Mercoledì scorso su “ilsussidiario.net”, l’utile “quotidiano approfondito” legato alla Compagnia delle Opere, la pedagogista Feliciana Cicardi ha aperto nuovamente, come succede in questo periodo, il dibattito sull’opportunità o meno di bocciare. Il suo intervento costituisce un compendio delle principali ragioni per cui, come recita un noto adagio, ogni bocciatura è un fallimento della scuola. L’autrice lo dice in modo più articolato: “Se numerosi studenti rischiano di ‘perdersi’ scolasticamente parlando, significa che forse gli obiettivi stabiliti per una determinata classe (formata da singolari soggetti) erano troppo alti, oppure che le strategie didattiche messe in atto non sono state efficaci per quegli studenti di quella specifica classe”.
Partendo da un simile assunto, inevitabilmente la responsabilità dello studente è ridotta a zero. Nell’immaginario educativo buonista, questo punto è essenziale, probabilmente perché, sobbarcandosi ogni colpa, l'adulto-docente può sottrarsi agli aspetti meno facili e immediatamente gratificanti del suo ruolo educativo, per esempio dire all'allievo come stanno veramente le cose, sollecitare in lui l’accettazione dell’impegno o di una momentanea rinuncia, saper opporre dei “no” a pretese infantili, nonché, a volte, decidere appunto che è giusto e opportuno che un ragazzo ripeta l'anno.
Dà invece a ciascuno il suo lo psicanalista Luigi Ballerini, per il quale lo studente non è necessariamente vittima incolpevole dell'inadeguatezza della scuola: “Il tema è complesso e delicato. Molte sono le variabili in gioco: il tipo di scuola scelto (che può essere stato più o meno adeguato alle capacità del ragazzo), il corpo docente (che può non avere dato il meglio di sé durante l’anno, mancando di offrire reali opportunità di recupero), e ovviamente il ragazzo stesso.
Qui ci interessa parlare proprio del ragazzo che non ha lavorato e che arriva alla bocciatura avendoci messo tanto del suo. Non sono pertanto in discussione le sue capacità e nemmeno il fatto che non si trovi nell’indirizzo giusto. Occorre invece ripartire dal concetto di sanzione, legato in qualche modo al nesso atto-risultato. A fine anno si raccolgono i frutti di quel che si è investito: se il lavoro è stato nullo o insufficiente, i risultati non possono garantire il passaggio alla classe successiva. Tutto qui, null’altro di più. Non si tratta di un verdetto sul ragazzo in sé, ma solo un giudizio sul suo operato. Non è stupido lui, è stato stupido non studiare”. Leggi tutto l’articolo.
venerdì 28 maggio 2010
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1 commento:
E dove finisce la scuola del merito e della responsabilità con questo giustificazionismo ad oltranza?
Piuttosto pensiamo alla scala di valori. Al valore dello studio, dell'impegno e del lavoro. E a quella dei disvalori: il successo di chi brinda la sera del terremoto dell'Aquila, dei nani, delle veline, delle ballerine e dei cantanti che si definiscono artisti non appena si mettono sotto i riflettori. La sfida unica della scuola è un sapere critico e faticosamente acquisito contrapposto ai modelli di vita e di società dominanti.
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