sabato 14 aprile 2012

PER I PATITI DEL “DIALOGO” NIENTE REGOLE ANCHE PER L’ABBIGLIAMENTO

L’abbigliamento con il quale i ragazzi si presentano a scuola deve essere sempre decoroso e adatto al lavoro scolastico”. Questa la semplicissima prescrizione che decidemmo di inserire nel regolamento della mia scuola media una decina di anni fa, in risposta all’esposizione permanente di ombelichi, di mutande, di sederi che alla minima flessione sgusciavano dai jeans a vita bassa. Di proposito evitammo di imboccare il vicolo cieco dei dettagli e - peggio - delle misurazioni. Di proposito ci riservammo come educatori la valutazione insindacabile (non l’arbitrio) su cosa si poteva e cosa non si doveva tollerare. Ai nostri allievi spiegammo in due parole - non ce ne vollero di più - che a scuola non si viene per attirare l’attenzione, non ci si trova sulla spiaggia ed è meglio avere addosso abiti semplici e comodi. Punto. E così è stato senza nessun problema e con pochi garbati interventi, a volte in separata sede. Nessun genitore ha mai avuto da ridire.
Sembra la cosa più ovvia di questo mondo, ma anche qui i difensori del dialogo a qualunque costo non si danno per vinti, aggiungendo a volte all'opinione una certa dose di sufficienza, come quel preside Pessina di cui abbiamo già parlato a proposito del “mai meno di 4”. Richiesto di un parere sulle circolari con cui in questo periodo molti dirigenti raccomandano un abbigliamento “consono” all’ambiente scolastico, così risponde:
Che tristezza! Io non ho mai emesso circolari per dire ai ragazzi come si devono vestire e francamente mi sembra una questione vecchia e un po’ bacchettona”.
Di diverso parere il preside Sancilio di Lodi, che cita la scuola di Pitagora e auspica che sia il Ministero a emanare norme in materia.   (Giorgio Ragazzini)
La cronaca sul “Corriere della Sera” di Milano.
L’intervista al preside Pessina.
L’intervento del preside Sancilio.

6 commenti:

Pippo ha detto...

Pessina assassina ogni divieto. Troppo bieco e poco educativo non dialogare coi ragazzi. Ecco, la formula è perfetta, col dialogo e senza avere fretta si portano i ragazzi alla ragione. Pessina ha risolto i problemi dell'educazione mentre noi per lui ci stiamo a misurare ancora col punire e sorvegliare.

V.P. ha detto...

G.R. sembra essere d’accordo con Sancillo che cita Pitagora.

Io penso che si può essere di un parere oppure di un altro magari opposto. Ma non è logico né utile sostenere la propria posizione con citazioni di fatti passati o anche futuri (ipotizzati) parziali, selettive e affatto verificabili.

Nello specifico, Pitagora. In altre situazioni ricorre “ce lo chiede l’Europa” oppure copiamo solo un certo segmento da una certa realtà.

Tornando a Pitagora, risulta che (v. Wikipedia) aveva diviso i suoi discepoli, in due gruppi:

• I matematici (mathematikoi), ovvero la cerchia più stretta dei seguaci, i quali vivevano all'interno della scuola, si erano spogliati di ogni bene materiale e non mangiavano carne ed erano obbligati al celibato. I "matematici" erano gli unici ammessi direttamente alle lezioni di Pitagora con cui potevano interloquire. A loro era imposto l'obbligo del segreto, in modo che gli insegnamenti impartiti all'interno della scuola non diventassero di pubblico dominio;

• Gli acusmatici (akusmatikoi), ovvero la cerchia più esterna dei seguaci,ai quali non era richiesto di vivere in comune, o di privarsi delle proprietà e di essere vegetariani, avevano l'obbligo di seguire in silenzio le lezioni del maestro.

e poi aveva delle prescrizioni, quanto meno, opinabili e acronistiche:

A questo proposito John Burnet[5], nella sua opera Early Greek Philosophy, riprendendolo dal Diels[6] indica un elenco di quindici tabù[7] «di tipo assolutamente primitivo» imposti da Pitagora che per questo diviene un personaggio a metà tra il filosofo e lo sciamano[8]:

1. Astieniti dalle fave
2. Non raccogliere ciò che è caduto
3. Non toccare un gallo bianco
4. Non spezzare il pane
5. Non scavalcare le travi
6. Non attizzare il fuoco con il ferro
7. Non addentare una pagnotta intera
8. Non strappare le ghirlande
9. Non sederti su di un boccale
10. Non mangiare il cuore
11. Non camminare sulle strade maestre
12. Non permettere alle rondini di dividersi il tuo tetto
13. Quando togli dal fuoco la pignatta non lasciare la sua traccia nelle ceneri, ma rimescolale
14. Non guardare in uno specchio accanto ad un lume
15. Quando ti sfili dalle coperte, arrotolale e spiana l'impronta del corpo.

Giorgio Ragazzini ha detto...

A VP rispondo prima di tutto che è ovvio che io sia sostanzialmente d’accordo con il preside, dato che sostiene la stessa tesi, cioè che la scuola ha il diritto-dovere di stabilire e di far rispettare ragionevoli regole in merito al vestiario, ovvero soluzioni di buon senso nella forbice tra il burka e il tanga. Quanto all’uso delle citazioni, è vero che spesso sono più evocative o suggestive che probanti, anche perché sono parziali per definizione. Ma il loro uso è frequentissimo e serve anche mettere in dubbio l’eventuale ipotesi che la tesi sostenuta sia stravagante e senza precedenti. Nel caso specifico, a Sancilio importa ricordare che Pitagora finì per imporre una divisa comune a ricchi e poveri, i cui abiti denunciavano palesemente il livello sociale; una soluzione “che dava ai suoi allievi un senso di appartenenza, che offriva un elemento di decoro estetico e che li distingueva chiaramente dagli allievi delle altre scuole”. Per il resto, Sancilio è il primo a parlare di “stravanti regole” e “assurdi divieti” , quelli appunto riportati da VP.

Papik.f ha detto...

Purtroppo non esiste uno spazio per commentare le news sulla destra quindi inserisco il commento qui (anche perché in fondo c'è un certo nesso tra gli argomenti).
La collega Bellini del Volterra di Ciampino ha perfettamente ragione. Considerare gli alunni come utenti e poi come clienti è la prima fonte della rovina della scuola.
Un esempio sono anche tutti quegli alunni che, abitando lontano, vengono autorizzati a entrare anche venti minuti dopo gli altri e a uscire anche trentacinque minuti prima.
Ma questo non significa affermare implicitamente che quei minuti (quasi un'ora ogni giorno per tutti i giorni dell'anno) sono inutili e se ne può fare a meno? per non parlare delle classi nelle quali i casi sono molti e i primi venti minuti sono praticamente persi ogni giorno nell'attesa che arrivino "gli altri" (se si tratta di lezione frontale, non si possono escluderne alcuni; se di attività laboratoriale, si crea un'interminabile processione per prendere i vari materiali man mano che prosegue lo stillicidio degli alunni in arrivo).
Eppure si accettano diffusamente situazioni simili anche perché chi facesse il muso duro inevitabilmente perderebbe alunni a favore di altre scuole più tolleranti. E perdere alunni, questo la collega non lo ricorda esplicitamente, significa perdere posti di lavoro, cioè significa che docenti anche di età avanzata sarebbero a rischio di trasferimento forzato. E' un esempio di quello che intendevo dire in altri post evidenziando la tendenza italica a prendere sempre gli aspetti peggiori (in questo caso della concorrenza tra scuole).

Gruppo di Firenze ha detto...

E' ORA POSSIBILE COMMENTARE direttamente in fondo al testo l'intervento di Marcella Bellini "Studenti o clienti?".
Il commento di Papik.f è già stato copiato in quella sede.

Edoardo ha detto...

Non sono raccomandazione campate per aria quelle di Pitagora.Bisogna interpretarle
La prima ha a che fare con il favismo, crisi emolitica del sangue, presente in Calabria come fattore genetico (Pitagora viveva a Crotone). 15 anni fa un mio collega calabrese si è salvato per un pelo. Si è fatto un mese d'ospedale per un piatto di fave (mangiato per la prima volta senza pasta!). Altre riguardano la sicurezza a vario titolo(n. 5, 6, 11), le norme igieniche (n. 2, 7), quelle religioso-sacrali (n.3, 8, 10 e 12: non fidarsi di sconosciuti), comportamentali (n. 13, 15: ordine, non sciatteria), ecc.