La vicenda dell’insegnante palermitana, che, come ben riferisce tra gli altri “Avvenire”, è stata condannata in appello a un mese di detenzione - sospesa e condonata - per abuso di mezzi di correzione contro un bulletto, è veramente istruttiva di come vanno spesso le cose nella scuola e nella società del nostro paese. Istruttiva intanto per la lunghezza di quello che certo non è un maxiprocesso: l’episodio risale al 2006, la sentenza di primo grado è del giugno 2007 (e fu di assoluzione), ma ci sono voluti altri quattro anni per arrivare al giudizio di appello. Il che costituisce una forma di illegittima pena accessoria che colpisce in Italia quasi tutti gli imputati.
Istruttiva, la vicenda, anche per il contesto strettamente scolastico, tipico di moltissimi istituti: benché negli ultimi anni, grazie ad alcuni provvedimenti di Fioroni e della Gelmini, l’idea che un comportamento scorretto possa anche essere sanzionato abbia fatto dei passi avanti, è ancora molto diffusa la convinzione che la punizione sia più espressione di autoritarismo, di incapacità di educare e magari di un certo sadismo, piuttosto che la naturale ed educativa conseguenza di un comportamento scorretto, e magari gravemente scorretto (su questa tendenza, vedi l’illuminante commento di Maria Rita Parsi). Il logico risultato di questo atteggiamento è spesso l’accumularsi inefficace di rimproveri e magari di note sul registro, senza che ci si decida a fare nulla di più. Esattamente quello che era successo nel 2006 a Palermo. Un ragazzo con numerosi “precedenti”, incoraggiato dai troppo blandi provvedimenti (le cronache dicono ora sette ora dodici note sul registro), insieme a due amichetti insulta e umilia un compagno definendolo gay e femminuccia e impedendogli di entrare nel bagno dei maschi. La professoressa di lettere li sgrida e i due “compari” chiedono scusa alla vittima. Lui no, la guarda storto e si rifiuta tassativamente di scusarsi. La docente, decisa a non lasciare impunita una grave mancanza, gli impone di scrivere cento volte “Sono un deficiente”. Già allora scrivemmo che la frase avrebbe potuto piuttosto essere "Mi sono comportato da deficiente", ma che la vera domanda da farsi era: se la scuola avesse regolarmente sanzionato le infrazioni gravi con qualche giorno di sospensione, anziché regolarmente passarci sopra, la docente avrebbe sentito il bisogno di inventarsi su due piedi una punizione il più possibile adeguata alla gravità del fatto? Del resto va detto che in questo caso molti si schierarono con la professoressa. E meritoriamente l’Associazione radicale “Andrea Tamburi” di Firenze lanciò su nostra proposta una sottoscrizione di solidarietà per le spese legali, che raggiunse in poco tempo i 3529 euro e fece del caso una notizia di prima pagina sul "Corriere". Nel comunicato stampa si sottolineava appunto che “da molti anni gli insegnanti sono stati lasciati colpevolmente soli alle prese con il problema della condotta, che non di rado rende quasi impossibile il lavoro in classe. In questa solitudine la docente palermitana ha ritenuto necessario assumersi la responsabilità e l’onere – che sarebbe non solo della scuola italiana, ma dell'intera collettività – di difendere l'aggredito e punire l'aggressore.”
Da qui deriva il terzo elemento di riflessione: mentre la collega sta pagando le conseguenze di un’assunzione di responsabilità, quelli che alle loro responsabilità si sottraggono - per quieto vivere o per convinta adesione al perdonismo pedagogico - non corrono nessun rischio. Ma non esiste per gli insegnanti (e altrove) un dovere di prendere provvedimenti, quando ce ne siano gli estremi? La scuola dovrebbe riflettere molto sul prezzo che si paga in termini di “diseducazione civica” delle nuove generazioni, se troppo spesso non reagisce con fermezza ed equilibrio ai comportamenti sbagliati di chi è affidato alle sue cure.
Da leggere sullo stesso argomento anche il Buongiorno di Gramellini sulla “Stampa” di ieri.
Sul “Corriere della Sera” di oggi, Giovanni Belardelli mette a confronto Italia e Germania per come l’opinione pubblica giudica il “copiare”.
Da segnalare infine, da “ItaliaOggi”, i risultati di una ricerca sugli adolescenti condotta dalla Società Italiana di Pediatria, secondo i quali c’è da parte loro una richiesta di sentire maggiormente la guida dei genitori e un ampio consenso verso il rispetto delle regole.
GdF
5 commenti:
-quieta non movere- è il principio che ispira gli amanti del quieto vivere, assai diffusi tra gli impiegati. Forse la scuola è fatta più che da docenti come la professoressa di Palermo, da impiegati. Che cosa ne pensa il Gruppo di Firenze che tanto difende i docenti?
ho provato sulla mia pelle cosa significa essere lasciati soli da colleghi stronzi che durante i consigli di classe fanno a gara per dimostrarsi più benvoluti,più disponibili più bravi di te che forse non ci sai fare abbastanza.E' una sensazione sgradevolissima.Coccolano gli studenti che con loro tirano fuori la parte migliore.Peccato che alla fine dell'anno quei soliti studenti non abbiano imparato quasi nulla.
Le associazioni professionali nella scuola ed anche la Gilda degli Insegnanti in particolare nel primo periodo della sua esistenza sono nate per contrastare quel processo di impiegatizzazione ( che brutta parola !) dei docenti, iniziato negli anni '80, dovuto al carico di funzioni maggiormrnte burocratiche che leggi e leggine dello stato imponevano in quegli anni agli insegnanti.
Il Gruppo di Firenze che non a caso si batte per il merito e la responsabilità nella scuola si è costituito a partire da quelle esperienze politico-professionali e quindi scommette ancora sul docente come figura professionale e non impiegatizia in grado di essere motivato ed autorevole nei rapporti con gli studenti. Gli interventi sul Blog, le iniziative che il Gruppo di Firenze organizza, sollecitando la partecipazione di tutti coloro, istituzioni, partiti, sindacati, uomini di cultura ed ovviamente i docenti che credono ancora in una scuola rigorosa e seriamente formativa vanno nella direzione di "movere quieta" e di vincere questa scommessa sugli insegnanti, a partire dalla professoressa di Palermo.
Caro anonimo del 19 febbraio ore 17:08, se tra gli insegnanti si è diffusa la dimensione impiegatizia è soprattutto perché dall'alto, cioè dal ministero, e dall'esterno, cioè ad esempio dalla giustizia amministrativa, si è esercitata una pressione costante in tal senso per decenni, dal momento della selezione alla progressione di carriera alla montagna di adempimenti burocratici che ricorda Sergio Casprini (e che comunque non sono solo un ricordo del passato).
Se, poniamo, un Preside di Liceo scientifico (peraltro bravissima persona che ricordo con affetto) considerava più importante la conservazione dei materiali d'archivio che non l'attività didattica, al punto da devolvere mobili giunti nella scuola come armadi di classe all'uso di segreteria (rendendo così pressoché impossibile lo svolgimento serio di alcuni insegnamenti, per i quali l'armadio di classe avrebbe potuto parzialmente compensare l'assenza degli specifici laboratori), ciò derivava dalla pressione ansiogena, finalizzata al mero controllo degli "adempimenti", che verso di lui era esercitata dai suoi superiori.
E quante volte, in oltre vent'anni di insegnamento (ohimé), mi è capitato di sentire dire e ripetere che "nel merito" (di quello che insegni o non insegni, ma anche di come valuti gli studenti) nessuno potrà mai dirti niente, ma se sbagli qualcosa sotto il profilo formale sei fritto? E il peggio è che è vero (mi sembra che anche la sentenza di Palermo lo confermi); e allora anche i migliori (dei quali certamente non faccio parte) sono tentati di adagiarsi, nel lungo periodo.
Qui non si tratta di difendere o di attaccare chicchessia, ma di cercare di migliorare le cose, per quanto possibile; e mi sembra che il Gruppo di Firenze (che, nel suo piccolo, non rappresenta certo una voce inascoltata) dia un valido - soprattutto, concreto e non ideologico - contributo in tal senso.
Serenella ha detto...
Penso che oltre agli attestati di solidarietà all'insegnante di Palermo, sarebbe necessario iniziare una raccolta di firme diretta al Tribunale dei minori di Palermo per verificare se i genitori del ragazzo siano o no adatti nel loro ruolo e siano o no di danno al ragazzo.
Meritoria la raccolta di fondi e le solidarietà verso la collega fatta qualche anno fa da come si evince dall'articolo, ma voi del Gruppo di Firenze non pensate che la mia proposta possa essere una valida risposta nell'interesse del minore, della docente ingiustamente condannata e nei confronti di una scuola e di una società più giusta, retta e morale?
Veramente "Se non ora quando?"
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