Non è ancora del tutto chiaro quali
cambiamenti comporterà l’attuazione dell’autonomia «differenziata» chiesta da
Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma non mancano i timori, avanzati da più
parti, di disparità radicali tra le regioni, a cominciare dalle risorse
disponibili. Per quello che riguarda la scuola, in attesa di sapere che esito
avrà il complesso iter della riforma, è senz’altro possibile fin da ora
sottolineare che deve essere in primo luogo salvaguardata, attraverso i
programmi scolastici, la già indebolita identità nazionale, evitando che venga
meno la condivisione di troppa parte del patrimonio culturale che ne è la base.
A partire dalla stessa lingua che, specie in certe regioni, potrebbe venire
emarginata a vantaggio dei dialetti. Quanto alla formazione professionale, fin
dal testo originale della Costituzione si tratta di materia regionale. Il
sistema trentino da anni in questo offre risultati eccellenti e certamente sia
il Veneto che la Lombardia lo hanno ben studiato e giustamente cercano di
applicarlo almeno in parte. È possibile che la nuova situazione consenta loro
di spingersi oltre, per esempio verso la creazione di un unico contenitore in
cui confluiscano una parte degli istituti professionali e la formazione, come
appunto ha fatto negli anni scorsi la provincia autonoma di Trento. Non
gioverebbe, come molti rivendicano, accentuare l’autonomia delle scuole, perché
quello che non le fa funzionare non sono tanto le norme, quanto la mancanza di
un «governo» basato su dirigenti liberati dalle troppe incombenze burocratiche
e amministrative e affiancati da docenti — almeno in parte liberati
dall’insegnamento — che abbiano forti competenze progettuali e organizzative.
Sia chiaro, nessuno vuol santificare l’attuale sistema scolastico nazionale,
per molti aspetti inadeguato e gestito per decenni sostanzialmente come
ammortizzatore sociale, trascurando il rigore della selezione dei docenti. Per
tanti politici l’operazione di demandare tutto alle scuole è stato un
capolavoro di furbizia, uno scaricabarile di compiti prima affidati agli uffici
periferici, che ha oltre tutto evitato la necessità di creare altri spazi e
altre attività educative per i ragazzi e i giovani al di fuori del contesto
scolastico. E i ministri, anziché occuparsi di cambiare solo le formule
dell’esame di maturità, avrebbero dovuto assumere e formare ispettori che
abbiano la possibilità di cacciare dirigenti e docenti incapaci e disonesti.
E ancora, come amministrare le scuole
autonome se la stragrande maggioranza dei direttori amministrativi ricopre
l’incarico senza averne titolo e molte volte le capacità? Infine, i poteri
locali, che pur ne hanno piena responsabilità, si sono forse interessati in
questi decenni di costruire scuole che si diversificassero dai principi
architettonici con cui si sono costruiti i «nuovi» penitenziari? Senza
responsabilità (e dunque senza controlli e valutazioni) non può esistere
autonomia utile e produttiva: e basti pensare, tra i tanti fenomeni che lo
dimostrano, al prosperare dei cento e lode in zone in cui i risultati delle
indagini nazionali e internazionali certificano rendimenti scolastici che in
negativo non hanno eguali tra i paesi Ocse. Ma da qui ad appropriarsi della
gestione da parte delle regioni dell’intero sistema scuola ce ne corre, perché
una scuola della nazione è indispensabile. Per molti versi c’è ancora da «fare
l’Italia» e da costruire la sua scuola: di massa s’intende, che se non è di
qualità serve a poco. Neanche ad aiutarci a costruire una solida unità
nazionale, irraggiungibile attraverso un sistema scolastico diverso, appunto,
da regione a regione.
Valerio
Vagnoli
Editoriale
del “Corriere Fiorentino”, 16 febbraio 2019
5 commenti:
Il danno è stato fatto vent'anni fa con l'introduzione dell'autonomia. Eventuali passi in più nella stessa direzione non causeranno grandi peggioramenti. Bisognerebbe avere il coraggio di tornare indietro. Ma si sa che una delle caratteristiche della modernità è l'incapacità di riconoscere i propri errori, che vengono anzi difesi a oltranza pur nella consapevolezza interiore che di errori si tratta.
Se lo scopo delle regioni fosse il controllo della formazione professionale sarebbe la scoperta dell'acqua calda. Le regioni vogliono fare adesso quello che potevano fare e non hanno mai fatto. Infatti non c'è mai stata una scuola regionale come esiste una scuola statale. La formazione regionale era già competenza delle regioni nella costituzione del 1948: tanto rumore per nulla!
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