In questi giorni si stanno svolgendo gli esami
di Stato previsti al termine delle scuole superiori. Sono state apportate
diverse modifiche rispetto all’anno precedente. Quella che ha suscitato più
critiche è stata la cancellazione, tra le prove scritte, del tema di Storia. E infatti
quando se ne venne a conoscenza ci furono diverse proteste, compresa una
raccolta di firme in calce a un manifesto promosso dal quotidiano “La
Repubblica”, sottoscritto tra gli altri dalla senatrice Segre, da Andrea Camilleri
e da altri cinquantamila cittadini.
Per il Ministero della Pubblica Istruzione il
motivo di tale decisione è stato lo scarsissimo appeal che la prova aveva dimostrato presso i maturandi (solo l’1 per
cento svolgeva quel tema) e l’improponibilità di temi astrusi e lontanissimi
dalla sensibilità moderna dei giovani, poco inclini a interessarsi dei problemi
del confine orientale d’Italia tra il 1945 e il 1954, del Patto di Londra del
1914 o della costruzione del muro di Berlino nel 1961.
Al termine della prova di Italiano i difensori
della scelta ministeriale hanno risposto alle critiche, facendo notare che la
storia era praticamente presente in tutte le tracce: direttamente in quelle
sull’eredità del Novecento e sul nesso tra sport e storia; affiorava in quella
su una poesia di Giuseppe Ungaretti,
in un brano di Leonardo Sciascia e in quello tratto da un libro di
Tomaso Montanari; si poteva commentare un passo del libro di Sloman e Fernbach L’illusione della
conoscenza a partire da un episodio della Guerra Fredda; e perfino nella traccia sul Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa si poteva
azzardare qualche riferimento storiografico.
La domanda più importante da porsi però è quale
peso hanno le discipline storiche nella formazione culturale delle giovani generazioni
durante l’intero corso di studi, al di là del loro momento conclusivo (e per
inciso si può notare che nessuna delle tracce di quest’anno riguarda periodi di
storia del nostro Paese o dell’Occidente anteriori al Novecento). Non è
soltanto un problema di quantità, di numero di ore curricolari, ma soprattutto di
qualità, cioè di conoscenza soprattutto dei principali processi storici che
hanno portato all’Italia e all’Europa di oggi. Personaggi, guerre, lotte per il
potere hanno contrassegnato per secoli l’esistenza dell’umanità. Vanno studiati
nella loro concretezza, senza pregiudizi ideologici o moralistici, nella
consapevolezza che solo con la piena conoscenza del passato si può provare a
capire il presente.
Se nella scuola attuale era forse giusto abbandonare
la triplice ripetizione dell’intero percorso storico (prima alle elementari,
poi alle medie e infine alle superiori, in maniera ovviamente diversa), oggi abbiamo
un eccesso di valorizzazione del contemporaneo, a scapito della memoria del
passato e della storia mondiale rispetto a quella italiana ed europea. Questo non
garantisce agli studenti una sicura formazione culturale e rischia anzi di
farne una facile preda delle fallaci e spesso manipolatorie informazioni dei
social network.
Riaffermare la centralità della Storia non è
dunque questione di un’ora in più o di un tema “astruso” che può comparire
nelle buste d’esame. Significa semmai riaffermare il fondamento epistemologico
di una disciplina con i suoi specifici contenuti; e in cui sia presente anche il
confronto fra le più accreditate interpretazioni degli studiosi sui principali
temi storiografici. Una disciplina, infine, che in tempi di una necessaria
educazione alla cittadinanza contribuisca alla costruzione dell’identità dei
nostri giovani, con la consapevolezza del loro essere in un tempo e in un luogo
della storia umana.
Sergio
Casprini
Già pubblicato come editoriale sul sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento
(http://www.risorgimentofirenze.it/)
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