Sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia è tornato ieri sul problema del merito a proposito della fuga dei cervelli dal nostro Paese. Come molti sanno, Della Loggia è stato uno dei firmatari del nostro appello a favore del merito e della responsabilità, un tema che gli è caro e che torna più volte nei suoi articoli. Su quello che scrive oggi, ritengo opportuno esprimere un paio di riflessioni. Innanzitutto ricordare che da tempo immemorabile le “eccellenze” abbandonano il nostro Paese perché molte di quelle cause che per Galli della Loggia sono oggi alla base di tale fughe, sono purtroppo ben radicate nella nostra storia e nella nostra antropologia culturale: familismo amorale e “rispetto” per le posizioni consolidate, in attesa del proprio turno.(Continua a leggere)
Valerio Vagnoli
martedì 12 aprile 2011
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20 commenti:
Vorrei aggiungere, alle cose già scritte, un'altra urgenza: quella dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. Forse una scelta del genere potrebbe essere utile, tra le altre cose, per abituare le imprese, pubbliche e private, a fare affidamento piuttosto alle competenze reali di chi è in cerca di un lavoro che non ad un diploma di maturità o di laurea ampiamenti svalutati da tutto quello che sappiamo e che è inutile ricordare!
Non solo, ma anche gli studenti prenderebbero consapevolezza del fatto che quello che conterà all'uscita dalla scuola sarà quanto avranno appreso, e non il... "pezzo di carta"
Giovanni
l'abolizione del valore legale del pezzo di carta potrebbe essere la vostra nuova campagna.
Abolendo il valore legale del titolo di studio si concluderà in bellezza lo sfacelo della scuola italiana. Invece di rendere seri gli esami e la scuola in generale si pensa piuttosto a demolirla con stravaganze varie: prima si è utilizzato don Milani, ora l'abolizione del titolo di studio.
Così chiunque potrà andare ad operare ed essere un medico, anche chi ha la terza media. Avremo più parenti di Cecco la Qualunque in tutti i settori anche i più delicati. Vi ricordate da Fazio le scenette comiche di tale personaggio? Quello la cui figlia era primario d'ospedale e operava pur avendo la terza media, uccidendo i pazienti anche perchè durante l'operazione rispondeva cortesemente a tutte le telefonate al cellulare. AVANTI TUTTAAAAAAA!
Capisco che del “pezzo di carta” vorreste farne uso in bagno, però cercate di riflettere sulle conseguenze di un'abolizione del suo valore legale.O forse ci avete riflettuto e proprio vorreste l'abolizione di qualsiasi cosa veramente utile alla nostra comunità italiana? Per prima della serietà. Prima si svuota di contenuto un qualcosa di importante e poi lo si vuole abolire... Si farà così pure per le nostre pensioni, sanità, diritto all'istruzione, alla libertà, alla solidarietà ecc? Si dirà che il loro valore legale non serve?
Piuttosto che all'abolizione del valore legale del titolo di studio sarei favorevole a ciò che la Mastrocola in “Togliamo il disturbo” sosteneva: un tipo di formazione differenziato, lasciando, anzi aumentando il concetto meritocratico del titolo di studio.
Solo in questo modo le aziende (da quelle sanitarie a quelle private) e le varie agenzie di servizie gli enti statali avranno personale altamente specializzato: solo garantendo una formazione differenziata, ottima perchè curata dallo stato e non “tagliuzzata”, e contitoli di studio dati dopo esami severi e meritocratici e veri tirocini. Gli altri vadano a guardare le pecore:saranno sicuramente più felici che stare in una fabbrica come quella di "Tempi moderni" di Chaplin.
Continuo a scervellarmi su un piccolo, ma fastidioso problema:
dopo almeno cinque o sei cortesi richieste da parte nostra, MA CHE CI VUOLE A FIRMARSI COL PROPRIO NOME O CON UN DANNATO PSEUDONIMO? Possibile che si debbano leggere cinque "Anonimi" di seguito?
Caro anonimo, potrei risponderle che " I diplomifici la ringraziano sentitamente" e forse un po' di verità nella mia eventuale risposta vi sarebbe perché avendo avuto occasione di fare esami in qualche diplomificio, ho toccato con mano, insieme alle minacce e pressioni di ogni sorta, che il pezzo di carta era funzionale spesso a far transitare i bamboccini in corsie privilegiate per l'impiego pubblico et similia. Alcune grandi industrie,in particolare straniere, da tempo hanno pensato da sole a svalutare i titoli di studio, soprattutto se ottenuti in alcune aree del paese, assumendo le persone solo in virtù di cosa sanno e di cosa sanno fare . Vede, in una scuola che mette le competenze al primo posto, piuttosto che al pezzo di carta che oramai non si nega a nessuno perché vi sono miriadi di giustificazioni per non negarlo, si dovrebbe pensare a dare ai ragazzi competenze specifiche in grado di poter essere spese poi nel mondo del lavoro. Si tratta, insomma, di cambiare lentamente la mentalità di un paese che ha puntato al pezzo di carta anziché a dare a questo pezzo il vero valore legale, che è quello di rappresentare realmente la persona per quello che sa e che sa fare anziché aprirgli porte in virtù di un diploma o di una laurea che non dicono quasi più nulla neanche attraverso il voto certificato. caro anonimo, ho visto nella mia vita troppa gente passare avanti a tanti poveri cristi, bravissimi, solo per il fatto di avere un diploma o una laurea comunque presi o "conquistati" potendo permetterselo, attraverso anni e anni di fuoricorso. troppe carriere interne si sono sviluppate in virtù di pezzi di carta presi, per esempio, in corso d'opera bloccando così l'accesso al lavoro a tanti meritevoli, privi però di padrini di ogni risma e di ogni colore in grado appunto di garantir loro una sistemnazione.
Se si accontenta di come è ridotta la morale e il senso della cosa pubblica in questo paese, se vede premiato il merito, in ogni campo, le competenze, la serietà, lo spirito di sacrificio, beato lei. Lotti pure per confermare l'andazzo. Io la penso diversamente da lei e mi sono stufato di vedere i miei allievi migliori, privi di appoggi giusti, costretti ad accettare un lavoro per niente corrispondente al loro sapere, mentre altri loro compagni, invece, in virtù del pezzo di carta e di qualche opportuno appoggio, sistemati alla meglio.
ps: la figlia del primario opera con la laurea non con la terza media. Ed opera perché è la figlia del primario e in quanto tale, anche se incompetente, ha potuto contare su canali privilegiati e negati invece al bravuissimo medico, per esempio, figlio di operai.
Lidia ha scritto....
Sono l'anonimo in questione e mi scuso con Giorgio Ragazzini per la mancanza di pseudonimo
Rispondo a Valerio Vagnoli cercando di essere semplice nel mio messaggio.
Il mio parere è che per combattere i diplomifici basta ancora un po' di serietà e di LEGALITA' e che il problema portato alla comunità da questi istituti riguarda LA MANCANZA DI UN SERIO CONTROLLO ISPETTIVO DA PARTE DELLO STATO e DELLA GUARDIA DI FINANZA.
In tali istituti mancano completamente le regole del gioco presenti negli istituti statali, ossia una garanzia certa che il personale abbia un TITOLO DI STUDIO VALIDO e non sia sottoposto a ricatti vari, che sia REALMENTE retribuito e non sottoposto all'illegalità di firmare un cedolino con uno stipendio mentre in effetti l'insegnante non percepisce affatto oppure percepisce solo una quota di quanto stabilito per contratto nazionale (che ora si vuole pure abolire nel pubblico!!! SIC!); che abbia dei registri di classe non manipolati che quindi indichino le vere presenze degli alunni, che i voti degli alunni corrispondano realmente alla loro preparazione; che vengano reintrodotti per gli istituti privati e paritari gli esami presso scuole statali. Per attuare ciò vi è la necessità di seri controlli da parte di ISPETTORI del MIUR e della Guardia di Finanza e di una leggina riguardante gli esami che dovrebbero essere svolti presso strutture statali come era in passato.
Riguardo i concorsi, è necessario avere uno stretto controllo LEGALE e quindi attivare dei sistemi che permettano la meritocrazia e non il nepotismo.
Quindi in Italia vi è la necessità di ristabilire in tutto il comparto scuola e università la LEGALITA' e non di andare a togliere il valore legale ai titoli di studio.
Solo così sarà garantito il figlio degli operai.
LIDIA ha scritto...
Se si attuasse ciò che ho espresso come soluzione dei problemi, i diplomifici mi MALEDIREBBERO perchè tanti di loro sarebbero costretti non solo a chiudere, ma a risarcire la comunità per il danno creato e divenire in tanti casi ospiti delle Patrie galere.
Mai come adesso vorrei che nello stato italiano, per la scuola e per tanto altro vi fosse la LEGALITA' invece di un prepotente garantismo insieme ad una prepotente disinformazione, prosciutto su occhi orecchi e sui valori e la verità e tanta ipocrisia.
Lo capite o no? Quando ci comporteremo e agiremo moralmente e non per posizioni ideologiche e politiche???
LIDIA ha scritto...
Dimenticavo! Anche nelle scuole pubbliche deve ritornare la serietà. Per far si che avvenga è necessario insieme alla presenza di ispettori, anche un controllo stretto sui dirigenti che spesso ricattano i docenti per non far prendere nessun provvedimento di aiuto, per sospendere, bocciare chi lo merita realmente, che non informano i servizi sociali riguardo alunni che hanno situazioni familiari gravi; che non curano ma piuttosto lasciano l'organizzazione della scuola disfunzionale o per propria incompetenza o per proteggere i docenti incompetenti, e a volte solo mercenari, che sono loro complici in PON e progettifici vari, mettendo in mobbing chi protesta per tale degrado non solo professionale ma anche morale nelle scuole. Avete sentito dire di fumo e droga spacciate e fumate tranquillamente in tante scuole nei corridoi e nei bagni? Di stupri fra ragazzi in gita con dirigente che tiene nel cassetto la segnalazione invece di mandarla alle forze di Polizia? Di ragazzi che non meritano portati in gita di fine corsi pon per fare numero?
Caro Valerio Magnoli, sono anche io contro i diplomifici, contro la pessima politica scolastica e a favore della meritocrazia per aiutare tutti e non solo i figli degli operai.
Anche molte scuole statali sono diventate diplomifici, e con grande successo "aziendale" (uguale molti iscritti), e non si contano gli scrutini in cui si promuovono studenti che un minimo di dignità dovrebbe fermare.
Ci vorrebbero controlli, prove standard a livello nazionale, eccetera. Ma tutto questo costa.
Gli italiani sono disposti ad investire in questo campo e a volere una vera meritocrazia?
Quando anni fa il ministro D'Onofrio abolì gli esami di settembre il Parlamento approvò quasi all'unanimità, e sappiamo quali disastri ne sono conseguiti. Nel paese c'è la coscienza che la nostra istruzione sta precipitando?
Ai posteri...
Giovanni
LIDIA ha scritto...
Caro Valerio Magnoli, non crede che un pochino di ragione la ho? Non penso che il problema istruzione e mondo di lavoro si risolva solamente andando a togliere il valore legale dei titoli di studio, anzi è una falsa scusa per peggiorare le cose e dare la mazzata finale. Piuttosto deve essere inciso il bubbone della ILLEGALITA'. È un problema di valori e di organizzazione della comunità. Quindi il cambiare mentalità, come lei diceva, è necessaria.
Carissima Lidia, lei ha più di una ragione. Penso addirittura che l'analisi dei problemi che hanno portato a tanto sfasciume sia la stessa. Tuttavia, con Agapetòs, penso che anche moltissime scuole siano diventate una sorta di diplomifici con la conseguenza che la scuola pubblica rischia semprte di più di sostenere un ruolo, quando va bene, sociale ma non culturale. Penso che una svolta a tutto ciò, a tutti i mali della scuola che non sto ad elencarle perché lei stessa li conosce molto bene, possa essere quella dell'abolazione del valore legale del titolo di studio per i motivi di cui sopra. Aggiungo ancora un'altra considerazione. La loro abolizione credo possa innestare per l'accesso alle università o al mondo del lavoro una seria prassi legata all'analisi delle competenze e delle conoscenze che ciascun ragazzo si porta dietro, tanto da diventar costume nuovo nel miserabile clima di promozione sociale in cui sono costretti a misurarsi moltissimi giovani. Se ciò dovesse accadere, forse finirebbe anche il compiaciuto e amorale comportamento della stragrande maggioranza delle famiglie che in cambio dei bei voti regalati ai loro figli niente pretendono, niente chiedono e niente "danno" alla scuola.
Come sempre non ritengo che la mia possa essere la ricetta salvifica, ma conosco abbastanza bene come e perché nacque la dittatura.Tra i vari motivi vi fu anche quello legato alla corruzione dello stato di allora e ben analizzato nel documento, a mio parere, in assoluto il più bello e utile a farci capire come e perché nacque il fascismo: la polemica tra Prezzolini e Gobetti sulla Società degli Apoti apparsa nelle settimane precedenti la marcia su Roma nelle pagine della Rivoluzione Liberale. Sia ben chiaro, il mio amore per Gobetti è fuori discussione, ma Prezzolini capì e spiegò in quel dibattito con molta chiarezza, che la corruzione, il disprezzo per il merito e l'appiattimento culturale degli italiani del tempo avevano contribuito in maniera ben consistente ad aprire la strada al fascismo. Oggi, per fortuna, la paura di una dittatura fascista non esiste più: esiste l'assuefazione, che può tuttavia essere addirittura peggiore della dittatura stessa. Non amo gli apodittici e pertanto credo vi sia ancora la possibilità di "salvarci" e che occorra perciò fare qualcosa per trasformare questa sorta di abulia di massa in una partecipazione alle cose del mondo più responsabile e motivata. Solo per questo e soltanto per questo credo che si debba cambiare strada, anche nella scuola. Allora, forse, varrebbe la pena ....
La saluto con molta simpatia, Valerio Vagnoli
LIDIA, ha scritto...
Carissimo Valerio Vagnoli, sinceramente non ho ben capito come funzionerebbe il sistema istruzione- mansione lavorativa con l'abolizione del titolo di studio. Fino ad adesso era una garanzia il fatto che (nonostante la figlia del chirurgo abbia pure lei la laurea in medicina e possa a sua volta fare lo stesso lavoro del padre scavalcando molti meritevoli più bravi di lei) per ogni mansione lavorativa vi era il titolo di studio più o meno corrispondente per potere svolgere quel lavoro. Ad esempio un diploma professionale di ostetricia serviva per svolgere il lavoro di infermiere specializzato della corrispondente materia e il diploma di odontotecnico serve a svolgere il lavoro corrispondente. Una laurea in lettere è indirizza a svolgere un equivalente professione nell'ambito della scuola e allo stesso modo la laurea in medicina è propedeutica alla professione medica in generale.
Abolire il titolo di studio dando la possibilità di frequentare dei corsi di preparazione vari alle scuole superiori in cui avrei solo attestati di frequenza, cosa comporterebbe? Mettiamo caso che non sono stato particolarmente brillante in ostetricia però ho frequentato ed ho sempre il famoso papà chirurgo. Altro caso, siccome dovrei essere assunto in base alla mia bravura e non in base al titolo di studio, io che ho una laurea in matematica potrei aspirare a fare la chirurga o la dentista?
Sicuramente l'abolizione del titolo di studio toglierebbe lavoro al programma “Le iene” sempre in cerca di millantatori che si spacciano per dentisti, medici e quant'altro senza laurea e abilitazioni, adducendo come motivazione la propria “bravura”.
Abolendo il titolo di studio e quindi non basandosi su un minimo di sicurezza dato dalla certificazione degli studi da parte di un ente pubblico come la scuola o l'università, avremo una miriade di persone che farebbero esperienza sul “campo” ossia direttamente sugli utenti piuttosto che essere scremati da un sistema di certificazioni e abilitazioni che può avere le sue pecche, ma sempre garanzie può dare.
E poi non ho capito bene ancora una cosa: un ragazzo che frequenta corsi di ragioneria può aspirare a fare il ginecologo? Tanto non conta il titolo di studio. E siamo sicuri che il figlio dell'operaio abbia le stesse possibilità di entrare nel mondo del lavoro per bravura e preparazione rispetto al figlio del ricco e potente in una società dove non è necessario più avere un qualsiasi pezzo di carta?
Siamo sicuri che le aziende non avrebbero il doppio, il triplo se non di più di difficoltà a poter trovare gente capace? Attualmente screma fra gente per lo meno ha il diploma o la laurea in nel settore; senza il “pezzo di carta” dovrebbe scremare fra gente che arriva da tutte le parti e magari che non ha frequentato nulla.
Io propendo sempre per un sistema di CONTROLLO insieme alla certificazione, piuttosto che all'abolizione del titolo di studio. Lei, caro Valerio Vagnoli, con quali argomentazioni potrebbe convincermi? La prego di credermi sul fatto che vorrei una motivazione pratica e logica delle conseguenze, senza la quale resto molto dubbiosa sulla bontà di una tale rivoluzione.
La saluto anche io con simpatia e aspetto una sua risposta.
Bene ha fatto Valerio Vagnoli ad aprire una discussione sulla possibilità di abolire il valore legale del titolo di studio, un tema che negli ultimi anni è stato da più parti come un possibile antidoto ai guai della scuola, senza però, questa è la mia impressione, crederci più di tanto, quanto meno per promuoverne un serio approfondimento. La questione è molto complessa e mi pare che, a parte la benefica rottamazione dei diplomifici, sia necessario valutare con estrema attenzione tutti i possibili risvolti di una scelta del genere, per essere certi che effettivamente possa contribuire a sciogliere almeno alcuni dei nodi più problematici del nostro sistema scolastico. In ogni caso sia io che Valerio Vagnoli possiamo rassicurare Lidia che le questioni relative alla serietà della scuola, al rispetto delle regole, alla deontologia professionale continueranno comunque ad essere al centro delle nostre iniziative.
Parte I
Gentilissima Lidia, non credo di poter fare chiarezza su un tema che in Italia è stato solo periodicamente sfiorato dalle solite polemiche contrapposizioni ideologiche e immancabilmente lasciato cadere. Il motivo è assai semplice: la perdita del valore legale del titolo di studio porterebbe ad una trasformazione tale del paese che nessuna delle attuali compagini politiche ne avrebbe da guadagnare, scomparendo con esso gran parte della struttura statalista funzionale, da decenni, a creare consensi elettorali, burocrazia talvolta parassitaria, apparati amministrativi esorbitanti, ma non vicini agli interessi dei cittadini, etc. Ne fa fede la scuola che occupa oltre un milione e duecentomila addetti con risultati generalmente modesti, soprattutto nei settori che avrebbero maggior necessità di essere supportati (formazione e istruzione professionale in testa, studenti svantaggiati, approfondimenti specialistici, valorizzazione del merito etc.).
Certamente, anche con l’abolizione del valore legale del titolo di studio rimarrebbero gli indirizzi specifici dei corsi di studio ed è altrettanto certo che chi vorrà fare il medico dovrà seguire una facoltà di medicina, come peraltro accade nei paesi anglosassoni, ove il valore legale è limitato solo ad alcune specifiche professioni. Ma abolirlo significa innanzitutto lasciare finalmente campo libero alle scuole e alle università di organizzare piani di studi non più funzionali a creare cattedre per i docenti, ma attenti alle vere necessità sia culturali che economiche del paese o di parte di esso. Le faccio solo l’esempio della scuola: è mai possibile che una qualsiasi laurea raccattata, anche on line, in un qualsiasi angolo d’Italia dia naturalmente accesso all’insegnamento (oramai insegnano centinaia di migliaia di precari di età assai avanzata destinati prima o poi, come molti loro colleghi in passato, in virtù di una delle infinite ope legis a essere immessi a ruolo)? Ed è possibile che persone dotate di competenze, conoscenze e attitudini veramente straordinarie non possano accedere ai concorsi scolastici, amministrativi o per avvocati solo perché sprovvisti del titolo specifico? Titolo specifico che se preso o comperato (lei sa meglio di me che “comperare” non significa necessariamente dover tirar sempre fuori dei soldi) in chissà quale università, permette poi di poter accedere, in via esclusiva, a ciò a cui quel titolo fornito di valore legale dà diritto.
Non è un caso che in Italia, generalmente, le scuole private siano di pessimo livello e in linea di massima dei veri e propri diplomifici, anche se qualcosa sta iniziando a cambiare e chi ha veramente ha a cuore, e non solo a parole, la scuola pubblica dovrebbe prestarvi attenzione. Se i diplomi valessero per il loro valore culturale anziché per quello legale, avremmo probabilmente una scuola più dinamica, meno autoreferenziale, più concorrenziale e meno strutturata secondo una gerarchia crociano-gentiliana che vede ancora oggi i professionali come scuole per sfigati e i licei come indirizzi per chi conta e per chi è considerato “intelligente e bravo”.
Dobbiamo certamente moltissimo alla scuola di Stato. E se vi fosse da scegliere tra un’ottima scuola privata e un’altra, invece, problematica ma di Stato non avrei alcun dubbio a scegliere quest’ultima, perché alla fine è stata quella che ha contribuito a dare un senso alla mia esistenza, in quanto lo ha dato alla professione che ho scelto di svolgere. Ma ciò non toglie che la scuola pubblica mi appaia, oggi, sempre più irriformabile. E difficile da “riformare” mi appare anche una parte di quelli che vi lavorano, perché stanchi o impreparati, neghittosi o cinici e sempre pronti a trovare una giustificazione alla propria condizione nel (senz’altro) pessimo trattamento che lo Stato riserva ai suoi impiegati.
Parte II
Spesso capita di sentire in giro una scarsa stima per i presidi perché ritenuti, molti di loro, inadeguati a gestire la complessità delle scuole e delle università italiane. Ma come può essere incisiva una direzione scolastica o universitaria completamente priva di potere e piena, invece, di responsabilità? La mancanza assoluta di potere decisionale, in fatto di didattica e di organizzazione, da parte delle scuole italiane, è dovuta anche alla posizione di rendita che un sistema ingessato come il nostro mantiene indisturbato da sempre; perlomeno da quando si è imposto il modello di napoleonico di Stato. Una maggior competizione tra le scuole statali e un loro innalzamento qualitativo stimolerebbe la crescita, sul piano della qualità, anche del sistema privato e forse scomparirebbero i diplomifici e quelle facoltà che non hanno altro scopo che perpetrare i cadreghini. Per fare ciò occorrerebbe, però, che le scuole fossero veramente libere di organizzare i propri percorsi formativi e ciò potrebbe accadere solo se il titolo di studio venisse privato del suo valore legale. In un certo modo è la tesi di fondo di un grande italiano, Luigi Einaudi, che in un suo celeberrimo scritto sulla scuola (Conoscere per deliberare, scuola e libertà) analizza come l’abolizione del valore legale del titolo di studio sia alla fine la condizione essenziale per educarci alla libertà e al rispetto per le idee altrui. Cosa, questa, che è ancora lungi dal verificarsi.
Scrive Einaudi che “..la libertà vive perché vuole la discussione fra la libertà e l’errore, il totalitarismo vive col monopolio. Nella vita politica la libertà non è garantita dai sistemi elettorali, dal voto universale o ristretto, dalla proporzionale o dal prevalere della maggioranza nel collegio uninominale. Essa esiste sinché esiste la possibilità della discussione, della critica. Trial and error; possibilità di tentare e di sbagliare; libertà di critica e di opposizione; ecco la caratteristica dei regimi liberi. Così è della scuola. Essa è viva e feconda sinché chiunque abbia diritto di dire: gli altri sono in errore e io conosco la via della verità. (...) Ma chiunque altro ha ragione di insegnare una verità diversa, con metodo diverso. In ogni tempo, attraverso tentativi ed errori ognora rinnovati abbandonati e ripresi, le nuove generazioni accorreranno di volta in volta alle scuole le quali avranno saputo conquistarsi reputazione più alta di studi severi e di dottrina sicura”.
L’abolizione del valore legale può, insomma, permettere a tutti di potersi misurare, in virtù delle loro reali competenze, con la scuola a loro più consona senza curarsi del titolo di studio che essa potrà elargire sul piano legale (titolo di studio che peraltro non ci garantisce dalla possibilità di avere docenti inadeguati, medici santoni o macellai, avvocati corrotti perché incapaci, magistrati incompetenti e in grado di vendere le sentenze ai migliori offerenti, ingegneri, architetti e geometri in grado di distruggere un territorio tra i più belli del mondo, notai dall’incerta professionalità, etc, etc). Come sappiamo, le carenze presenti nel mondo della scuola corrispondono, non a caso, a quelle della magistratura, degli ospedali, delle forze di sicurezza, degli enti locali, dei ministeriali etc etc.
Poter contare sulle nostre reali competenze, ripeto, è una bella sfida e sarebbe una bella accelerazione verso una società più giusta, più dinamica, più equa e meno ricattabile dai padrini di stato. Tutti avremmo finalmente da rendere conto a
Parte III
qualcuno, a cominciare da noi stessi, e forse vedremo finalmente il merito valorizzato e valorizzati i giovani capaci e meritevoli la cui carriera, da noi, è nelle mani del barone di turno che non ha spesso alcun interesse a rendere dinamico il proprio dipartimento e la propria docenza perché non deve rendere conto a nessuno di ciò che fa e di quali competenze siano dotati gli allievi da lui formati. Ovviamente un sistema come quello da me auspicato richiede una seria e costante operazione di verifica di ciò che uno sa rispetto a ciò che potrebbe millantare attraverso ciò che “certifica” un semplice pezzo di carta.
In un sistema in cui più che il titolo valgano i meriti reali, anche le università vedranno venir meno il proprio monopolio di carattere didattico e culturale spesso incapace di dare reali motivazioni agli studenti, costretti a nutrirsi di pacchetti culturali preconfezionati e trasmessi da docenti sempre più privi di passione e di attese. Intanto gli studenti migliori continuano ad andarsene all’estero, in quei paesi ove il sistema è talmente poco ingessato che un docente universitario può decidere, semplicemente leggendo la pubblicazione di un estratto della tesi di laurea (ai più bravi dei nostri studenti è il massimo onore che l’università concede), di chiamare un nostro studente italiano a fare ricerca, magari in un laboratorio approntato apposta per lui.
Insomma, vi è molta strada da fare e di sicuro anche abolendo il valore legale dei titoli di studio occorrerà del tempo prima che si possa affermare una nuova mentalità. Appunto più libera e più improntata a scommettere sui cambiamenti e sulle novità. Scrive ancora Einaudi che nell’insegnamento nulla deve essere certo “ ..non sono certi i programmi, non gli ordini degli studi, non è certa neppure l’esistenza di alcuna scienza. Non è certo siano buoni i metodi accolti negli stabilimenti a tipo di libertà; e non è affatto certo che essi conducano sempre al bene. Ma vi è una differenza fondamentale fra l’uno e l’altro tipo; ché quello monopolistico consente i mutamenti solo quando essi sono consacrati da un’autorità pubblica; laddove il metodo di libertà riconosce sin dal principio di poter versare nell’errore ed auspica che altri tenti di dimostrare l’errore e di scoprire la via buona alla verità”.
Come può capire, non vi è da parte mia, cara Lidia, alcun tentativo di convincerla. Tutt’al più queste riflessioni servono soprattutto a me per non disperare che qualcosa di nuovo possa accadere nella scuola italiana e che i ragazzi, in virtù di questo nuovo, abbiano la possibilità d’incontrare quelle materie e quei maestri che più si confanno alle loro attese e alle loro curiosità. Mi piacerebbe vedere i ragazzi studiare per il piacere d’imparare perché consapevoli che quello che studiano sarà funzionale a dare un senso alla loro esistenza. E mi piacerebbe vedere i docenti essere veramente liberi d’insegnare anche perché in grado, insieme alle scuole, di smarcarsi dalle mode imperanti (che fatica trent’anni fa andare contro l’idea corrente di allora che la grammatica e la sintassi era roba vecchia come lo era far leggere Pinocchio e ignorare invece Rodari) sapendo d’avere di fronte ragazze e ragazzi a cui rendere conto del loro sapere e della loro passione. E, infine, mi piacerebbe vedere scomparire questa costante umiliazione dei migliori e, in generale, di coloro che non sanno trovare le strada giusta per cavarsela, in questa nostra Italia in cui a vincere troppo spesso sono i furbi piuttosto che i capaci e i meritevoli! E anche in questo la scuola ha le sue responsabilità.
Fine
VV
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