lunedì 28 marzo 2011

I “NATIVI DIGITALI”: REALTÀ O STEREOTIPO?

Ancora un articolo che parla di "nativi digitali" per dichiarare superata, o superanda, la scuola attuale: La nuova "alleanza" tra nativi digitali e prof può cambiare la scuola , di Annamaria Poggi su "ilsussidiario.net". Con un mio commento, seguito da quello di Giorgio Israel. (GR)

domenica 27 marzo 2011

DA BARBIANA A BARBAIANA

 
Il giovane parroco di Barbaiana (frazione di Lainate) ha deciso, con apprezzabile fermezza, di tener fuori dall’oratorio una quarantina di adolescenti violenti e prepotenti (leggi). Don David dichiara che in un’altra delle tre parrocchie di cui è reggente qualcuno gli ha dato del lassista perché si è limitato a buttar fuori dall’oratorio solo un ragazzo. Segno, quest’ultimo, di come la prepotenza delle bande di bulli (in questo caso tutti italianissimi) sia sempre meno tollerata dalla gente, perché evidentemente sta prendendo sempre più campo.
In questi ultimi anni l’attenzione degli “educatori” è stata rivolta prevalentemente e prioritariamente ai bulli piuttosto che alle vittime, come più volte ha denunciato il neuropsichiatra Michele Zappella. Un atteggiamento dovuto in gran parte ad una sorta di connubio tra un pensiero cattolico quanto mai banalizzato e un altrettanto banalizzato pensiero marxista d’impronta sociologico-paternalista. Questa deriva buonista cominciò a dare il peggio di sé dopo i primi arresti dei terroristi e dopo il “passaggio a regime” dell’ideologia sessantottina. Nei primi anni i buonisti si impegnarono esclusivamente nel recupero dei “rossi” e solo in un secondo momento misero la loro bontà al servizio anche dei terroristi “neri “. Dall’imperare del buonismo non si erano nel frattempo salvate le aule scolastiche; e infatti ai bulli fu rivolta gran parte dei progetti tesi a sostenerne il recupero e l’inserimento nella comunità scolastica. Ovviamente passatista o fascista veniva considerata l’idea di sanzionarli con sospensioni o altra roba del genere. Come spesso avviene in una società essenzialmente di stampo consumistico, anche nei confronti dei ragazzi “ difficili”, o presunti tali, si è in seguito sviluppato un processo analogo. Infatti, qualsiasi tipo di difficoltà scolastica un ragazzo presenti, si va sempre più alla ricerca, da parte innanzitutto dei genitori - spalleggiati da psicologi ed “esperti” di varia natura in cerca di occupazione - di una qualche patologia (sia essa di carattere sociale che di altra natura), che serva a trovare attenuanti e giustificazioni varie alle difficoltà comportamentali che i ragazzi presentano e che vanno pertanto tollerate e sempre accompagnate da materna comprensione.
Di progetti per aiutare le vittime, per lungo tempo, non vi è stata traccia neanche nelle scuole, figuriamoci al di fuori del mondo scolastico! Molti di loro, per anni e anni, hanno vissuto l’ulteriore umiliazione di vedere gran parte delle energie e delle risorse scolastiche impegnate a vantaggio dei loro compagni degni, in quanto carnefici, di maggior attenzione, rispetto a loro, visti talvolta dagli educatori come una sorta di privilegiati perché non toccati dal male o dalla malasorte. E per anni, chiunque si provasse a rivendicare anche il rispetto e i diritti delle vittime , era bollato, nella migliore delle ipotesi, come laudator temporis acti.
Don Milani, parroco di Barbiana (nome curiosamente assai simile a quello della parrocchia di don David, Barbaiana), non avrebbe mai tollerato, alla pari di questo suo giovane collega, che i carnefici venissero prima delle loro vittime E fa un certo piacere constatare che oggi anche nelle parrocchie si torni, come dice don David ,“a proteggere i più deboli”. E come fa don David, al pari di tantissimi insegnanti, è assolutamente opportuno non perdere mai il rapporto educativo con i prepotenti e i violenti. Ma prima vengono i diritti delle vittime, compreso quello di vedere i bulli puniti per la loro violenza, essendo la punizione il primo atto educativo attraverso il quale si dimostra a chi sbaglia che dietro ogni nostro atto c’è una conseguenza e una responsabilità dalla quale non si prescinde. Don David, malgrado la sua giovane età, lo ha capito benissimo e altrettanto bene lo aveva capito don Milani. Peccato che , in passato, non lo abbiano capito molti dei suoi seguaci. Ma si sa, i superficiali adattano alla meglio i loro maestri alla loro superficialità o ai loro fini contingenti. Forse la nottata comincia a finire e c’è di che sperare se tutto ciò avviene a Barbaiana!
PS: Ovviamente alcune mamme dei bulli hanno protestato. Le brave donne proprio non ce la fanno a pensare ai loro figli esclusi dalla comunità all’interno della quale trovavano, povere creature, quel naturale divertimento che consisteva nello spadroneggiare a più non posso. I cocchi di mamma evidentemente, con quei loro atteggiamenti, promettevano un futuro da leader di successo alle loro madri, ignare del fatto che i bulli, da adulti, sono frequentemente destinati al fallimento.

Valerio Vagnoli

venerdì 25 marzo 2011

SUL CONFLITTO DEL PARINI FRA DOCENTI E GENITORI

Se ne parla da tre giorni, ma ancora non si è capito un granché di quello che è successo al Liceo Parini di Milano, come spesso accade in questi casi, qualche volta anche per il modo approssimativo con cui vengono confezionati i servizi giornalistici.
Oggi il “Corriere della Sera” prova a fare il punto della situazione, accompagnandolo con i commenti di due psicoterapeute: Silvia Vegetti Finzi colloca i numerosi episodi di aggressività genitoriale verso i docenti nel quadro di una troppo prolungata centralità delle madri nell’educazione dei figli. Di conseguenza la funzione dell’accudimento, tipica delle prime fasi dello sviluppo, prevale sulla spinta verso la responsabilità anche quando i figli sono cresciuti.
Federica Mormando, invece, ritiene che spesso l’intervento dei genitori sia giustificato dallo scarso controllo esistente sui docenti che non sanno sostenere il proprio ruolo, per alcuni dei quali i dirigenti dovrebbero “avere il potere di demandarli ad altra funzione in caso di provata inefficienza”. Due punti di vista che in realtà si integrano più che contrapporsi, tanto che molte volte sia la crisi dei ruoli educativi sia la pratica assenza di controlli sull'idoneità professionale dei docenti sono state oggetto di riflessione su questo blog, nei post come nei commenti.
(GR)

venerdì 18 marzo 2011

DUE PRIORITÀ PER LA VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Lo scorso 16 marzo si è svolto a Roma un convegno dal titolo “Qualità, merito e innovazione nella Scuola, un traguardo per la Nazione”, promosso dalla Fondazione Liberamente, a cui è stato invitato il Gruppo di Firenze. Di seguito pubblichiamo l’intervento che Giorgio Ragazzini ha svolto a nome del gruppo. Era presente il Ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini.


Comincerei con una domanda: qual è il principale obbiettivo della valutazione degli insegnanti? La risposta sembra ovvia: innalzare la qualità media dell’insegnamento e quindi della scuola. Da questo punto di vista, è davvero prioritario, oggi come oggi, premiare i più bravi fra i docenti? Siamo certi che questo avrà delle ricadute positive sulla scuola e che non ci siano importanti controindicazioni?
Prescindiamo qui, per brevità, dall’attendibilità dei metodi usati per individuarli. Il buon senso suggerisce che si tratta di colleghi che hanno sempre lavorato bene e che continueranno certamente a farlo anche in assenza di un riconoscimento economico, essendo sorretti da forti motivazioni e dalla soddisfazione per i risultati che ottengono. A quanto so, anche le indagini internazionali in merito non incoraggiano a andare in questa direzione. D’altra parte è probabile che molti dei buoni insegnanti esclusi dagli aumenti o dai premi si sentano svalutati e che il loro lavoro ne risenta negativamente.
La raccomandazione che ci permettiamo di fare al Ministro è di cominciare dal basso invece che dall’alto. La scuola italiana continua a non voler affrontare il problema dell’esistenza di un certo numero di docenti, (nonché di dirigenti), che sono semplicemente inadeguati al loro compito e che oggi difficilmente possono essere messi in condizioni di non nuocere. Probabilmente non sono moltissimi, ma la loro presenza è senza dubbio dannosa per l’immagine della scuola pubblica e per quei ragazzi che costringiamo a subirli, oltre che per i cattivi esempi che, in quanto tollerati, possono indurre disimpegno e demotivazione. Lo stesso Abràvanel indica nell’impossibilità di “allontanare i disastri” uno dei punti deboli del nostro sistema. Ma è anche un’ingiusta penalizzazione per gli studenti più svantaggiati, che non possono recuperare in altro modo ciò che certi docenti inadeguati gli negano. Se non si possono assicurare a tutti insegnanti eccelsi, dobbiamo garantire alle famiglie che siano quanto meno “sufficientemente buoni”.
Se poi guardiamo le cose anche dal punto di vista dell’equità e del riconoscimento del merito, certamente la grande maggioranza dei colleghi considera profondamente ingiusto che chi è gravemente inadeguato o scorretto sul piano professionale sia messo sullo stesso piano di chi - ottimo, buono o sufficiente che sia - ha sempre fatto il suo dovere.
Sopra alla fascia dei decisamente insufficienti - quella che potremmo chiamare del “demerito” - ce n’è un’altra su cui dovremmo investire: i colleghi in difficoltà. Logorati da classi difficili, carenti per questo o quell’aspetto della loro preparazione, spesso non sorretti dai dirigenti e da un clima di fermezza nel rispetto delle regole, questi insegnanti avrebbero invece bisogno di essere sostenuti e aiutati anche tramite opportune consulenze (psicologi, logopedisti, assistenti sociali, ecc), del resto sempre più necessarie al buon funzionamento della scuola in genere. L’insegnante “lasciato solo” alle prese con un mestiere sempre più difficile costituisce uno dei luoghi comuni meglio fondati nella realtà della scuola italiana.
Ma c’è una seconda, importante priorità che coinvolge la valutazione ed è quella, altrettanto urgente, della cosiddetta “carriera”: la creazione, cioè, di nuovi ruoli qualificati da affidare a docenti che possiedano ulteriori talenti oltre a quello di saper insegnare e che affianchino il dirigente nel governo della scuola autonoma: insegnanti che si occupino dell’aggiornamento e della ricerca, della formazione dei nuovi docenti (anche tramite distacchi presso l’università), dei servizi alla didattica e via dicendo.
Riassumendo questo breve contributo al problema della valutazione dei docenti, sono due gli obbiettivi assolutamente prioritari: innalzare la qualità media del corpo docente partendo, per così dire, dal basso invece che dall’alto; creare una vera e propria “classe dirigente” all’interno degli istituti scolastici.
Vi ringrazio dell’attenzione.

domenica 13 marzo 2011

LA SCUOLA CHE NON AMA GLI INSEGNANTI

Sul "Corriere della Sera" di ieri lo storico della filosofia Tullio Gregory fa un quadro desolato della scuola italiana, un’analisi in cui peraltro si possono ritrovare molti dei temi trattati su questo blog e che il professore emerito focalizza particolarmente sulla condizione degli insegnanti. Il cui ruolo è stato profondamente pervertito dalla convergente pressione di diversi attori, in particolare la “pedagogia progressista” e le famiglie (e, aggiungiamo noi, la classe politica nel suo insieme), in larga misura interessati a fare della scuola “una zona di parcheggio che non deve creare problemi”. Una trasformazione che nega l’idea stessa di scuola pubblica come luogo “di promozione sociale e civile”, in quanto “si è scambiata la scuola democratica con la scuola facile, la scuola aperta a tutti con quella che promuove tutti."
Nell’articolo si percepisce la passione per la scuola pubblica e il suo insostituibile ruolo, ma anche una profonda sfiducia nella possibilità di arrestarne il degrado (anche fisico) e alla fine Gregory esprime la sua comprensione per gli insegnanti che, smarriti e frustrati, vanno in pensione prima del tempo “per ritrovare forse qualche serenità in una normale vita di studio e di affetti.”

(A.R.)

giovedì 10 marzo 2011

RISULTATI SCOLASTICI E EDUCAZIONE ALLA RESPONSABILITÀ

Lo psicoterapeuta Osvaldo Poli, più volte citato su questo blog, tiene da alcuni mesi una rubrica fissa su “Famiglia Cristiana”: Un adolescente in casa. Nel numero in edicola coglie l’occasione della prima pagella per paragonare due diversi stili educativi, riferibili (ma solo tendenzialmente) rispettivamente alla madre e al padre. Nello stile “paterno” l’attenzione è puntata, più che sullo scongiurare una bocciatura, sull’assunzione di responsabilità del figlio, chiamato a prendere una decisione sul proprio impegno scolastico. È appena il caso di osservare che qui non si parla né di “disagio” del ragazzo, né di presunte colpe degli insegnanti. Leggi.

domenica 6 marzo 2011

SCUOLA E RISORGIMENTO

di Sergio Casprini

Giorni fa mi è capitato tra le mani un volumetto sgualcito ed ingiallito dal tempo, con sulla copertina una grossa coccarda tricolore accanto alla quale sta scritto Nel primo centenario dell’Unità d’Italia. I grandi fatti che portarono all’Unità. Nella prima pagina si legge “questo volume è consegnato per incarico del ministro della Pubblica Istruzione…” Seguono firma del preside e timbro della scuola. Cinquant’anni fa quello era un modo - forse un po’ retorico- per ricordare agli studenti il cammino difficoltoso verso l’unificazione. E ora?

(Rubrica delle lettere della "Repubblica" del 3 marzo scorso).

Leggi il seguito sul sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.

giovedì 3 marzo 2011

ANCORA SULLA "SOLUZIONE AUSTRIACA"

Sul “Corriere della Sera” si torna a parlare della svolta austriaca antibocciatura, che come previsto riscuote non poche simpatie nella trasversale Lega per la Deresponsabilizzazione Totale degli Studenti.
Interviene sostanzialmente a favore il pedagogista Benedetto Vertecchi, che esordisce cripticamente (“alle bocciature corrisponde un peggioramento delle condizioni educative, che si risolve in una perdita nella qualità dell’istruzione”) e prosegue con altre argomentazioni di cui mi sfugge la pertinenza (tipo: “Offrire a tutti l’opportunità di compiere esperienze apprezzabili è il modo per rendere più omogenei i risultati conseguiti dagli allievi”).
Molto forti, invece, le basi del parere contrario di Silvia Vegetti Finzi, certamente fondato anche sulle evidenze della pratica clinica. Da leggere.

GR

mercoledì 2 marzo 2011

GIUSTE LE PROTESTE, MA FUORI DALLA SCUOLA

Comprensibilmente risentiti per il recente giudizio di Berlusconi sulla scuola pubblica (vedi nota del 27 febbraio), alcuni colleghi hanno espresso in vario modo il loro dissenso sul luogo di lavoro: in diverse scuole è stato scelto il minuto di silenzio in classe proposto da un’insegnante di Andria; a Lamezia Terme i docenti sono usciti in giardino con lo striscione “Io amo la scuola pubblica che non educa al bunga bunga”; a Roma, qua e là si sono visti professori-sandwich nelle aule, mentre una maestra di San Giuliano milanese non ha trovato di meglio che fare lezione facendo accovacciare i bambini nel corridoio.
Evidentemente a nessuno di questi colleghi è venuto in mente che una manifestazione politica a scuola è - letteralmente - fuori luogo e che purtroppo nel caso specifico simili iniziative portano acqua, senza volere, al mulino di chi accusa gli insegnanti proprio di utilizzare la cattedra per fare propaganda di parte. Del resto, basta porsi una domanda per rendersi conto dell’errore: non avrebbero nulla da dire questi docenti se dei loro colleghi facessero lo stesso a parti rovesciate, schierandosi cioè a favore del premier di fronte ai bambini?
L’istituzione scuola la si difende solo tenendo ferma la sua neutralità ideologica e politica, facendo cioè in modo che chiunque, senza nessuna eccezione - insegnante, allievo o genitore che sia - si possa sentire sempre e comunque a casa propria. E il ruolo e la credibilità degli insegnanti li si afferma dimostrando di saper far crescere ogni giorno nei propri allievi, con la forza del proprio esempio e del proprio lavoro, la conoscenza, lo spirito critico, il rispetto degli altri, senza scorciatoie che sviliscono, al di là delle intenzioni, la funzione che la collettività ci affida.
Certo che un insegnante ha le sue idee e non è affatto detto che non le possa anche manifestare, ma lo deve eventualmente fare in un contesto di dialogo e di confronto, e dando agli altri, soprattutto ai suoi studenti, pari possibilità di esprimersi e pari dignità di interlocutori, fossero anche (e lo sono a quanto pare non pochi italiani) sostenitori di Berlusconi.

"La Repubblica"
"Il Giornale"