Non sarebbe proprio ammissibile che con la fine delle vacanze il grave
attentato alla libreria "Il Bargello" passasse nel dimenticatoio. Non solo perché
un poliziotto rimarrà per tutta la vita menomato per aver tutelato, alla fine
della sua nottata di lavoro, la nostra sicurezza, ma anche perché l’attentato
era indirizzato a una libreria. Ci sono dei luoghi, ed è penoso doverlo
ricordare in un Paese nato dalla Resistenza, verso i quali la violenza appare
particolarmente ripugnante; e tra questi vi sono senza dubbio le librerie.
Quando si colpisce uno di questi luoghi ci troviamo sicuramente di fronte a
ideologie di stampo totalitario, qualunque sia la sigla o il gruppo che rivendica
l’atto terroristico.
Fino a oggi
ignoravo l’esistenza della libreria Il Bargello e immagino che la scelta del
nome, più che richiamarsi al Palazzo omonimo di via Ghibellina, si ricolleghi
invece alla rivista che con quel nome si pubblicò per oltre vent’anni a Firenze
e che chiuse le pubblicazioni nel 1943. Al Bargello collaborarono intellettuali
fascisti, ma anche personalità come Giansiro Ferrata, Alessandro Bonsanti,
Maccari, Pratolini, Rosai e Bargellini, spesso non allineati col regime e non a
caso dopo il ‘43 destinati a rappresentare con convinzione istanze di chiaro
antifascismo. E questo a conferma che gli uomini, compresi gli intellettuali,
non sempre sono riconducibili a schemi rigidi e definitivi; schemi che invece
sono rigidamente acritici in chi crede fanaticamente di incarnare certezze e
valori unici e «superiori», sentendosi così legittimato a colpire chi la pensa
diversamente.
Una libreria, qualunque sia l’orientamento culturale e politico che essa
rappresenta, è comunque un luogo in cui si ritiene di rendere pubblico quel
pensiero, come la Costituzione garantisce a chiunque di poter fare. Farla
saltare in aria, mettendo anche a rischio la vita di altre persone, non è solo
un atto di vigliaccheria, ma un atto ideologicamente ben definito e in ogni
caso davvero «fascista». Peraltro di un fascismo assai diverso e verrebbe da dire molto peggiore di
quello, per esempio, cantato da Ezra Pound (altro nome a cui è legato il
movimento vicino alla libreria colpita) che fino alla fine rivendicò, anche attraverso
testi poetici di rara bellezza, le sue scelte, ahimè, disperatamente fasciste.
Quanto accaduto nella notte del primo gennaio in via Leonardo da Vinci viene
quindi da definirlo proprio un fatto di “cronaca nera”, su cui sarebbe
auspicabile non passare oltre senza riflettere. Innanzitutto nelle scuole,
ricordando ai ragazzi che quanto affermava Voltaire (“Non condivido nulla di
quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire”) rappresenta uno dei
più nobili principi ispiratori della nostra Costituzione e che per affermare
questo diritto sono morte milioni di persone combattendo contro dittature di
ogni colore.
Valerio Vagnoli
("Corriere fiorentino", 5 gennaio 2017)
3 commenti:
Dovrebbe essere cosa ormai ben nota che la frase citata (in verità alquanto scipita, a pensarci bene) non compare in nessun luogo dell'opera di Voltaire. Né del resto potrebbe comparirvi, essendo diametralmente opposta al suo celebre motto (questo sì autentico, e leggibile molte volte nelle sue lettere) "écrasez l'infame". Al quale evidentemente era negato ogni diritto di espressione.
Del resto non credo che fosse disposto a offrire con tanta leggerezza la propria vita uno che alla fine morì nel proprio letto a 83 anni passati (un'età da primato all'epoca), dopo essere stato trionfalmente accolto al suo rientro a Parigi da tutta l'intellettualità à la page, ospite servito di barba e parrucca nel palazzo del genero marchese di Villette.
"Sepolcro di Eloisa e di Abelardo. Se vi dimostrano che è falso esclamare:- Voi mi togliete le mie illusioni!-. Flaubert Dizionario dei luoghi comuni
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