“ilsussidiario.net”, 30 aprile 2019
Fra
chi oggi scrive e parla della scuola molti insistono in modo perentorio sulla
necessità di abbandonare metodologie considerate vetuste per abbracciarne di
nuove più in sintonia con i ragazzi di oggi. E nei decreti e nelle ordinanze
ministeriali ritorna periodicamente il tentativo (illusorio) di costringere gli
insegnanti a cambiare la didattica per
via burocratica, per esempio obbligandoli a riempire schede prolisse e spesso
astruse, oppure abolendo i voti e sostituendoli con lettere e giudizi
analitici.
Una
particolare acrimonia viene riservata alla “lezione frontale”, che, oltre a
venire dipinta come intrinsecamente noiosa e irrelata, viene vista dai più
accaniti come testa d’ariete di un’impostazione “trasmissiva” della scuola.
Aggettivo che, a essere benevoli, si comprende come rivolto alla sola modalità
didattica e relazionale; a esserlo un po’ meno, sembra indicare proprio il
rifiuto di trasmettere ai ragazzi il patrimonio culturale di una nazione, cioè
la sua identità. Partendo dalla seconda accezione, il filosofo e insegnante
liceale François-Xavier Bellamy ha scritto qualche anno fa I diseredati, ovvero l’urgenza di trasmettere, un saggio acuto e appassionato
sull’irrinunciabile compito delle società occidentali di tramandare la propria
eredità culturale, contro l’idea che “ogni ragazzo possa produrre da sé il
proprio sapere”.
In realtà è necessario che ogni docente, oltre a superare una
selezione iniziale che ne accerti anche motivazioni e attitudini, conosca vari
approcci didattici, in modo da adottare quelli più utili a seconda degli
argomenti, oltre che per evitare una possibile monotonia nell’insegnamento.
Come i medici non hanno una sola medicina per tutti i mali, così gli insegnanti
dovrebbero disporre, oltre che di una solida conoscenza disciplinare, di una
varia attrezzatura metodologica. Per questo motivo, più che di “innovazione” della didattica e,
peggio ancora, di “rivoluzione”,
sarebbe meglio parlare di “arricchimento" della
didattica come impegno ordinario di ogni insegnante.
Del resto la libertà metodologica, che viene garantita dalla
Costituzione e dalle leggi, si basa anche su solide motivazioni psicologiche,
dato che lo stile con cui si insegna ha a che fare con la personalità del
docente, con i suoi punti di forza, i suoi limiti, le sue capacità relazionali.
In parole povere, è normale che ci siano delle preferenze individuali in fatto
di metodo. E di fronte a nuove proposte didattiche deve essere libero (direi
“in scienza e coscienza”) di accettarle, tralasciarle, modificarle secondo un
unico criterio: quello di sentirsene potenziato. Purtroppo è frequente sentir
fare la caricatura di un metodo nel caldeggiare l’adozione di un altro. In un convegno
dell’anno scorso una relatrice esclamò sarcasticamente a proposito dell’interrogazione:
“Come godiamo noi insegnanti quando sentiamo ripetere parola per parola quello
che abbiamo detto!” E sul sito dello stesso convegno c’era anche la spiegazione
del metodo della “classe rovesciata”, basata sul confronto con una lezione frontale.
Quest’ultima era esemplificata da una situazione in cui, mentre il docente
parla alla lavagna, c’è un allievo che scarabocchia, un altro che pensa ad
altro e così via. Ma veramente qualcuno può negare che una lezione di quel tipo
può essere chiara o confusa, noiosa o affascinante? Del resto anche sulla
lezione frontale ci si può aggiornare per essere più efficaci.
Il confronto tra
pari
A proposito della possibilità di “arricchire” il bagaglio
metodologico, una possibilità trascurata dalla scuola italiana soprattutto nel livello secondario è il metodo seminariale.
L’aggiornamento
è considerato
esclusivamente o quasi una relazione tra chi sa (l’esperto) e chi deve imparare. Il seminario, basato su un rapporto paritario tra i
partecipanti, è invece tipico delle professioni. Riconoscendosi e sentendosi riconosciuti come esperti ci si arricchisce e
ci si motiva vicendevolmente. Ha scritto George Bernard
Shaw: “Se io e te abbiamo una mela ciascuno e ce le scambiamo, abbiamo sempre
una mela ciascuno; ma se ognuno di noi ha un’idea e ce le scambiamo, allora
abbiamo due idee ciascuno”.
È facile immaginare quante competenze, esperienze riuscite, soluzioni inedite vanno perdute nella scuola
in assenza di occasioni di confronto, mentre potrebbero essere fatte utilmente circolare
attraverso un frequente scambio di idee. Il che ovviamente non impedisce di
partecipare ad altre occasioni di aggiornamento in base alle proprie specifiche
esigenze e curiosità. Questa modalità, oltre a tutto, faciliterebbe la
formazione di quel senso di appartenenza a una comunità professionale della cui
mancanza ci si lamenta spesso. Per promuovere questa pratica sarebbe utile
formare come conduttori alcuni docenti per ogni scuola (basta qualche ora), mettendoli
in grado di facilitare il lavoro comune e di provvedere all’organizzazione e,
volendo, a una qualche forma di documentazione degli incontri. Sono peraltro
competenze utilissime per rendere più efficaci anche altri tipi di riunioni
scolastiche, troppo spesso caratterizzate da confusione, inconcludenza, perdita
di tempo.
Giorgio Ragazzini
3 commenti:
È legale abolire le note sul registro alle elementari? Se un bambino picchia un compagno o risponde male cosa succede?
Come è possibile impedire la registrazione di fatti disciplinari co una legge?
Grazie.
V.
Vishnu : E' legale ciò che la legge delibera. Se essa decide che rispondere male o picchiare un compagno non sia più un " reato", questi comportamenti diventano " legali". Semplice, no?
Quanto all' articolo di Giorgio Ragazzini, lo trovo del tutto condivisibile. La didattica non è una scienza esatta, non può stridere con le tecniche e le idee dell' insegnante che la deve applicare. La formazione in servizio tra pari, il confronto e lo scambio. Sono tutte idee efficaci e immediatamente convincenti...se non fossimo in un mondo alla rovescia.
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