lunedì 2 agosto 2010

FORMAZIONE PROFESSIONALE E ARTICOLO 3 DELLA COSTITUZIONE

“Non permetteremo a nessuno di abbandonare l’istruzione nel primo biennio delle superiori”: è una frase risuonata più volte in convegni e documenti in cui si parlava, esaltandolo, del modello toscano relativo all’assolvimento dell’obbligo.
Confesso che l’affermazione sarebbe da brividi, se non conoscessi personalmente la buona fede e la vera passione educativa di alcuni di coloro che la fanno propria. Il mio disappunto nasce non solo dalla constatazione diretta dei danni che una scelta del genere provoca negli studenti (bocciature, abbandoni, frustrazioni, disagi di ogni tipo), ma anche dal ritenere la formazione professionale, contrariamente agli assertori di tali certezze, un percorso di pari dignità e di pari valore formativo ed educativo rispetto a quello dell’istruzione, se non addirittura superiore, se è vero che spesso è in grado di recuperare ragazzi demotivati, perché costretti a percorrere il canale dell’istruzione, mentre avrebbero voluto impegnarsi in una scuola incentrata sul “fare” e veramente rispondente ai loro interessi.
Una conferma a queste mie convinzioni mi sembra provenga dalla stessa Costituzione italiana, che all’art. 3 sancisce il diritto di ciascun cittadino a vedere rimossi tutti gli ostacoli che di fatto “... impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Ciò significa che ciascuno ha il sacrosanto diritto di veder riconosciute e valorizzate le proprie personali predisposizioni, che derivano da un’infinità di fattori, a partire dal proprio passato, dalle tradizioni familiari, dalla condivisione affettiva della prima visione del mondo con i propri coetanei e ovviamente dalla stessa esperienza scolastica.
Il volere a tutti i costi imprigionare un ragazzo per due anni in una struttura che egli disprezza o subisce passivamente, in una età in cui avrebbe invece bisogno di incoraggiamento e di autostima, mi sembra derivare da una sorta di compiaciuta personale convinzione che il futuro è migliore se sarà come lo vogliamo noi, senza curarci affatto del rispetto dovuto ad un ragazzo che vorrebbe finalmente iniziare a determinarlo, questo suo futuro, anche in virtù delle proprie scelte ed attitudini. Una convinzione che non sembra avere neanche molto rispetto per la stessa Costituzione, che sempre all’articolo 3, afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”, indipendentemente dal lavoro che svolgiamo e dalla diversa cultura che caratterizza ciascuno di noi. Forse, a questo proposito vale la pena di ricordare che la cultura considerata alta non contribuì più di tanto a far prender “coscienza” politica agli intellettuali italiani durante il fascismo, se solo 12 fra questi si rifiutarono di giurare fedeltà al regime scegliendo l’esilio insieme a migliaia di operai, contadini e artigiani.
Ma torniamo alla domanda di fondo: a quattordici anni è presto per far fare ad un ragazzo una scelta che già prefiguri la costruzione di una parte del proprio domani? Se così fosse dovremmo allora anche impedirgli di scegliersi un indirizzo liceale (che peraltro è spesso definitivo) o un indirizzo tecnico, di guidare un motorino o una mini-car e tutte le altre cose che diamo per scontate ai nostri ragazzi e che pur sono così tanto significative per la loro formazione! A 14-15 anni siedono sui banchi del Consiglio d’Istituto, delle Consulte provinciali e regionali e molti educatori e politici vorrebbero, per responsabilizzarli, anticipare il diritto di voto ai sedici anni. Ai ragazzi si consente quasi tutto: si permette lo spinello, la birra anche in grandi quantità, la discoteca per notti intere, i pomeriggi a zonzo, il far parte di bande di impuniti o di associazioni di ultras violente, la visione di programmi televisivi di inaudita stupidità e volgarità, il viaggiare liberamente su siti pieni di ogni nefandezza o di rischi di ogni genere. L’unica scelta che gli viene impedita è il percorso di formazione professionale. Eppure è solo entrando in comunicazione con quello che siamo chiamati a fare che si comincia ad apprendere, ed è pertanto assurdo che si obblighino dei ragazzi a rimanere irretiti per uno-due anni in attività che non amano (per usare un eufemismo), negandogli di imboccare la strada che è loro più consona.
Insomma, in barba alla Costituzione, le istituzioni - in questo caso la Regione Toscana, ma non è la sola fra le regioni italiane - anziché rimuovere gli ostacoli che impediscono ai giovani di costruirsi la propria personalità, contribuiscono ad imprigionarla e a tarparla, proprio nell’età che rivendica una maggiore autonomia e magari anche il diritto di sbagliare. Diritto che, come Propp ci insegna, rappresenta la più antica strada che ogni ragazzo dovrà pur prendere per crescere e magari per ricominciare daccapo il proprio cammino. Tanto meglio se sarà quello scolastico insieme all’amore per la cultura, che potrà ritornare se siamo riusciti a non fargliela disprezzare per sempre, perché è innegabile come una buona cultura serva, se non altro, a migliorare la qualità della vita, purché, ripeto, sia buona cultura, intendendo per buona quella che non viene utilizzata dagli uomini per renderli presuntuosi come invece spesso avviene, soprattutto se a scuola hanno masticato una percentuale maggiore di cultura umanistica rispetto a quella scientifica e tecnico-pratica.
Se un ragazzo desidera confrontarsi piuttosto con attività pratiche che non con percorsi riconducibili esclusivamente all’istruzione, seppur corroborata da elementi di laboratorialità, dovrebbe essere incoraggiato e aiutato a trovare anche in quella dimensione le ragioni della propria esistenza e del proprio futuro. Invece, anche quando questo desiderio è forte e può contare sul pieno e convinto sostegno delle famiglie, la legge non lascia scampo nella sua rigidità da grida seicentesca, se non quello, appunto, di trasgredirla al pari di quanto avveniva nel contesto storico-sociale che fa da sfondo, a proposito di gride, al romanzo del Manzoni. Potrei raccontare scene grottesche sulla reazione di alcuni genitori increduli rispetto all’impossibilità di ritirare i loro figli da scuola per avviarli al lavoro presso amici artigiani disponibili ad insegnargli un mestiere; molti di loro alla fine lasciano intendere che autorizzeranno i figli ad una frequenza episodica, abbandonando definitivamente qualsiasi ulteriore sforzo per convincerli a frequentare la scuola.
Il successo formativo, se non vogliamo accontentarci di percentuali altissime di evasione scolastica, con conseguenti fallimenti di ogni tipo, come abbiamo già visto, è assolutamente da perseguire anche al di fuori del percorso scolastico. Quest’ultimo potrà assicurare una buona cultura astratta, ma l’altro assicura a chi lo sceglie, innanzitutto dignità, e gli impedisce di diventare una pessima persona scontenta, probabilmente per tutta la vita, di sé e degli altri. È davvero singolare che si auspichi, da parte di chi ha a cuore il destino dei giovani, il loro successo formativo, senza neanche pensare che nessun essere umano potrà mai vivere con successo il raggiungimento di un obiettivo che non gli appartiene!
L’articolo 3 della Costituzione viene pertanto disatteso da coloro che, in nome del bene del prossimo, ne finiscono invece per limitare le libertà di scelta relative al proprio futuro e alla propria formazione di cittadino e di individuo. Così, impedendo ai ragazzi di “scappare” dai primi due anni di scuola delle superiori s’impedisce, di fatto, il pieno e autonomo sviluppo della loro personalità, dimostrando in definitiva una visione dello Stato come una sorta di tutore dei cittadini, invece che come garante delle loro libertà! Di cittadini, per di più, particolari come lo sono i ragazzi a quattordici anni, quando, nella nostra prima età, come ci ricorda Leopardi, l’attrazione irresistibile per ciò che vorremmo essere e il rifiuto netto per quello che vorrebbero gli altri si fosse, diventa il primo vero conflitto esistenziale importante nella nostra vita.

Valerio Vagnoli


E INTANTO LE AZIENDE DANNO LA CACCIA (SPESSO INVANO) A 34 FIGURE PROFESSIONALI

Un articolo che conferma in pieno dal punto di vista del mercato del lavoro quanto noi sosteniamo guardando prevalentemente all'insuccesso scolastico di troppi ragazzi e alle crescenti difficoltà degli insegnanti nel fare scuola, soprattutto all'interno degli istituti professionali. Leggi

5 commenti:

Anonimo ha detto...

ancora una volta, almeno per un pò di anni, ci salveranno i barbari, gli stranieri. Siamo alla frutta, mi sembra proprio evidente.

Anonimo ha detto...

Sono talmente poche le persone che dimostrano di avere a cuore il futuro delle nuove generazioni ed in particolare di quella miriade di giovani che non ha la fortuna di poter contare su famiglie materasso pronte ad assorbire tutti i colpi,che varrebbe la pena ascoltarle con maggior attenzione non tanto dai politici quanto dalle famiglie stesse.In Italia si fanno pochi figli e anche quei pochi sono spesso allo sbando, le famiglie infinocchiate da falsi miti di successo non costruiscono il loro bene ma ò molto difficile fargli aprire gli occhi.

Anonimo ha detto...

Insegno alle medie da decenni ma non ho mai sentito parlare, nell'orientamento, di formazione professionale pur attivando, la mia regione, corsi professionali di ogni tipo. E' la spia di quanto voi sostenete e di come le attività manuali siano considerate umili e umilianti anche da parte delle famiglie più povere. Non è un bel risultato ne' un segno di sviluppo del pensiero democratico. Dispiace che sia soprattutto la sinistra ad aver condizionato una mentalità di questo tipo. Scrive inoltre chi mi precede che ad infinocchiare le famiglie, i miti del successo e del denaro facile hanno fatto il resto.

V.P. ha detto...

“Il mio diploma è inutile come avere la terza media”

Anonimo ha detto...

La formazione è una fabbrica di precari