Fa discutere la lettera aperta di
alcuni prof a Renzi, pubblicata ieri dal "Corriere Fiorentino", sul
merito a rischio col decreto che riduce le bocciature. Le ragioni di favorevoli
e contrari.
EDITORIALE: SE OBAMA FA SCUOLA
di Gaspare Polizzi
Ieri alcuni rappresentanti del «Gruppo di Firenze
per la scuola del merito e della responsabilità» hanno inviato da questo
giornale un appello a Renzi in vista dell’emanazione del decreto legislativo
sulla valutazione scolastica. Il decreto sembrerebbe abbassare i requisiti di
impegno richiesti agli studenti. Se ne dovrebbe discutere nel merito. Vorrei
qui sottolineare un punto della lettera che ritengo centrale. Il richiamo al
«contributo di responsabilità e impegno degli allievi», che riecheggia una nota
frase di Obama: «Possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più
attenti e le scuole migliori: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre
responsabilità». Gli studenti, i giovani, non sono tutti uguali.
All’Alberghiero Saffi un’attenta platea di studenti maggiorenni ha ascoltato
Paolo Caretti e Carlo Fusaro, noti costituzionalisti, spiegare le ragioni del
«No» e del «Sì». «Abbiamo capito che bisogna leggere un po’ più cose per essere
in grado di dare questo voto». Una bella lezione di educazione civica. Un
esempio da diffondere, che dimostra come si possa discutere con attenzione del
referendum costituzionale, senza insultarsi a vicenda. Al Machiavelli Capponi e
al Galileo gruppi minoritari di studenti hanno messo in scena la solita vecchia
farsa delle occupazioni, senza rispettare il costituzionale diritto allo studio
e il democratico volere della maggioranza, e infrangendo senza remore la
legalità. Gli occupanti hanno attirato per qualche giorno l’attenzione dei
media e hanno ricevuto dichiarazioni di disponibilità di alcuni amministratori
e politici. A «Leggere per non dimenticare» Anna Benedetti ha presentato un
saggio di Filippo La Porta, Indaffarati,
che si distingue dal ben noto Sdraiati
di Michele Serra, perché coglie il chiaroscuro nelle nuove generazioni. Giovani
da un lato abulici, «sdraiati», disinteressati a ogni impegno culturale.
Dall’altro pieni di passione per le cause che li coinvolgono, per il
volontariato, per cooperare e condividere le proprie esperienze di vita, e sempre
«indaffarati» in tante attività.
«LASCIATE I VOTI E LE BOCCIATURE» FA DISCUTERE L’APPELLO A RENZI
di Lisa Baracchi
Voti e bocciature, è il caso di abolirli? Tra gli
insegnanti e i presidi c’è chi fa una distinzione forte tra la primaria e le altre
scuole, c’è chi li concepisce solo vincolati a precisi criteri condivisi. Ma un
concetto esce da ogni riflessione: voti e bocciature non possono essere
considerati punizioni, solo strumenti di formazione. Dopo la lettera
indirizzata al premier Renzi, pubblicata ieri su Corriere Fiorentino, scritta
dal «Gruppo di Firenze per la scuola del merito e delle responsabilità», il
dibattito è aperto, in vista del decreto legislativo sulla valutazione.
«Dobbiamo purtroppo constatare che anche questo provvedimento è ispirato al
principio base della pedagogia ministeriale degli ultimi decenni: facilitare
sempre di più il percorso scolastico, minimizzare o ridurre a un pro forma i
momenti di verifica», scrivono il dirigente dell’alberghiero Saffi Valerio
Vagnoli e altri docenti fiorentini.
La pensa come loro Gianni Camici, presidente
provinciale dell’Associazione nazionale presidi: «Non mi sembra ragionevole
togliere le bocciature, che alla scuola primaria, ma anche secondaria di primo grado sono solo una possibilità residuale. Il voto lo considero un fattore di chiarezza, certo deve essere dato secondo criteri spiegati e condivisi».
Viene invece considerato troppo sintetico e
riduttivo il voto numerico alle scuole primarie all’istituto Ghiberti, come
spiega la preside Annalisa Savino e la stessa riflessione la fa Lucia Bacci
dell’istituto comprensivo Compagni Carducci: «Alla scuola primaria il voto non
è formativo, i risultati negativi possono generare sfiducia, nuocere
all’autostima. Diverso è il discorso alla medie dove gli studenti hanno un’età
tale da comprendere che il voto serve a evidenziare i punti critici, che va
inteso come auto consapevolezza sul metodo di studio, in vista delle
superiori».
E se il voto numerico non fosse che una
«tradizione» comprensibile a tutti? Alessandro Bussotti preside dell’istituto
comprensivo Poliziano aggiunge: «È soprattutto il frutto di un lavoro sui
criteri condivisi dai docenti di quella materia e dai docenti dell’istituto,
deve essere chiaro cosa significa avere un 6 o un 8». Riflette sulla
possibilità di includere in una valutazione anche il progresso fatto il preside
del Marco Polo, Ludovico Arte: «L’essere arrivato da un 4 a un 6 ha un
significato diverso dell’essere rimasti a 6 anche se il voto sarà lo stesso»,
dice il dirigente che si trova d’accordo con una abolizione anche più estesa
delle bocciature: «Alla fine del percorso lo studente potrebbe avere un
certificato che indichi solo quali competenze ha raggiunto».
Interviene nel dibattito aperto dal «Gruppo di
Firenze» anche il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi contrario
alla logica del sei politico come anche all’abolizione per legge delle
bocciature. «Lettere o numeri, non fa molta differenza, quello che conta è la
“sensibilità” del contesto scolastico e il buon senso degli insegnanti, ma un
appello al buon senso deve essere indirizzato anche ai genitori: non si può
essere sempre sindacalisti e avvocati in difesa dei nostri figli. Renzi ha
ragione quando richiama al rispetto per il ruolo degli insegnanti».
A difendere il decreto legislativo a cui si
riferisce il «Gruppo di Firenze» è la senatrice Francesca Puglisi, responsabile
della commissione scuola del Pd: «Non si intende ridurre a un “proforma” i
momenti di verifica scolastica. Anzi, crediamo che la valutazione debba essere
un momento di formazione di ciascuno studente». Ma la valutazione «deve
attestare i livelli di conoscenza raggiunti senza limitarsi a “registrare” i
successi o gli insuccessi». Puglisi attribuisce la perdita del rispetto sociale
per gli insegnanti anche ai messaggi sbagliati dati in passato «in pasto»
all’opinione pubblica. «Ricordate? “Con la cultura non si mangia”, “Signorina,
sposi un uomo ricco e sarà felice”, gli “insegnanti fannulloni” — continua
Puglisi. Matteo Renzi, nel recente viaggio a Washington, ha voluto portare con
sé le eccellenze italiane per dimostrare ai nostri ragazzi che con l’impegno
rigoroso e la fatica nulla è impossibile». Infine l’invito: «Il decreto
legislativo non è ancora chiuso — dice la senatrice — aspettiamo anche la
proposta del “Gruppo di Firenze” per migliorarlo».
«HO RIPETUTO L’ANNO, ME LO MERITAVO E MI RIMISI IN
RIGA»
di Giulio
Gori
«Sono stato bocciato in terza liceo. Ma anche se
sul momento pensai che era stata colpa dei professori brutti e cattivi,
ovviamente me lo ero meritato». Il giornalista fiorentino Nicola Remisceg
sorride al ricordo di quella bocciatura, cui andò incontro quando studiava al
liceo scientifico Gramsci, in via del Mezzetta. E oggi, a distanza di molti
anni, con due figli al liceo, l’autore e videomaker del programma televisivo Le
Iene ripensa a quell’episodio e ammette che una parte del suo successo è nata
proprio da lì. Fu una bocciatura giusta?
«La presi male, ma i miei professori fecero bene:
non studiavo, anzi non avevo mai studiato, e in terza fu un po’ l’anno clou. A
maggio smisi persino di andare a scuola. Poi quello stop mi è tornato utile».
Come?
«Il giramento di scatole nel vedere i miei ex
compagni che andavano avanti, mentre io restavo indietro, mi ha messo fretta:
mi sono messo in riga ed è stato tutto più facile, mi sono diplomato senza
problemi». Dopo il diploma, è arrivata anche la laurea.
«Sì, in antropologia culturale. Ma c’è un altro
aspetto: quando ripetei la terza, per un anno campai di rendita, in classe si
facevano tutte cose che avevo già sentito. E avevo più tempo. Fu allora che
cominciai a divertirmi facendo i miei primi video, le mie prime video storie.
Lì è nata quella passione…».
Una bocciatura come trampolino di lancio, per
arrivare fino a Le Iene… «Non è comunque bello perdere un anno, specialmente a
quell’età. All’università è più facile, lo assorbi meglio. Ne avrei fatto
volentieri a meno». E oggi è ancora giusto bocciare?
«Io ho due figli che vanno al liceo, non auguro
loro di fare la mia stessa fine. D’altronde hanno risultati un po’ altalenanti,
ma vanno benino. Non dovrebbero essere a rischio, o almeno lo spero».
La politica ora si interroga sull’opportunità di
eliminare la bocciatura. Non è la strada da prendere?
«Sarebbe sbagliato eliminare le bocciature: quando
inizi un percorso gli obiettivi vanno raggiunti; se non lo fai, è normale che
tu debba ripartire dal punto di partenza. È così che funziona nella vita».
E se i figli si lamentano degli insegnanti, di chi
è giusto prendere le parti?
«Del professore, sempre. Io sono figlio di una
maestra, che viene da una dinastia di maestre: ho imparato che l’insegnante va
rispettato, ho visto la passione che ci metteva, lei, le sue sorelle, mia
nonna... E se un professore ti dà un 4 vuol dire che te lo sei meritato».
Quando inizi un percorso gli obiettivi vanno
raggiunti, se non lo fai è normale che tu debba ripartire dal via. È la vita.
«MEGLIO CAMBIARE, CONTA IL LEGAME TRA PRIMI E ULTIMI»
di Carmela Adinolfi
Nevio Santini, 68 anni, è un ex allievo di don
Lorenzo Milani. Uno di quei tanti ragazzi che a partire dagli anni ‘50
animarono e si formarono alla scuola di Barbiana. La scuola dell’«I care»,
tradotto del «Mi sta a cuore»: il motto che contraddistingue quell’esperienza
didattica e pedagogica, nata e maturata a Vicchio, nel Mugello, dove don Milani
arrivò nel 1954. Una scuola dove al posto dei compiti c’era la scrittura
collettiva, dove invece delle punizioni e della bocciature ci si allenava al
dialogo.
Santini, alcuni docenti fiorentini hanno fatto
appello, dalle pagine del Corriere Fiorentino al presidente del Consiglio
Matteo Renzi affinché riveda le misure — abolizione alle primarie e riduzione
alle medie delle bocciature, un numero minore di prove finali — previste nel
decreto legislativo sulla valutazione scolastica.
«Peccato. Io per ora vedo di buon occhio questo
decreto. Mi sembra un passo, il primo, verso un modello di scuola diverso».
Presidi e professori sostengono che eliminando i
voti e la possibilità di bocciare si fa un danno sia ai ragazzi che ai docenti.
«Perché hanno una concezione sbagliata della
bocciatura. Basta cambiare paradigma. Ogni volta che si boccia un ragazzo non
si compie un atto negativo solo nei confronti del destinatario del
provvedimento ma del gruppo classe all’interno del quale è inserito». Cosa
intende?
«Vede, la missione di ogni insegnante, così come lo
intendeva don Milani, non è preoccuparsi del primo ma dell’ultimo e insegnare al primo della classe — il secchione lo
chiameremo oggi — ad aiutare il compagno che è rimasto indietro. Bocciandolo,
il professore non permette ai ragazzi di comprendere il valore dell’aiuto
reciproco».
La bocciatura impedisce di misurarsi con il valore
della solidarietà?
«Sì, in sostanza è così. Agli svogliati devi dare
uno scopo, così vedrai che si appassionano, ripeteva don Milani». Quindi non è
un metodo educativo? «No, affatto».
In una scuola che spesso si trova a dover gestire
le ingerenze dei genitori e le sentenze della magistratura, alcuni docenti
pensano che questo decreto possa contribuire a deresponsabilizzare i ragazzi. È
un pericolo reale?
«No, non credo. È vero che la scuola è cambiata. E
insieme ad essa i rapporti tra insegnanti e genitori. Ma i ragazzi, in fondo,
sono sempre gli stessi. I professori devono agire pensando di avere davanti
delle anime a cui mostrare il mondo. Un po’ come faceva il don Lorenzo».
La missione di ogni insegnante, come diceva don
Milani, è insegnare al primo ad aiutare chi è rimasto indietro.
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