('Corriere della Sera' 9 aprile 2008)
Caro direttore, le cronache di queste settimane offrono motivo di cauta speranza a chi, come TreeLLLe, è impegnato da anni nel promuovere una cultura della qualità e del merito nella scuola. Abbiamo letto prese di posizione di soggetti autorevoli: penso al decalogo di Confindustria, alla proposta dell’Anp sulla scuola, all’appello del Gruppo di Firenze, alle firme raccolta del Gruppo del Buonsenso. Non meno incoraggiante è stato leggere i commenti di apprezzamento espressi in merito da esponenti politici di primo piano dei due schieramenti, quali Bastico, Ranieri, Aprea e Valditara. Un positivo atteggiamento bipartisan su un tema strategico come la qualità dell’istruzione non correrebbe certo il rischio di essere confuso con “inciuci” di alcun genere.Tutto bene, dunque: o quasi. Perché al coro manca una voce importante, quella dei sindacati del personale della scuola, una voce che fino a oggi ha espresso orientamenti di segno molto diverso. Perché la nostra scuola volti pagina, si deve allora sollecitare un nuovo atteggiamento del sindacato che non può più avere, come di fatto finora ha avuto,, una pesantissima influenza sull’organizzazione del servizio: solo l’amministrazione ne ha la responsabilità piena.Ma il nodo sta soprattutto nel ruolo della politica e delle responsabilità che questa si deve assumere per privilegiare gli interessi dei cittadini insegnanti. Purtroppo a prevalere son spesso gli interessi di questi ultimi, come rappresentati daai sindacati, complici delle debolezza della politica e subalternità dell’amministrazione: così si determinano orari insostenibili per gli sutdienti, un eccesivo numero di discipline, sanatorie per il reclutamento, gonfiamento dei posti di lavoro, etc. Proprio l’abnorme espansione del numero degli addetti ha costituito il principale ostacolo alla possibilità di riconoscer loro trattamenti economici più dignitosi. Si tratta ora di invertire una politica che ha prodotto danni gravi. Ciò di cui il nostro Paese ha bisogno non è dell’ulteriore impiegatizzazione degli insegnanti, ma della loro incentivata professionalizzazione.
Vorrei ricordare quali sono, secondo TreeLLLe, gli interventi realmente indispensabili, già praticati da anni nei Paesi più evoluti:
alleggerimento degli ordinamenti. Non più di 30 ore settimanali di lezione, articolate fra un nucleo di saperi fondamentali comuni a tutti e una significativa quota di materie opzionali, fra le quali gli studenti dovrebbero poter scegliere. Del nucleo comune dovrebbe far parte un rafforzamento dell’inglese e delle materie scientifiche;
autonomia per le scuole. Si tratta di dare maggior fiducia agli operatori e incoraggiarne l’orgoglio professionale attraverso la valutazione del merito e il riconoscimento dei risultati; istituire un nuovo modello di governante degli istituti a partire da organi collegiali snelli, aperti al territorio ed a persone competenti ed inserite nel mondo della produzione e della cultura; attribuire alle scuole risorse finanziarie più consistenti delle attuali ed alleggerire i troppi vincoli che ancora gravano sul loro utilizzo; trasferire alle scuole una progressiva autonomia nella gestione degli organici a cominciare con la chiamata diretta di tutto il personale a tempo determinato e di quello impegnato sulla quota del 20% di autonomia didattica, rafforzare la leadership delle scuole, professionalizzando i dirigenti, consentendo loro di scegliere tra gli insegnanti i collaboratori più stretti;
valutazione dei risultati. I governanti e le famiglie sono privi di indicatori affidabili sulla qualità delle scuole. All’Invalsi (Istituto nazionale di valutazione del sistema) reso ancor più indipendente e autorevole, vanno attribuiti due compiti: innanzitutto rilevare, attraverso test centralizzati a intervalli predefiniti, gli apprendimenti di tutti gli studenti sulle materie chiave e poi renderli pubblici; in secondo luogo, valutare il lavoro ed i risultati dei dirigenti delle scuole perché da loro dipende la qualità del clima scolastico e il valore aggiunto che si può ottenere da insegnanti motivati e ben supportati nel loro sviluppo professionale;
riconoscimenti per il merito. La valutazione non ha senso se non si accompagna a riconoscimenti concreti per chi fa meglio. Il collegamento stretto fra valutazione costante e attribuzione di premi per i migliori (le migliori scuole, i migliori dirigenti e i migliori insegnanti) è una regola aurea per dare efficacia a qualunque sistema. Dimenticarlo nella sucola significa minare quel principio di emulazione che è una delle componenti essenziali del processo educativo.
*Presidente dell’Associazione TreeLLLe
mercoledì 9 aprile 2008
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