martedì 25 marzo 2008

NASCE IL PARTITO DEL MERITO di Sergio Givone

MERITO: era una parola severa e giusta, la più degna di onore (infatti si diceva “onore al merito”). Ma poi a poco a poco se n’è perso il significato. Peggio, ci fu un tempo, ed era solo ieri, in cui sembrò che meritare o essersi meritato qualcosa fosse un sentimento di cui vergognarsi. A un certo punto comparve il termine “meritocrazia”, a indicare né più né meno una prevaricazione o un sopruso degli uni sugli altri.Questo è il quadro in cui si colloca l’appello al merito scolastico che un nutrito gruppo di docenti ha rivolto ai partiti in prossimità delle elezioni. Perché si è scelta un’occasione del genere? Ma perché niente come la scuola permette di valutare la serietà di un progetto politico. Qui non si tratta di destra e di sinistra e perciò tale appello è “trasversale”. Si tratta, molto più semplicemente, di chiedere a ogni partito e a ogni uomo politico che si candida a governare il Paese in che conto tengano la scuola. Non una scuola quale che sia. Bensì una scuola basata sul merito.La storia di questa parola è la storia del fallimento della nostra scuola, a tutti i livelli, dalle elementari all’università. Interrogarsi sul concetto di merito non è certo solo una questione linguistica. In gioco è la formazione delle giovani generazioni, che è come dire il nostro futuro. E allora chiediamoci come sia potuta accadere una cosa del genere. Perché un valore sia diventato un disvalore. Quali ragioni abbiano portato a un tale stravolgimento.Nulla accade per caso. Se il merito è incominciato ad apparire sospetto, tanto da essere messo al bando, dovette esserci una causa. Infatti. Legato com’era alle condizioni economiche degli studenti, il merito si rivelò non del tutto innocente. Difficile se non impossibile farsi valere per chi appartenesse ai ceti sociali più bassi. E del resto le scuole superiori e l’università erano riservate alla borghesia. Per cui fu inevitabile domandarsi quanto il successo scolastico dipendesse dalle qualità individuali e quanto dalla nascita e dalla famiglia. La convinzione non infondata che il merito potesse nascondere un privilegio finì con l’oscurare e infine cancellare la cosa sostanziale e cioè che l’apprendimento richiede sforzo, applicazione, studio, e anche talento.Poi tutto cambiò. Le classi si sono mescolate e ricomposte in un’unica, grande fascia media della popolazione, all’interno della quale le opportunità incominciarono ad apparire sempre più eguali e paritarie. Oggi la scuola può ben dirsi per tutti (o quasi tutti) e in ogni caso le condizioni di partenza non decidono più il destino degli studenti come un tempo. Ma se tutto è cambiato, non lo è l’idea che nel frattempo era venuta imponendosi. L’idea che il merito fosse una realtà negativa.E così il merito fu bandito proprio quando non solo non c’era più alcun motivo per farlo, ma quando una piena riconsiderazione del merito sarebbe stata assolutamente necessaria. Che scuola è una scuola senza merito? Come può funzionare senza far distinzione fra chi sa e chi non sa, fra chi è in grado di andare avanti e chi non lo è, fra chi impiega al meglio le sue doti e le sue predisposizioni e chi no? Ma non basta. Una società democratica deve promuovere e valorizzare le capacità di tutti i cittadini. E quindi deve rendere possibile una ridistribuzione dei ruoli e dei compiti secondo il merito e non secondo il censo. Solo una scuola basata sul merito può rendere possibile lo sviluppo di una democrazia non soltanto formale. Solo una democrazia può rendere possibile una scuola basata sul merito.
(Il Messaggero, 25 marzo 2008)

Nessun commento: