martedì 28 settembre 2010

APPRENDISTATO: UNA CARTA CONTRO L’ABBANDONO SCOLASTICO?

E se in un “apprendistato formativo” molti ragazzi che oggi abbandonano la scuola dopo le medie ritrovassero il piacere di apprendere e magari scoprissero dei talenti da coltivare? Sospendiamo il giudizio, in laica attesa di verificare i risultati dell’intesa in materia tra Regione Lombardia e Ministero dell’Istruzione, di cui riferisce tra gli altri “Il Sole24Ore”[1]. Altrettanto realisticamente si dovrebbe partire dal rifiuto della scuola a cui approdano molti studenti per le più varie ragioni. Invitato nei giorni scorsi, in rappresentanza del nostro gruppo, al seminario nazionale del PD “La scuola alla riscossa”, Valerio Vagnoli ha accennato all’apprendistato in un intervento[2] dedicato soprattutto alla formazione professionale: “Qualcuno di voi stamani ha detto che trova aberrante che un ragazzo a quindici anni faccia dell’apprendistato. Se questo apprendistato ha, ovviamente, una strutturazione molto formativa, io trovo aberrante che un ragazzo a quindici anni sia in mezzo alla strada o sia nei bar o a casa a non fare nulla”.

(GR)

[1] Sullo stesso giornale si può leggere anche l’approfondimento di Michele Tiraboschi, consigliere del ministro del Lavoro
[2] Per trovare i singoli interventi, bisogna scorrere l’elenco sulla destra.

domenica 26 settembre 2010

UN “PIANO MARSHALL” PER LA SCUOLA ITALIANA

In un intervento video sul sito web dell’Istituto Treccani, Rosario Salamone, Preside del Liceo Classico Visconti di Roma, parla della riforma della scuola, affermando che è necessario l’impegno di tutti per attuarla, anche se non ha “il carattere della perfezione” e può certamente essere migliorata. Ma perché la riforma possa andare a buon fine è indispensabile uno straordinario sforzo finanziario, un vero e proprio “Piano Marshall” per la scuola italiana, che non solo la classe politica, ma anche la società civile senta la responsabilità di sostenere.
Non si può non sottoscrivere le parole del Preside Salamone, nonostante la crisi economica, se è vero che proprio per uscirne – non solo dalla fase più acuta, ma anche dal cronico ritardo del nostro sviluppo rispetto a molti paesi europei – tutti gli economisti indicano come necessari massicci investimenti nell’istruzione e nella formazione. A chi domanda con quali risorse si può solo rispondere che occorre trovarle. Purché, ovviamente, non siano disperse in attività futili e dispendiose come troppo spesso è avvenuto in passato, ma siano utilizzate in modo intelligente e mirato alla soluzione dei grandi problemi della scuola italiana. Prima di tutto l’edilizia scolastica, i laboratori, le strumentazioni didattiche, un terreno dove il confronto con molti paesi europei risulta mortificante; un radicale ripensamento del sistema di istruzione e formazione professionale; un serio impegno per rivalutare la professione docente, anche con la creazione di nuovi ruoli, e un aggiornamento centrato sulla libertà metodologica e la valorizzazione delle esperienze sul campo. (A.R.)

lunedì 20 settembre 2010

LA SCUOLA ITALIANA E I BRUTTI ANATROCCOLI

Lo psicoterapeuta Claudio Risé torna in modo convincente sul tema dei talenti non valorizzati dalla scuola, che, diventata di massa, ha dedicato sempre più energìe al recupero dei ragazzi in difficoltà. “Si trascurò però il fatto che il bimbo in difficoltà lo era spesso (come appariva poi in terapia), proprio perché i suoi specifici talenti, le sue particolari potenzialità non venivano affatto osservate nell’approccio standardizzato della scuola di massa”. Una decisa rivalutazione della formazione professionale (l’autore fa riferimento a un progetto spagnolo), potrebbe far scoprire che molti brutti anatroccoli disadattati diventerebbero cigni se si smettesse di declinare come uniformità l’uguaglianza delle possibilità. Leggi

giovedì 16 settembre 2010

CARO MINISTRO, A FIRENZE SI DICE: “QUANDO CI VA, CI VUOLE”...

Gentile Ministro Gelmini,
nella vicenda di Adro è in gioco il principio cardine della scuola pubblica, cioè la neutralità dello Stato e delle sue istituzioni rispetto a tutte le possibili opzioni politico-ideologiche. Il sindaco sostiene che il "sole delle Alpi" da secoli è un simbolo della zona. Sarà, ma non c’è dubbio che oggi identifica la Lega che l’ha scelto come emblema; ed è questo che conta. Lei, quindi, non dovrebbe a nostro avviso limitarsi a “prendere atto” della spiegazione, pur rimanendo “perplessa”. È necessario dire chiaro e tondo che quei simboli vanno rimossi. Come diciamo a Firenze, “Quando ci va, ci vuole”.
Che nelle scuole si siano visti altri simboli politici è senz’altro vero, anche se la marchiatura partitica dell'edificio rappresenta un unicum. Si ricorderà il fiorire, qualche anno fa, di bandiere della pace non solo nelle scuole, ma sulle facciate di amministrazioni comunali, provinciali e regionali; e anche lì, esattamente come per la scuola di Adro, si imbrogliavano le carte negando che rappresentassero uno schieramento politico, sia pur ampio e variegato, e sostenendo che si trattava, invece, del simbolo “di un’aspirazione universale” e cose del genere. Su questo blog, poi, abbiamo più volte criticato i colleghi che inscenano manifestazioni politiche davanti agli edifici scolastici o al loro interno, con striscioni e cartelli, coinvolgendo per di più anche gli allievi. Ma tutto questo non fa che rendere più evidente e più urgente la necessità di chiarire una volta per sempre che la scuola pubblica è di tutti e tutti ci si devono sentire come a casa propria, quali che siano le loro idee. Con quali argomenti, sennò, ci si potrà opporre in futuro ad altre iniziative dello stesso genere?

Cordialmente,

GdF

lunedì 6 settembre 2010

LA SCUOLA E I PRECARI: UN PROBLEMA INSOLUBILE?

Alla questione dei precari e allo scontro politico sulla scuola dedica una nitida riflessione Giovanni Belardelli sul “Corriere della Sera” di ieri, chiedendosi: “Finirà mai, in Italia, l’Età dei Precari, cioè la stagione lunghissima, e che dura tutt’ora, in cui abbiamo di fatto identificato i problemi della scuola con la questione del collocamento in ruolo dei precari?”
È comprensibile che agli insegnanti in lotta per conquistare un posto stabile faccia gioco convincere l’opinione pubblica che i loro problemi sono tutt’uno con quelli della scuola e che la qualità dell’istruzione si ottiene essenzialmente con più ore di insegnamento, più materie, più cattedre, ma con tutta evidenza così non è. La drammatica condizione di migliaia di insegnanti si deve in larga misura a decenni di convergenze tra la logica corporativa dei sindacati e le politiche assistenzialiste e clientelari di quasi tutti i governi. Piuttosto che fare una seria programmazione del fabbisogno di insegnanti, prevedendo dei rigorosi percorsi di formazione e selezione, si sono periodicamente adottati provvedimenti di sanatoria, talvolta scandalosi, con la giustificazione dello stato di necessità. Ma è necessario riconoscere, scrive Belardelli, che si tratta di un enorme problema sociale che non può essere interamente accollato al sistema scolastico e dovrebbe invece essere affrontato soprattutto con gli strumenti di un moderno e più equo welfare state.

venerdì 3 settembre 2010

ABRAVANEL: “PRIMA DI TUTTO LA QUALITÀ DEI DOCENTI”. GIUSTO, MA...

Quello che conta è la qualità degli insegnanti. Non la dimensione delle classi. Non le ore di insegnamento. Non quanto si spende nella scuola”. Così si esprime, in un articolo sul “Corriere della Sera”, Roger Abravanel, consulente del ministro Gelmini per la qualità e il merito, auspicando che, sulla base di una sistematica valutazione dei docenti, i genitori possano capire quale scuola dà migliori risultati. Espressa certo in forma un po’ provocatoria (più soldi servirebbero, eccome) , la centralità degli insegnanti è una verità nota da tempo alle persone di buon senso, che però ha trovato scarso riscontro nelle politiche degli scorsi decenni. Tuttavia sono necessarie un paio di osservazioni.
1. È tutt’altro che pacificamente acquisita la possibilità di misurare la bravura di un docente in base al rendimento degli allievi, dato che, per quanto si possano tarare i test, entrano in questione molte variabili (spesso extrascolastiche).
2. Ma anche ammettendo che sia così, lo stesso articolo segnala senza volerlo una difficoltà, quando a un certo punto il discorso slitta dalla qualità dei docenti a quella del singolo istituto, quasi si potessero identificare: “Un genitore potrebbe sapere molto di più sulla qualità della scuola se i risultati dei test aggregati venissero resi noti prima del momento dell’iscrizione. Solo così una mamma e un papà italiani potranno capire che forse la scuola media un po’ più lontana da casa è migliore perché i suoi studenti hanno ottimi risultati in italiano e matematica”. La realtà, però, non è così semplice. In quasi tutte le scuole la qualità dei docenti è molto varia. Ci sono spesso sezioni buone e altre sconsigliabili e anche consentendo di esprimere delle preferenze non si potrà mai accontentare tutti. Fino alle superiori, poi, la vicinanza delle scuola ha necessariamente un peso notevole nella scelta di molte famiglie. Non è molto probabile, quindi, che la valutazione dei risultati e la conseguente “concorrenza” tra scuole possa portare a rapidi miglioramenti qualitativi. Anche perché dobbiamo chiederci se è più urgente individuare i migliori fra i docenti o riuscire ad elevarne la qualità media, garantendo alle famiglie insegnanti che siano quanto meno “sufficientemente buoni”. E per far questo è necessario (ripetendo cose già dette più volte):
A. affrontare efficacemente il problema degli insegnanti chiaramente inadeguati sul piano didattico-relazionale o su quello della correttezza professionale, attualmente ipertutelati; e lo stesso Abravanel indica altrove, nell’impossibilità di “allontanare i disastri”, uno dei punti deboli del nostro sistema[1];
B. ripristinare un adeguato controllo sul funzionamento delle scuole (compreso l’andamento di scrutini ed esami), anche attraverso un numero sufficiente di ispettori dotati di poteri adeguati (in Italia ce ne sono 100, contro i 1500 del Regno Unito e i 3000 della Francia);
C. sostenere in modo costante gli insegnanti con tutte le necessarie consulenze (psicologi, logopedisti, assistenti sociali, esperti nell’orientamento, ecc.), invece di pretendere che facciano da soli in base a superficiali infarinature;
D. nell’aggiornamento, valorizzare la professionalità dei docenti. “Ciò significa”, come finalmente si sottolinea nella premessa alle indicazioni nazionali, “favorire la sperimentazione e lo scambio di esperienze metodologiche... e negare diritto di cittadinanza ... a qualunque tentativo di prescrittivismo”. Insomma, insegnanti protagonisti della loro crescita professionale, anziché oggetti passivi, come spesso in passato, di vere e proprie forme di indottrinamento. Naturalmente, nel medio periodo, sarà di fondamentale importanza la messa a regime dei nuovi percorsi di formazione universitaria dei futuri docenti. (GR)

[1] Vedi le diapositive usate nella presentazione del Piano Nazionale Qualità e Merito. Vi si ritrova anche la presunta contrapposizione tra "competenze di vita" e conoscenze: "Migliorare la nostra mente per partecipare con la nostra testa, non insegnarci a memoria i pensieri degli altri", suggerisce la citazione di "Uno sconosciuto formatore americano" .