Da tempo
l’ex-ministro Berlinguer è impegnato in una sua personale campagna contro
l’insegnamento “trasmissivo”. La rilancia anche in un’intervista
al “Sussidiario.net”, in cui indica papa Francesco come esempio di didattica
interattiva. Ma le semplificazioni con cui l’ex ministro conduce la sua battaglia
meritano qualche considerazione.
La prima
riguarda l’inadeguatezza del termine “trasmissivo”, perché non si vede
cos’altro debba fare una società se non trasmettere alle nuove generazioni (con
le più varie metodologie di insegnamento e attraverso altri canali) il proprio
patrimonio culturale, del quale fa parte a pieno titolo, almeno nella cultura
occidentale, l’idea di un suo continuo ripensamento per adattarlo
all’evoluzione sociale.
Non
corrisponde poi alla realtà, almeno per l’esperienza e le testimonianze su cui
si basano le mie convinzioni, l’immagine che Berlinguer continua a riproporre
di una scuola che in grande maggioranza vedrebbe gli insegnanti parlare
ininterrottamente a degli allievi che tacciono senza poter interloquire, quasi
fossimo all’anno zero della riflessione pedagogica
e didattica. Ne è così convinto da rivolgere ai docenti questo ammonimento
intriso di disistima: “Quello che voi fate non può essere un supplizio
per chi sta dall’altra parte, deve divertire, appassionare”. Di stili e di
metodi di insegnamento ce n’è invece di tutti i tipi, anche se è certamente auspicabile un
confronto professionale sempre più ampio e arricchente all’interno delle
scuole.
Ma non è
neppure corretto sostenere senz’altro che “non possiamo più presentare ai
giovani un trattato, un complesso di conoscenze strutturate, statiche, come
spesso in molti fanno ancora oggi, perché a loro non piace”. Le conoscenze
devono per forza, via via che si va avanti, strutturarsi in maniera sempre più
organica, altrimenti rimangono frammentarie e superficiali. Ma questo non ha
alcun legame con il modo, più o meno interessante e approfondito, con cui
vengono proposte.
E siamo, qui,
al punto essenziale: la vera contrapposizione non è quella tra insegnanti
trasmissivi e insegnanti interattivi, ma tra quelli bravi e quelli che non lo
sono. E un bravo insegnante deve conoscere bene la sua materia, avere
competenze relazionali adeguate, saper incuriosire e appassionare gli allievi con i
metodi con cui riesce meglio a esprimere il suo talento didattico e le sue
competenze. Ci sono docenti capaci di splendide lezioni frontali, altri
che guidano i propri allievi alla scoperta della materia attraverso le modalità
della didattica attiva; e sono in tanti quelli che alternano modi diversi di
insegnare. Vale anche per il papa, perché neppure lui è sempre “interattivo”.
Spesso anzi fa la cosa più “trasmissiva” di questo mondo: legge il suo
discorso.
Giorgio
Ragazzini
(“ilsussidiario.net”,
21 maggio 2014)
31 commenti:
L'intervista meriterebbe commenti articolati e a me, come ho già detto nel thread precedente, mancano le forze davanti a una simile esibizione. Però a dirla lunga è già quel "perché a loro non piace".
Dalla Scuola al Paese dei Balocchi, per ritornare a Pinocchio, di cui si parlava in precedenza ...
Sembrava che l'ex ministro Berlinguer almeno su alcune cose si fosse ravveduto. Invece il richiamo della foresta del cattocomunismo (con il suo contorno, nell'insegnamento, di donmilanismi e altre consimili diavolerie) è sempre più forte di qualsiasi altra cosa.
Un solo commento: tali posizioni pedoideologiche sono caratterizzate da una sconcezza disarmante . Come rendere innocue certe persone? Questo è il dilemma.
Berlinguer se la prende con la scuola e con i docenti, come se la sinistra non avesse avuto l'egemonia nella gestione della scuola e sul metodo di reclutamento dei docenti. Gratta gratta, emerge sempre l'anima del dogmatico populista, di scarso valore culturale e di scarse vedute. Assopito alle posizioni della cgil, forse ama restare a galla per recuperare le frustrazioni dei suoi fallimenti di ministro. In altre parti del mondo di un politico così non se ne parlerebbe più, ed invece.....
Deve tutto al cognome e alla parentela. Il solito familismo che di generazione in generazione è arrivato al capolinea perché non ne possiamo piùùùù e quello che ci aspetta grazie a questi gradassi potrà essere micidiale.
Deve tutto al cognome e alla parentela. Il solito familismo che di generazione in generazione è arrivato al capolinea perché non ne possiamo piùùùù e quello che ci aspetta grazie a questi gradassi potrà essere micidiale.
Certamente non il solo colpevole. Anche prima di lui e anche dopo di lui non si è scherzato. Forse la rabbia del GdF nei suoi confronti è troppo esagerata. Che ne dite?
L'indignazione (non "rabbia", quella mai) è diretta a quanto dichiarato dal signore in questione nella recente intervista linkata, non alla sua opera di ministro, che è stata fors'anche alla pari di altre precedenti e successive (personalmente non direi, basti considerare la procedura resa necessaria dal suo "Statuto" per assumere un provvedimento disciplinare) ma che non è comunque l'argomento qui in discussione.
Ma basta con questi personaggi. Hanno mai insegnato?
Forse canto fuori dal coro (ma non è detto sia un male), eppure l'ex ministro Berlinguer mi sembra dica una cosa vera, seppur da non generalizzare.
Se nella scuola primaria la didattica è in maggioranza interattiva, si paga tuttavia la tanta ignoranza: per la mia ultra decennale esperienza di docente di sostegno, quindi compresente alla lezione, stimerei un docente su 5 veramente competente. In realtà la gran maggioranza delle maestre usano schede fatte da altri per sopperire alla scarsa consocenza disciplinare.
Alla secondaria il problema si ribalta: alla competenza disciplinare, in genere sufficiente o buona, si associa spesso la incapacità di uscire dalla lezione frontale, mascherata (malamente) con il ricorso a qualche lavoro di gruppo (fatto però senza rispettare la vera metodologia del cooperative learning), qualche presentazione da parte degli alunni (senza spiegare loro i principi di base della comunicazione multimediata), qualche ricerca da fare a casa (senza educare al confronto e alla verifica delle fonti).
Certo anche qui ci sono colleghi che fanno eccezione, bravissimi, ma a mio parere pur sempre una minoranza.
Gentile anonimo, lei fa delle considerazioni vere relativamente alle disfunzioni metodologiche sia di alcune maestre che di alcuni professori.
Però dalla mia modesta esperienza di insegnante di secondaria di primo grado noto come i miei problemi più contingenti derivino dalla mancanza di TEMPO utile per fare tutte quelle belle cose consigliate da tanti pedagogisti, fra cui il prof. Berlinguer, che vadano al di là della lezione frontale e dalle esercitazioni in gruppo o da soli in classe.
Inoltre noto come fra i maestri tanti problemi derivino da una sorta di lavaggio del cervello ricevuto dovuto all'influenza degli stessi pedagogisti di cui sopra.
Ricordo ancora le mie maestre bravissime che insegnavano con le lezioni frontali, le esercitazioni in classe e i compiti a casa.
Un fatto è certo: tanti problemi relativi all'insegnamento si attenuerebbero nel momento in cui:
- fosse obbligatorio per un professore universitario di metodologia didattica e di pedagogia lavorare (anche in part time) presso le scuole dell'obbligo o secondarie per acquisire esperienza e pragmatismo;
- vi fossero dei mezzi e materiali per poter effettuare l'autoaggiornamento e un confronto fra noi docenti (cooperative learning);
-si stabilisse in ogni scuola un numero limitato di fotocopie per ogni docente su base mensile o anche annuale (utilizzare la scheda personale con numero limitato di copie);
- si rispettasse universalmente la nostra libertà di insegnamento.
Sia ben chiaro il fatto che io sia favorevolissima alle lezioni puramente trasmissive nel momento in cui non ho TEMPO e STRUMENTI.
Tutto questo in un contesto in cui l'educazione e il rispetto delle regole da parte di alunni e docenti non devono minimamente essere messi in discussione.
Gentile Ludovica, capisco che lei si senta poco compresa dal mondo accademico e in tanti casi ha ragione. Tuttavia posso assicurarle che altri docenti universitari hanno stretti contatti, se non vere e proprie collaborazioni di ricerca-azione, con gruppi di docenti.
Circa le fotocopie concordo. Tuttavia la questione tempo a volte c'entra, altre volte no. Ad esempio, se invece di leggere il capitolo del manuale di psicologia su un argomento, ad es. gli atteggiamenti, faccio fare un semplicissimo progettino sperimentale, lo faccio attuare a casa (es. tra parenti), elaboro con la classe i dati stilando alla fine un "paper", sono certo che i miei alunni sapranno veramente cosa sia la psicologia sperimentale, sapranno che la "verità" dei dati dipende dalla solidità dell'impianto sperimentale e degli indici statistici usati, come si legge un a pubblicazione scientifica.
Forse il tempo necessario potrebbe essere superiore a quello della lettura sic et simpliciter del capitolo, ma è anche vero che così entrano in gioco conoscenze trasversali e competenze plurime, il che vuol dire che i docenti devono cominciare a pensare in termini di progettazione coordinata.
Certamente lei ha ragione (su tempo e strumenti) se si intende fare questo in una scuola dove gli apprendimenti disciplinari restano ancora troppo "paralleli" e dove i curricoli sono contraddittori, perchè a fronte di tanti proclami sulle competenze declinano soprattutto elenchi di contenuti.
Caro Anonimo, il punto in discussione non è se e in quale misura le attività di ricerca individuale o in gruppo o il laboratorio siano utili all'insegnamento (questione che a mio parere, come affermava sopra GR, non ha né può avere una soluzione univoca).
Il punto è se sia giustificata o condivisibile una visione manichea come quella propugnata dall'ex-ministro per la quale la trasmissione di contenuti e conoscenze dal docente agli allievi sarebbe in sé da condannare.
Per quanto mi riguarda, ad esempio, svolgo un'attività di laboratorio per diverse ore alla settimana. Ma se non pensassi di avere qualcosa da trasmettere ai miei alunni (anzi, dovrei dire studenti, per non incorrere nelle ire del suddetto ex-ministro), forse farei meglio a starmene a casa.
Se la scuola non è un luogo ove si verifica una trasmissione di conoscenze, meglio chiuderla; poi possiamo discutere quanto vogliamo sul modo migliore in cui questa trasmissione può avvenire.
Del tutto assurda, e rivelatrice di un retropensiero allarmante, poi, è la postilla "perché a loro non piace" che ho citato anche sopra. Qualunque comportamento serio, non solo di studio o lavorativo ma anche nella vita privata - e non parliamo poi dello sport - inizia lì dove finisce la superficialità del "mi piace" iniziale, che magari ha lecitamente portato a scegliere un certo indirizzo di studi, per trasformarsi in un impegno continuativo e faticoso. Poi, certo, se l'oggetto dell'attività appassiona, la faticosa applicazione sarà ricompensata da una soddisfazione personale, ma su un piano ben diverso da quello del "mi piace".
Gentile Papik.f, sono d'accordo, ma non mi sembra che Berlinguer dicesse quanto lei riporta. "Non possiamo presentare ai giovani un trattato, un complesso di conoscenze strutturate, statiche". Certo poi aggiunge "perchè a loro non piace", ma a me quest'ultima sembra una sintesi del giornalista di un concetto più nobile: importanza della motivazione, dell'uso di linguaggi e modalità prossime alla cultura del ragazzo, che è il vero primo attore dell'apprendimento (e lo diceva già S. Tommaso d'Aquino).
A me sembra condivisibile che la "materia" dell'apprendimento sia non solo e non tanto una struttura di conoscenze, quanto il processo storico di ricerca che ha condotto a quella struttura e che porterà insieme a superarla. Insegnare un atteggiamento scientifico (ma anche artistico, sportivo, letterario...) non è forse insegnare a superare lo status quo delle conoscenze, a partire da esse e dal modo in cui ci sono pervenute ?
Mi sembra che sopra dicevo qualcosa di più di mero attivismo metodologico: parlavo di un apprendimento del metodo stesso come oggetto prioritario della didattica. L'alunno che conosce bene il manuale di psicologia, ma non sa come nasce un esperimento, o come si fa un'osservazione sistematica, a mio parere non ha ancora colto la verità e la vitalità della psicologia. E questo mi sembra volesse dire anche Berlinguer. Certo, può darsi che io sovrastimi le sue parole, ma può anche darsi che avvenga il contrario. Io, per buona abitudine, cerco di pensare prima il meglio. "In dubio pro reo"
Certamente, lo ammetto, la mia lettura delle parole dell'intervista è fortemente influenzata da come si è comportato il prof. Berlinguer in veste di ministro. L'onta del "6 rosso" nel calcolo dei crediti e l'arroganza con la quale si respinse ogni osservazione da parte delle scuole che ne faceva rilevare l'ingiustizia, tanto per dirne una.
Questo mi porterebbe ad applicare il "timeo Danaos et dona ferentes" anche se il suddetto dicesse cose che in linea generale condivido. Tanto più se in linea generale non le condivido, o almeno non ne condivido i toni perentori e ultimativi, come nel caso in oggetto.
per l'anonimo: io invece ho delle enormi perplessità PROPRIO su questo concetto su cui si insiste, secondo cui la scuola e gli insegnanti dovrebbero sforzarsi, sbracciarsi e scapicollarsi per imparare a usare un linguaggio "simile a quello dei ragazzi", e adeguarsi a quello.
I ragazzi sono già liberissimi di utilizzare il loro linguaggio abituale in tutti gli altri contesti della vita privata e pubblica, senza che nessuno li condanni o li penalizzi per quello.
La scuola, al momento, è uno dei pochissimi ambiti in cui hanno ancora la possibilità di essere esposti a un altro linguaggio, e di maturare una consapevolezza che esistano registri di linguaggio diversi destinati a situazioni diverse.
Tutto questo, da parte mia, non ha la minima implicazione elitaria o autoritaria (io di sicuro sono nota per essere una degli insegnanti MENO formali in assoluto del mio ambiente), ma esclusivamente culturale.
In un contesto in cui sta completamente scomparendo la pluralità di linguaggi, di toni e di forme in qualsiasi ambito, perché tanto si pensa che "tutti parlino allo stesso modo" sempre e comunque in qualsiasi situazione, mi pare che un minimo sforzo per tenere i ragazzi ancorati anche all'esistenza di varianti che non conoscono, non sia affatto da disprezzare.
L.
Gentile Anonimo, come vede concordiamo un po' tutti, compreso lei, sul fatto che una visione manichea, alla ex ministro Berlinguer, dell'insegnamento di cosa è bene e cosa è male ci può solo fare del danno e basta.
Ritorno a dire che la "libertà di insegnamento" che i nostri padri costituenti hanno saggiamente previsto nella nostra bistrattata Costituzione italiana è quanto di più vero ci possa essere e da seguire senza tentare di arrampicarsi sugli specchi.
Ogni insegnante ha il suo metodo di lavoro e come dice giustamente il prof. Ragazzini vi è chi è bravissimo (e oltremodo motivante con i suoi alunni) a svolgere lezioni di tipo frontale e chi in altro.
E comunque la motivazione spesso passa non dal "mi piace" riferito al CONOSCIUTO, ma piuttosto a quello che tramite il TRASMISSIVO si insegna alle nuove generazioni a conoscere.
Ad uno studente come mai potrà piacergli la storia, la scienza, la finanza o l'archeologia o qualsiasi altra disciplina connessa ai suoi strumenti e utilità se non si ha la possibilità di potergliela far conoscere sia inizialmente in rudimenti (scuola dell'obbligo) sia in modo approfondito (scuole secondarie e università preposte) in un LUOGO adatto (la scuola), secondo determinati vincoli di PROGRAMMI DI STUDIO offerti, con STRUMENTI idonei e con TEMPI per svolgersi a disposizione?
Altrimenti il suo "mi piace" resterà in possesso alle agenzie della pubblicità interessate più al consumo e al denaro (vedi le app che sono a pagamento; le discoteche che prevedono il pagamento del biglietto e delle bevande; i vestiti alla moda; etc).
Chi segue la sirena dei Berlinguer di turno, è realmente in grado di lasciar perdere questi futili discorsi basati sul manicheo?
Caro Anonimo relativamente alle ricerche-azioni ho avuto modo di sapere che ad essere interessate a ciò per il 90 per cento sono le scuole superiori.
Ho avuto modo di conoscere qualche ricerca -azione proposta alle scuole dell'obbligo da parte di Università e le dico francamente che non ho mai accettato di partecipare per la fumosità delle finalità e inoltre per il carico di lavoro eccessivo imposto ai docenti delle scuole dell'obbligo senza corrispettivo (inoltre) da un punto di vista remunerativo, mentre per i docenti universitari erano previste delle prebende orarie di spessore.
Altra critica feroce che muovo verso loro è il fatto che: COME POSSONO dei docenti universitari avere la presunzione di imporre dei progetti e dei contenuti senza mettersi a tavolino con noi che lavoriamo nelle scuole dell'obbligo?
Perchè arrivano nelle scuole con il progettino già fatto e rigido in modo che il Dirigente scolastico poi vada a cercare lo scemo o la scema di turno?
Chi diavolo si sentono? Cosa ne capiscono loro di scuola???
Ritorno a dire che per il bene del sistema di istruzione italiano sarebbe il caso di IMPORRE ad un docente universitario di metodologia o di pedagogia la frequenza almeno part time in una scuola dell'obbligo o superiore.
Mi spiace sentire commenti in cui si finisce nello stesso errore che si critica.
Berlinguer non mostra affatto una visione manichea, perchè dice, forse sinteticamente ma si tratta di un articolo, ciò che Dewey e tanti altri hanno detto già da molto tempo. Se qualcuno non è d'accordo con 100 e passa anni di pedagogia allora è un problema suo, non di Berlinguer.
Poi l'attacco al mondo accademico è veramente fuori luogo: conosco diversi professori universitari di didattica, diversi dei quali con un passato "tra i banchi", in tanti comunque con collaborazioni con gruppi di docenti, molto soddisfatti di ciò. E anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado.
Quando poi dicevo di usare il linguaggio dei ragazzi, certamente non intendevo dire che bisogna evitare il linguaggio tecnico disciplinare, ma che ogni didattica usa dei mediatori (vedi Feuerstein, ex multis), e ogni linguaggio ha bisogno di interfacce. Ad uno studente universitario puoi richiedere l'adeguamento diretto al linguaggio tecnico, man mano che scendi di età devi portare al linguaggio tecnico mediando con quello comune.
Mi sembra che diverse cose che ho letto qui siano manichee, molto più di quanto possa esserlo stato Berlinguer.
Poiché sono stato il primo a fare riferimento a una visione "manichea" vorrei precisare che non mi riferivo tanto ai contenuti delle affermazioni di Berlinguer quanto ai toni da lui usati, che sembrano peraltro essere integralmente suoi e non introdotti dall'intervistatore.
Un atteggiamento del tipo "chi non la pensa come me su tutto è un incapace".
Poi, abbia pazienza, caro Anonimo, ma affermare che chiunque osi mettere in dubbio che le concezioni di Dewey siano le uniche accettabili vuol buttare a mare 100 anni e passa di pedagogia, non è proprio un esempio di disponibilità alla discussione.
Tra i pedagogisti degli ultimi 100 anni c'è stato anche chi all'attivismo pedagogico si è decisamente opposto e lo ha considerato rovinoso.
Io non so se sia rovinoso in sé, ma sono convinto che proporlo come unica modalità valida di insegnamento lo sia certamente, come del resto per qualsiasi altra concezione. Perché si scade dalla ricerca di soluzioni alla volontà di affermazione ideologica.
Gentile Papik.f, in effetti ho sbagliato con il riferimento al '900: si potrebbe risalire a Comenio ('600), a S. Tommaso d'Aquino e persino a S. Agostino. Quindi non da un centinaio di anni, ma da molto più tempo la riflessione e le scienze dell'educazione ritengono che lo studente sia attivo protagonista dell'apprendimento (anche se non autosufficiente e non autodiretto in ciò) e che la comunicazione didattica debba tenere conto delle sue caratteristiche evolutive. Questo non vuol dire fare dell'attivismo pedagogico, che mi sembra confondiate con un discorso pedagogico più ampio e più antico. Del resto lo stesso attivismo è un contenitore molto vasto al cui interno vi sono state posizioni variegate e addirittura contrastanti.
Come dicevo, prima ancora dell'attivismo citavo Comenio, ma si può pensare anche a Don Bosco, alle tante congregazioni cattoliche con finalità di istruzione dell'800. Persino S. Ignazio di Loyola preferì il "metodo parigino" a quello italiano, in quanto il primo era più attento al contesto e alle caratteristiche dello studente.
Ora, si può anche non essere d'accordo, ma non si può certo dire che tutto ciò sia l'invenzione estemporanea e manichea di un Berlinguer !
Se poi si vuole condannarne "l'atteggiamento", come ho detto per farlo si deve fare opera di interpretazione, quindi la prudenza è d'obbligo nell'emettere sentenze di condanna.
Del resto Berlinguer ha dei meriti che a mio parere lo pongono come uno dei ministri meno negativi del recente passato.
Alcune norme amministrative emanate da lui non erano niente male nel senso della rianimazione di questa ingessata scuola italiana (l'aggettivo non è casuale).
E' stato poi quello che ha avuto il coraggio di dire che "pubblico" non equivale a "statale": a lui dobbiamo la Legge che individua la scuola pubblica formata da quella statale e quella parificata, distinguendo così la costituzione dei principi e delle regole dalla gestione di un servizio.
Quanto a certi giudizi sul mondo accademico ripeto che mi sembrano generalizzazioni gratuite e poco fondate sulla realtà. C'è docente e docente, come c'è università e università.
Spero comunque che la discussione possa essere contenuta in toni cordiali, pur nella diversità di vedute.
E' stato poi quello che ha avuto il coraggio di dire che "pubblico" non equivale a "statale": a lui dobbiamo la Legge che individua la scuola pubblica formata da quella statale e quella parificata,
E solo per questo lo considero un criminale e un nemico della civiltà.
Problemi?
L.
Sig. Anonimo, sono d'accordo con paniscus sul fatto che considero anche io deleterio e criminale il concetto di Berlinguer (anticostituzionale per giunta) che una scuola parificata privata è anche da considerare pubblica.
Non lo è. Mi dispiace. Ed anche io combatterò perchè il pubblico resti pubblico e inoltre che il privato non abbia più diritto a contributi pubblici.
Siamo vissuti troppo tempo nell'ambito dell'incostituzionale! Ma finiamola!
Poi, mi scusi, ma relativamente alle relazioni fra università e scuole dell'obbligo o superiori le risulta che da qualche parte i docenti universitari abbiano dei rapporti di "lavoro" e di "remunerazione" alla PARI con i docenti delle scuole? Le risulta di qualche docente univrsitario che si è seduto a tavolino con i suoi colleghi delle scuole inferiori per decidere i contenuti e le modalità di una qualsiasi ricerca-azione? Me lo dica per favore.
Lo sa come mi sembra il rapporto dei docenti universitari con quelli della scuola dell'obbligo o superiore?
Come quello dei colonnelli freschi di accademia militare, ma senza alcuna esperienza, che vogliono comandare sui veterani.
Se i docenti universitari desiderano non attirarsi più il ludibrio dei loro colleghi di "razza inferiore" facciano in modo di andare "sul campo di battaglia" perennemente, ossia insieme alla docenza universitaria abbiano in scuole anche il part time, non importa di quale disciplina.
In questo modo non solo si renderebbero conto delle difficoltà che incontrano i loro colleghi, ma anche la loro "metaconoscenza" si arricchirebbe di contenuti pratici perchè esperenziali.
Il miglior modo di fare ricerca-azione è quello di farla personalmente e NON FARLA FARE AD ALTRI E POI SPECULARE ALLE LORO SPALLE!
Come ho detto prima anche a me si è offerto il "pacchetto regalo" di una università, che non dico, rigido nei contenuti, nelle metodologie e nei strumenti da adottare, massacrante per le incombenze burocratiche e irrisorio per il compenso che mi si dava, a mio parere tutto fumo per gli obiettivi da raggiungere.
Di convesso tale progetto offriva un lauto compenso ai docenti universitari che lo avevano progettato e che dovevano portarlo avanti fino alla conclusione.
Signor Anonimo, stia tranquillo sui modi di condurre le discussioni qui in blog. Per quanto mi riguarda (e penso che sia lo stesso per gli altri partecipanti) la cordialità e imprescindibile! Si discute sugli "argomenti" e non sulla "persona".
Ma non può dare a se stesso, qui in blog, un nickname qualunque?
Un bel successo contro la trasmissione del sapere: nei libri di 5a elementare il mio bambino studia il tenente Colombo e Jessica Fletcher. Se i giovani sono ignoranti, forse la colpa è di chi toglie dai libri di scuola i contenuti culturali e ci mette la paccottiglia televisiva.
Io al mio leggo Pascoli ogni sera: è un successone. Peccato che dovrebbero farlo a scuola ...
Ma davvero insegnano i telefilm e non fanno più studiare le poesie? Non ci posso credere. Chi scrive i libri di testo, degli imbecilli?
Il lavoro educativo dei genitori è ovviamente imprescindibile. A scuola pure. E' da anni che propongo poesie da imparare a memoria, la lettura dei miti in prima media, la Divina commedia in seconda e romanzi e novelle al terzo anno. Cosa si può fare di più? Sono graditi dei suggerimenti.
Se dal tenente Colombo si risalisse a Dostoevskij e a Porfirij Petrovic di Delitto e Castigo, sviluppando una riflessione sul doppio (Porfirij doppio di Rodion -Raskol'nikov- entrambi si richiamano al rosso) e sul rimorso che non molla mai il colpevole, proprio come Colombo non molla mai la sua "preda" ....
Ma temo che, anche volendo, in quinta elementare tutto ciò sia un po' improbabile.
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