“La Stampa” pubblicava ieri in prima pagina un intervento di Umberto Veronesi (Ma io boccio la scuola che boccia), il quale, spiace dirlo, ha pensato di spendere la sua grande autorevolezza in un campo in cui autorevole non è, come mostrano le cose che scrive. Pur dicendo di apprezzare diversi aspetti dell’analisi di Marco Rossi Doria sulle stesse colonne (questa sì autorevole, perché fondata sulla profonda conoscenza delle cose di cui tratta), non sembra averne colto soprattutto il rigoroso riferimento ai fatti. L’articolo di Veronesi mette insieme molti degli slogan e dei luoghi comuni prodotti nelle ultime settimane dal dibattito sulle bocciature (il fallimento della scuola, l’autoritarismo obsoleto, la cultura nozionistica, la bocciatura come punizione), suggerendo che “la scuola dovrebbe essere in grado di stimolare la curiosità e la creatività”, un po’ come consigliare a un chirurgo l’uso del bisturi.
Sempre sul quotidiano torinese, quasi come in risposta a Veronesi, si può leggere oggi un editoriale di Luca Ricolfi (La scuola ha smesso di insegnare). Anche Ricolfi, come Rossi Doria, invita a partire dalla realtà dei fatti, anche se risulta politicamente scorretto, e conclude la sua analisi affermando che “la scuola facile si è ritorta innanzitutto contro coloro cui doveva servire: un sottile razzismo di classe deve avere fatto pensare a tanti intellettuali e politici che le «masse popolari» non fossero all’altezza di una formazione vera, senza rendersi conto che la scuola senza qualità che i loro pregiudizi hanno contribuito ad edificare avrebbe punito innanzitutto i più deboli, coloro per i quali una scuola che fa sul serio è una delle poche chance di promozione sociale.”
giovedì 23 luglio 2009
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3 commenti:
Anch'io boccio la scuola che boccia, soprattutto all'ultimo anno, all'esame di maturità. E' assolutamente inutile bocciare uno studente alla fine del percorso di studio, dopo che faticosamente lo si è trascinato per anni con i soliti arrotondamenti di voti(quanti 4 sono diventati 6 nello scrutino finale?!). Bisogna, secondo me, operare all'inizio una giusta selezione,senza falso buonismo né ipocrita garantismo! La soluzione è fin troppo semplice: "caro ragazzo, questo tipo di studio non fa per te, scegli altro!"... Perché risulta così difficile fare questa semplice operazione?
Le considerazioni di Luca Ricolfi sono in larga misura condivisibili. C'è una frase, però, che non mi convince, ed è la seguente: "Chi ha avuto una buona istruzione spesso (non sempre) ce la fa, chi non l’ha avuta ce la fa solo se figlio di genitori ricchi, potenti o ben introdotti". A mio parere sarebbe più realistico dire: "Chi avuto una buona istruzione spesso (quasi sempre) viene emarginato a vantaggio di chi magari non l'ha avuta ma è figlio di genitori ricchi, potenti o ben introdotti". Io credo, infatti, che la scuola antimeritocratica non sia piovuta sull'Italia dallo spazio extraterrestre, ma sia l'esatto specchio di una società che è essenzialmente antimeritocratica e intende continuare a esserlo (a cominciare dalle istituzioni accademiche alle quali appartiene il prof. Ricolfi).
Con questo, grazie per l'apprezzamento per alcuni interventi precedenti e buone vacanze a tutti.
Cara Rossana,
proprio perché troppi studenti sono stati trascinati all'esame di maturità con disonesti arrotondamenti, è opportuno, e talvolta inevitabile, porre questi giovani del tutto impreparati di fronte alla realtà e, almeno tardivamente, mostrare loro che nella vita occorre serietà e impegno. Chi scrive ha partecipato a numerose commissioni di maturità che hanno maturato, a maggioranza, candidati che affermavano che il sole gira intorno alla terra o che non sapevano niente della Shoah: non credo che gli sia stato fatto un favore o che, quando incapaci di accedere dall'università, non abbiano rimpianto gli anni perduti a cazzeggiare in classe. Chi scrive ha assistito troppe volte al pietoso spettacolo dei commissari interni indaffarati a proteggere con accese discussioni emeriti somari e a non spendere una parola, una sola!, per chi si faceva dignitosamente il suo esame e al quale invece si facevano le pulci. Perché risulta difficile "operare all'inizio una giusta selezione"? Perché all'inizio, in mezzo o alla fine, educare e insegnare e, se del caso, bocciare significa assumersi responsabilità e cercarsi rogne; perché si trova sempre un buon motivo per non "penalizzare" chi non ha voluto durante tutto l'anno spegnere il telefonino e sedersi a studiare; perché la dotazione organica di un istituto dipende dal numero degli alunni iscritti e quindi oltre un certo limite non si può non dico bocciare, ma neppure pretendere di svolgere un programma serio: nella stessa città si trova un'altra scuola "più facile" o presunta tale in cui trasferirsi. C'è infine un ulteriore "argomento" che si sente spesso tanto nei consigli di classe come nelle commissioni d'esame: noi mettiamo voti bassi/rimandiamo/bocciamo/siamo severi e invece nella classe/commissione/scuola a fianco... Non nego che non possa essere così, ma proprio per questo bisogna pur iniziare da qualche parte. Allora ognuno, al suo posto, si assuma le sue responsabilità: chi sente di avere un dovere nei confronti dei suoi studenti e del Paese in cui vive, agisca, insegni, educhi con serietà, equilibrio e coerenza. Non mancheranno i detrattori, ma la storia lo assolverà.
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