza popolare: “L’ozio è il padre dei vizi” e “Impara l’arte e mettila da parte). Secondo Lombardi, la riforma dell’apprendistato, purtroppo molto tardiva, è una grande occasione per rilanciare uno strumento di grande utilità formativa per le nuove generazioni. E dovrebbe essere la scuola stessa a "reclamizzarne" la rinascita. Leggi.
2 commenti:
Pensate un po', mio padre non ebbe mai nulla da ridire sulla mia scelta di andare a lavorare durante le vacanze scolastiche, salvo pretendere che andassi a farlo da sconosciuti che non mi facessero sconti di sorta, perché ancor prima dei soldi il lavoro, per lui, mi avrebbe dovuto formare innanzitutto come uomo e cittadino. Anche le esperienze negative, sempre secondo lui, avevano i loro lati positivi; se non altro mi sarebbero servite per abituarmi a non subire le ingiustizie e a difendermi, in seguito, dagli arroganti e dagli sfruttatori. E m'insegnò ad evitare di mettermi in condizione di dover essere ripreso dagli altri che ne sapevano meno di me e a cercare d'essere competente e volenteroso, perché questo mi avrebbe reso più libero. Quando sui vent'anni mi vennero a casa ad offrire un posto in banca (agli inizi degli anni settanta nel paese in cui abitavo ero ancora, nella sua storia, il secondo diplomato di sempre) rifiutai e non fui biasimato. Lavorai anche alla catena di montaggio durante gli anni dell'università e nessuno, tantomeno lui, mi ha mai invitato a fare un mestiere che facesse fare i quattrini. Dignità e dignità è stato il pane quotidiano della mia formazione famigliare e quei lavori di ragazzo e di studente mi hanno dato la possibilità, a 23 anni, di essere completamente autonomo. Mentre lavoravo e studiavo, moltissimi miei coetanei giocavano a fare la rivoluzione (meno faticoso della catena di montaggio) e qualcuno e qualcuna di loro, purtroppo, ci ha pure rimesso la pelle. Capisco d'essere stato molto fortunato nell'aver avuta la possibilità di fare scelte del genere: molti miei compagni e molte mie compagne delle scuole elementari (capito bene, delle elementari) non si permisero neppure di scegliere, e il lavoro fu per loro una scelta obbligata. Ma quell'esperienza equivale, nella mia formazione di cittadino e di uomo, a tutto quello (e forse di più) che i due-tre grandissimi maestri della mia vita mi hanno dato; e provo una gran pena per quei ragazzi e per quei loro genitori che trovano più formativo il nulla delle giornate estive o dei fine settimane a "farsi divertire" tra uno sballo e l'altro, che non un lavoro attraverso il quale finalmente iniziare a mettersi alla prova con sé stessi e con gli altri.
PS: sulla fortuna di poter incontrare, nel corso della nostra formazione scolastica e umana almeno, un vero maestro, tornerò in seguito. L'argomento è importantissimo e troppo poco affrontato, forse perché oggi dei bravi maestri non se ne vedono molti.
V.V.
La vostra posizione sulla formazione professionale e in particolare ciò che da tempo Vagnoli sostiene, merita questa mia domenicale trascrizione di un articolo apparso un paio di settimane fa sul Corriere fiorentino e firmato da Luigi Testaferrata
" Prima che il vivere civile perdesse il ritmo e i valori antichi, la provincia era a disposizione dei giovani e i giovani a disposizione della provincia. Voglio dire che dovunque, a Empoli, a Montelupo, a Spicchio, a LImite, a Signa, a Scarperia, all'Impruneta c'erano scuole che si spalancavano, con tesori di discipline e di tardizioni, agli adolescenti apprendisti e c'erano folle di ragazzi disposti a frequentarle dal lunedì al sabato, dalle prime ore della mattina alle ultime della sera. Alcune, addirittura, rimanevano aperte anche di notte. E non perché ci fosse già l'abitudine di occuparle a ogni inizio di annata per una qualsiasi ragione "politica"( che era spesso la ragione di Pinocchio, l'amore per il dolce far nulla camuffato da impegno), ma perché la materia prima che vi si lavorava non poteva essere lasciata ghiacciare o seccare e averne cura era come stare dietro a un figliolo e attutire le fatiche del lavoro con una vita in comune che assomigliava alle "veglie" di una volta.
Parlo del vetro verde che diventava un fiume rosso e giallo nei forni delle vetrerie di Empoli ed era lavorato e soffiato dai maestri vetrai e dai loro allievi: e della creta di Montelupo e dell'Impruneta che aveva bisogno di un calore continuo per diventare miracoli di figure smaltate nelle mani dei formatori che ripetevano, nei momenti felici, la grazia dei Della Robbia. Ora i giovani apprendisti si fanno sempre più rari e i maestri invecchiano e muoiono. Soprattutto i giovani che dovrebbero faticare fino alle ore tarde del sabato preferiscono darsi alla movida, bere, fumare, sniffare: e correre sempre più spesso incontro alla morte. Credendo di essere emancipati, di contare più dei padri o nonni o bisnonni, di non essere i falsi campioni che si schiantano contro gli alberi delle strade o contro i primi osatcoli che la vita inevitabilmente prepara". Luigi Testaferrata
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