giovedì 25 settembre 2008

SULLA SCUOLA MEDIA "ANELLO DEBOLE" SI COMINCIA A RAGIONARE. "GUARDA CHE BOCCI": MINACCIA O AVVERTIMENTO?

Da qualche giorno si comincia a ragionare sul problema “scuola media”, finora destinata a condanna automatica come “anello debole” del sistema (ma ancor oggi è un “buco nero” per Giliberto Capano su “Europa”). Ci prova Ricolfi, il quale, coinvolgendo nel ripensamento la scuola elementare, finora un po’ acriticamente osannata, si chiede da dove mai vengano quei ragazzi che già in prima media padroneggiano così male il linguaggio scritto e orale (quindi il pensiero).
Su “Libero”, Alessandro Gnocchi affronta polemicamente il tema delle “indicazioni nazionali” (non più programmi, per carità!), non senza aver polemizzato con un intervento di Michele Serra su “Repubblica” di ieri, che effettivamente potrebbe trovare posto in appendice al famoso libro di Luca Ricolfi Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori.
Molti gli articoli sulla sentenza della Cassazione che ha condannato un insegnante vicentino per una serie di comportamenti scorretti, tra i quali l'aver minacciato la bocciatura a un’allieva come ritorsione contro la madre di quest'ultima. Per come è stata presentata dai notiziari e da diversi giornali la cosa ha suscitato una levata di scudi trasversale. Tuttavia, complice forse la prosa un po’ enfatica dei magistrati, c’è qualche esagerazione nelle conclusioni che se ne traggono e nel consigliare ai propri docenti, come fa il preside del Parini di Milano, “State zitti, niente minacce. Bocciateli e basta”. Utile su questa sentenza l’articolo di Salvatore Scarpino, che lo definisce “un caso limite malamente sviscerato” e lo contestualizza opportunamente. Sul piano lessicale, va chiarito che le “minacce” dei docenti, spesso doverose e salutari, sono in realtà degli avvertimenti relativi alle logiche conseguenze del mancato impegno, mentre giuridicamente costituisce reato minacciare ad altri “un ingiusto danno”. Si può star tranquilli, comunque, che qualche genitore-sindacalista si sentirà incoraggiato a inasprire la vertenza permanente con la scuola.
Marcello Veneziani, infine, torna sui guai provocati dalle parole di Don Milani, “quel santo parroco che sfasciò l’istruzione”.

(GR)

1 commento:

Elio947 ha detto...

Correva l’anno 2001

Correva l’anno 2001 quando, al forum aperto dall’allora ministro Moratti in un post dal titolo “Diritto allo studio o al diploma ?”, scrissi:

“La maggioranza degli studenti è, generalmente, scarsamente motivata verso uno studio serio e responsabile; mentre i pochi che lo sono (per fortuna ce ne sono) si sentono frustrati nelle loro aspirazioni culturali tanto da sentirsi degli emarginati e dei falliti perché la scuola, per diversi anni compie un continuo e costante processo di spersonalizzazione dell'allievo che si conclude con un esame di maturità, ridicolo, che sancisce, certificandola, la formazione di una società di furbi somari e onesti falliti.
Gli insegnanti si sentono succubi di un potere che li ha prima espropriati, della funzione formativa e poi delegittimati nel loro operare trasformandoli in Golem tuttofare (leggi pluriabilitati) attribuendo loro, comunque, qualità taumaturgiche con le quali risolvere ogni problema del sociale. Ne discende che gli insegnanti sono i soggetti più frustrati perché costretti, continuamente, ad operare ipocrite scelte tra diverse falsità.
Le famiglie hanno maturato un pensiero assolutamente negativo sia nei confronti della scuola sia degli insegnanti, tanto da attribuire, e riconoscere, alla scuola un'unica funzione: quella di parcheggio e di tutela fisica degli alunni.”

Corre l’anno 2008

Nel frattempo sono caduti governi, sono passati ministri, sono cambiati ministeri, sono stati consumati fiumi d’inchiostro e boschi di carta per parlare di scuola, di didattica, di formazione, di pedagogia, di educazione, di disciplina per stabilire, al termine, che: “Il prof commette reato se minaccia la bocciatura”.
Infatti la Suprema Corte asserisce che: «la ingiusta prospettazione di perdere l´anno scolastico rappresenti una delle peggiori evenienze». «E un simile atteggiamento del docente è idoneo a ingenerare forti timori incidendo sulla libertà morale degli allievi».

Correva l’anno (427–347 a. C.)
quando Platone nella Repubblica circa:La sete di libertà scriveva:

“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno.

In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.

Elio Fragassi