(Tratto da Gli otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz, pubblicato per la prima volta in lingua tedesca nel 1973. Trae origine da una serie di conferenze tenute da Lorenz nel 1970 per una radio di Monaco.)
"Il riconoscimento della superiorità gerarchica non è di impedimento all’amore. Tutti noi dovremmo ricordare che, quando eravamo bambini, le persone da noi predilette non erano quelle di rango uguale o inferiore al nostro, ma quelle che consideravamo superiori e a cui eravamo sottomessi. Quando ripenso al mio amico Emmanuel la Roche, di quattro anni maggiore di me e morto precocemente, capo indiscusso della nostra banda di ragazzi dai 10 ai 16 anni che egli dominava con autorità giusta ma severa, ricordo ancora con chiarezza come a lui mi legasse non solo un sentimento di rispetto e il desiderio di veder riconosciuto da lui il valore delle mie azioni, ma anche un profondo affetto. Questo sentimento era inequivocabilmente dello stesso tipo di quello che mi avrebbe legato più tardi a certi amici più anziani di me o a maestri che veneravo. Vedere nell’esistenza di un naturale rapporto gerarchico tra due uomini una frustrazione che diventa impedimento alla formazione di sentimenti affettivi è una delle colpe maggiori della dottrina pseudo-democratica.
Dove manca questa gerarchia non potrà esservi neppure la forma più naturale di amore, quello che normalmente unisce fra loro i membri di una famiglia. A causa di questo principio educativo della ‘non frustrazione’, migliaia di bambini sono diventati infatti dei nevrotici infelici. Come ho spiegato nei lavori già citati, il bambino che vive in un gruppo privo di struttura gerarchica si trova in una situazione del tutto innaturale. Infatti, non potendo reprimere la propria tendenza, programmata nell’istinto, ad assumere una posizione di grado più alto, egli tiranneggia i genitori indifesi e si trova costretto al ruolo di capogruppo, nel quale non è per nulla a suo agio. L’assenza di un ‘superiore’ più forte dà al bambino la sensazione di essere indifeso in un mondo ostile, sensazione giustificata in quanto i bambini ‘non frustrati’ non piacciono a nessuno. Quando, in stato di comprensibile irritazione, egli cerca di provocare i genitori e di attirare su di sé la loro collera (nel linguaggio corrente si dice che ‘si tira dietro gli schiaffi’), il bambino non incontra la risposta aggressiva che istintivamente attende e in cui inconsciamente spera, ma urta contro il muro di gomma delle frasi pacate e pseudo-razionali. Nessuno si identifica con un essere debole e sottomesso, nessuno è disposto a farsi prescrivere da lui le norme del comportamento e tanto meno a riconoscere come valori culturali quelli da lui venerati. Soltanto quando si ama una persona dal più profondo dell’anima, e al tempo stesso la si rispetta, si è in grado di fare propria la sua tradizione culturale.
Una simile ‘figura paterna’ manca evidentemente a una altissima percentuale dei giovani di oggi. Troppo spesso il padre naturale non è all’altezza del compito e l’insegnamento di massa nelle scuole e nelle università impedisce che egli venga sostituito dalla figura di un venerato maestro."
5 commenti:
Sul Corriere della Sera di oggi si può leggere questa citazione della Regola di San Benedetto: "Parlare e insegnare è una cosa che spetta sempre a chi ha il ruolo di maestro. Invece tacere e ascoltare si addice,sempre,a chi fa il discepolo." Audi et labora, si potrebbe dire, si tratta pur sempre di una didattica attiva.
Non feci in tempo a vivere il '68. Mi stavo laureando e non vedevo l'ora di finire per andare ad insegnare. Chi lo visse e vi partecipò pensò di distruggere i padri e i maestri, ma li sostituì con altri che si sarebbero rivelati padri e maestri ben più terribili e inaffidabili di quelli naturali.
Concludendo! è importante avere dei bravi maestri e dei bravi padri, ma è anche importante, pensando naturalmente ai primi, avere una certa intelligenza per poter fare scelte almeno oculate. Buon ritorno a scuola a tutti.
San Benedetto si riferiva ai monaci:
Ma San Benedetto , nella Regola, non fa dell’obbedienza il solo cavallo di battaglia. Egli non ama i monaci chiaccheroni e sfaccendati, e allora impone il silenzio come regola: “Parlare e insegnare appartiene al maestro, tacere e ascoltare spetta al discepolo”. Poi ancora: “Quanto a volgarità, parole oziose e provocanti al riso le condanniamo in ogni luogo…”. Il monaco, secondo San Benedetto, deve essere anche e soprattutto umile, e stabilisce una vera e propria scala di umiltà, che il monaco deve salire, con fatica, gradino per gradino.
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"Non esistono condizioni ideali in cui scrivere, studiare, lavorare o riflettere, ma è solo la volontà, la passione e la testardaggine a spingere un uomo a perseguire il proprio progetto."
Konrad Lorenz
Che fortuna fare il papà in Gran Bretagna
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