Avvertenza: una citazione non è una teoria e quasi mai può sostituire la lettura del testo in cui è inserita. Ha senso come invito a leggere un libro interessante o come spunto per una discussione sul tema, più che sulla lettera di affermazioni fuori contesto.
Il testo citato in questo caso è Elogio della disciplina, di Bernhard Bueb (Rizzoli), filosofo e teologo, a lungo preside di un famoso collegio privato tedesco. Il capitolo da cui è tratta la citazione ha un titolo anche più sconveniente di quello del libro: Per educare con giustizia bisogna essere disposti a punire.
Si propone questa lettura per mettere ancora una volta in discussione uno degli stereotipi meglio solidificati nella coscienza contemporanea: la falsa contrapposizione tra “educazione” e “punizione” (o del suo sinonimo un po’ meno indigeribile: “sanzione”), mentre questa è uno dei possibili strumenti di quella. Una contrapposizione che non vale solo a scuola o in famiglia (superfluo fare esempi), ma è dilagata in ogni angolo della società, tanto che la evocano non soltanto politici smaniosi di mostrarsi comprensivi , ma perfino molti tutori dell’ordine, pronti a giustificare così la loro inazione. (A chi gli faceva notare che molti ciclisti sfrecciavano pericolosamente senza luci davanti ai loro occhi nella zona pedonalizzata di Firenze, due vigili urbani risposero: “Eh, ci vorrebbe più educazione!”). Analoga benevolenza hanno riscosso per decenni e forse ancora riscuotono - l’elenco è incompleto - i “portoghesi” sugli autobus, gli italiani che non pagano il canone Rai (il 30%), i padroni dei cani che non ne rimuovono “le fatte” e i cosiddetti graffitari, che negli anni 70 un’enciclopedia per le scuole medie additava come esempi di insubordinazione a un ordine oppressivo. (GR)
“Non si possono mantenere la giustizia e l’ordine nella società senza ricorrere a delle pene: è un fatto inoppugnabile. Tuttavia nel mondo della pedagogia dall’inizio del XX secolo si è diffusa l’idea che l’educazione debba fare a meno delle punizioni, poiché esse generano angoscia e l’angoscia è nemica di ogni processo educativo efficace. L’educazione dovrebbe quindi riuscire a modificare il comportamento usando la comprensione[...]. La condanna dei castighi come strumento pedagogico incontrò più ampio favore nel tardo dopoguerra, perché le esperienze del nazionalsocialismo avevano gettato maggior discredito sulle punizioni. [...] A mio parere è necessario operare una distinzione tra angoscia e paura. I bambini devono poter crescere liberi dall’angoscia, ossia quello stato d’animo opprimente che viene provocato da minacce indefinite, mentre la paura è sempre riferita a qualcosa di concreto: punizioni ben chiare, quantificabili e dettate dalla sollecitudine generano nei bambini paura, non angoscia. Inoltre i bambini sanno affrontare la paura della punizione quando essa provenga da una persona affettuosa e sollecita, e anzi devono imparare a sopportarla, poiché fa parte del processo di crescita e di preparazione alla vita. Chi invece dubita della legittimità o dell’utilità dei castighi dovrebbe rendersi conto che le punizioni sono indispensabili anche nella vita degli adulti. A chi non è mai capitato in macchina di rallentare solo dopo che qualcuno gli aveva lampeggiato? Quanti bravi cittadini pagherebbero meno tasse del dovuto se non avessero paura delle sanzioni dello Stato? In generale dobbiamo riconoscere che un’educazione che non ricorra a delle pene pretende troppo da adulti e ragazzi. [...] I castighi offrono ai giovani sostegno e orientamento, quando tutti si sforzano di comportarsi in modo giusto.” (Bernhard Bueb)
Leggi anche la recensione del libro di Bueb uscita sul “Corriere della Sera” il 25 giugno del 2007: Ci ha rovinati Hitler. E il Sessantotto.
domenica 6 febbraio 2011
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2 commenti:
"Una giusta punizione salda ogni debito" (Il libro della Jungla)
"Per educare con giustizia bisogna essere disposti a punire.":........ bisogna essere disposti a perdere il consenso.
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