venerdì 18 agosto 2023

NELLA MEMORIA PUBBLICA E A SCUOLA LE VITTIME DEL COMUNISMO SONO ANCORA DI “SERIE B”

 Giorgio Ragazzini, “ilSussidiario.net”, 18 agosto 2023

 


Il 26 luglio il Senato ha approvato una mozione unitaria con cui riconosce l’Holodomor (il termine ucraino che significa “sterminio per fame”) come genocidio perpetrato da Stalin e si impegna a adottare “ogni conseguente iniziativa per promuovere in Italia e all’estero la consapevolezza e il ricordo di questa tragedia”. La quale ha causato la morte di un numero di ucraini che va, a seconda delle stime, da 3-4 a 10-11 milioni. Questo impegno finora era mancato da parte di chi – case editrici, quotidiani, tv di Stato – avrebbe potuto, e quindi dovuto, assumerselo. Basta dire che ci vollero diciotto anni perché Harvest of Sorrow (“Raccolto di dolore”) di Robert Conquest, il libro che per primo ha documentato quel crimine senza precedenti, venisse pubblicato in Italia (da una piccola casa editrice, la Liberal Edizioni).

Questo importante atto del Senato, favorito dall’aggressione russa all’Ucraina, non ha avuto però nessun risalto sui mezzi di informazione; a conferma dell’esistenza di un problema più generale, quello della resistenza ad accettare fino in fondo la realtà dei regimi comunisti; e in particolare di quello sovietico. L’Urss è stata una società fondata sulla coercizione e sul terrore, che ha ripristinato la schiavitù, costringendo ben venti milioni di cittadini a lavorare per lo Stato nei Gulag (e in buona parte a morire di freddo e di fatica); che ha fatto assassinare milioni di oppositori veri o presunti; che ha causato, con le sue folli teorie economiche, diverse carestie, compresa la “carestia terroristica”, come l’ha definita Conquest, utilizzata contro gli ucraini, colpevoli di essere contadini e di essere ucraini. Oltre, s’intende, ad aver abolito tutte le libertà garantite dalle costituzioni dei paesi democratici. Infine, si stima che le diverse esperienze comuniste nel mondo abbiano causato complessivamente quasi cento milioni di morti. Nonostante questo, lo sdegno riservato ai crimini del nazismo non si è esteso che in minima parte a quelli della patria del comunismo e ai suoi proseliti.

Non è questa la sede per analizzare i motivi per cui molti vivono ancora in uno stato che si può definire di “sedazione cosciente” del senso morale, che impedisce di immedesimarsi nelle terribili sofferenze inflitte a miliardi di esseri umani. Alla situazione della memoria pubblica in Italia a proposito di fascismo e comunismo, ancor oggi giudicati con due pesi e due misure, ha dedicato il 12 agosto un editoriale sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia, la cui lettura è senz’altro consigliabile.

Dato che è alla scuola che spetta una funzione rilevante nella formazione della futura opinione pubblica, vorrei qui dare un’idea della situazione in cui si trova l’insegnante di storia nell’affrontare il tema dei totalitarismi novecenteschi. Per il fascismo e il nazismo dispone di una vasta gamma di documenti scritti fra cui scegliere i più adatti all’età degli allievi, di fotografie (molte delle quali famose), di numerosi film di grande qualità. Ne elenco solo alcuni: Il delitto Matteotti di Florestano Vancini, Una giornata particolare di Ettore Scola, Tutti a casa di Luigi Comencini, Arrivederci ragazzi di Louis Malle, Schindler List di Steven Spielberg, Jona che visse nella balena di Roberto Faenza. I documentari reperibili in rete sono numerosissimi. Mi limito a citarne uno di grande impatto emotivo: Gli ultimi giorni, prodotto da Steven Spielberg, che tratta della Shoah attraverso l’esperienza di cinque sopravvissuti ungheresi – poi trasferitisi negli Stati Uniti – che tornano sui luoghi della loro prima vita. E quanto è stato importante Il diario di Anna Frank per aiutare i ragazzi a immedesimarsi con gli ebrei perseguitati? Senza dimenticare l’enorme importanza dell’impegno instancabile dei sopravvissuti ai campi di sterminio nel costruire la conoscenza della sanguinaria politica nazista. Tutto questo è stato essenziale per farci raggiungere quella “temperatura emotiva” necessaria perché queste tragedie si radichino saldamente nel patrimonio culturale di ciascuno. Per dirla con Primo Levi, solo così sappiamo davvero che “questo è stato”.

La situazione è molto diversa sul versante del comunismo, soprattutto per quanto riguarda documentari, libri e film utilizzabile dai docenti del primo ciclo. Non c’è un’Anna Frank che coinvolga gli allievi nella sua condizione di reclusa per sfuggire alla morte. Pochi sono i documentari, comunque sempre confinati in Rai Storia; pochissimi i film sulla realtà dell’Urss (va meglio per la lontana Cambogia, a cui nessuno ha avuto modo di affezionarsi). Di qui la difficoltà di “realizzare”, cioè rendere davvero reale nella propria mente, quello che è stato e in parte è ancora il comunismo. Va da sé che, al di là della disponibilità di supporti didattici, anche gli insegnanti risentono del clima culturale dei due pesi e due misure sui totalitarismi del novecento; e questo non può non incidere sul modo in cui vengono presentati.

Sarebbe comunque essenziale che il Servizio pubblico radiotelevisivo si impegnasse nel produrre o tradurre film e programmi sui vari regimi comunisti, alcuni dei quali ancora vivi e vegeti, e approntasse per la scuola un catalogo ragionato di ciò che esiste. Una collaborazione importante potrebbe venire da “Memorial Italia”, parte dell’associazione fondata da Andrej Sacharov negli anni ’80 per occuparsi della storia dell’Urss e della Russia post-sovietica. Un’operazione verità che sarebbe doverosa anche per onorare le tante vittime finora da molti considerate di serie B.

 

lunedì 7 agosto 2023

BIANCANEVE ORFANA DEI SETTE NANI (e anche del Principe Azzurro, forse per colpa del famoso bacio "non consensuale"...)

 


Mai, né da piccolo né da grande (e come me miliardi di bambini e di ex bambini), avevo pensato ai Sette Nani come a persone affette da nanismo. Per me erano “mitici” personaggi del “mondo incantato” delle fiabe, alla pari di Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso, il Gatto con gli Stivali e Pinocchio. Ma ha provveduto a farmelo realizzare – bel risultato, non c’è che dire – il cretinismo dei “woke”, gli “svegliati” alla correttezza politica (capirai, manco fossero reincarnazioni del Buddha). È andata così: la Disney stava preparando una riedizione di “Biancaneve e i sette nani”, quando l’attore Peter Dinklage (star del “Trono di Spade”), affetto da nanismo, si dichiarò stupito perché avevano scelto per la protagonista un’attrice ispanica (bene), ma c’erano ancora i sette nani (male). “Evidentemente i miei sforzi per portare avanti i nostri diritti sono stati inutili". In cosa consistano questi diritti al momento mi sfugge: forse quello di essere ignorati? Comunque, un attore affetto da nanismo che recita con grande successo nella serie Il Trono di Spade, ha di fatto impedito ad altri attori affetti da nanismo di recitare nella nuova Biancaneve. Che infatti non sono per niente contenti. Tra gli altri, Wee Man ha detto: “È una cosa brutta. Non sono d’accordo. Perché quello che stanno facendo è praticamente sostituire i lavori che le persone di bassa statura potrebbero avere. Biancaneve e i Sette Nani… è per i nani”. Eppure la Disney sostiene di aver consultato “la comunità delle persone affette da nanismo”.
Ma ormai la frittata sembra fatta. I sette celebri ometti sono stati silurati e sostituiti con non meglio chiarite “creature magiche della foresta”. Anche il Principe Azzurro è stato fatto fuori. Forse la sua grave colpa è quella di aver dato a Biancaneve il famoso bacio… “non consensuale”.

Concludendo, la situazione è chiara: sono gli “svegliati” che dovrebbero urgentemente svegliarsi…

Giorgio Ragazzini

(“Pensalibero”, 6 agosto 2023)

lunedì 3 luglio 2023

SI FA PRESTO A DIRE “LAVORI SOCIALMENTE UTILI” …

Il Ministro Valditara ha più volte ripetuto l’intenzione di ridare “autorevolezza” agli insegnanti e di promuovere nella scuola “la cultura del rispetto”. Intanto è davvero importante – in concreto e simbolicamente – la decisione di far assistere dall’Avvocatura dello Stato i docenti aggrediti da genitori poco inclini a riconoscere le scorrettezze o l’impreparazione dei figli. Nei giorni scorsi ha poi colto l’occasione offerta dallo scandaloso 9 in condotta assegnato al teppistello che aveva “impallinato” una professoressa (stesso voto a un compagno per aver filmato l’impresa) per promettere che in futuro il comportamento avrà un maggior peso nella valutazione complessiva. Ha aggiunto che va ripensato l’istituto della sospensione, da sostituire con “lavori socialmente utili”. Qualcosa del genere, in realtà, è già previsto, con altro nome, dallo Statuto degli studenti del 1999, anzi la norma stabilisce, a proposito delle sanzioni (anche una nota sul registro?) che “allo studente è sempre offerta la possibilità di convertirle in attività in favore della comunità scolastica”. Se quest’obbligo è stato largamente disatteso dalle scuole, è perché non è per nulla facile trovare attività effettivamente utili che non comportino rischi e che per di più devono per forza essere svolte sotto la vigilanza di un adulto (docente o custode che sia); e si può immaginare quanto sia praticabile sottrarne qualcuno ai propri compiti e ancor meno pagarlo per questo.

Il Ministro Valditara si dovrà dunque misurare con l’effettiva realizzabilità dei “lavori socialmente utili”, puntando sensatamente – come sembra di capire – su attività in campo sociale. Sarà indispensabile esaminare le esperienze che alcuni istituti hanno messo in pratica negli ultimi anni accordandosi con associazioni di volontariato, assumendo però come Ministero la responsabilità di costruire modelli organizzativi e di stipulare protocolli di collaborazione, dei quali si possano servire le singole scuole, evitando di costringerle ad accollarsi compiti insostenibili.

Sarebbe infine l’ora di fare un approfondito “tagliando” allo Statuto degli studenti, non solo superando il pressappochismo e anche una certa confusione che caratterizzano alcune sue parti, ma anche sburocratizzando l’esercizio dell’autorità educativa da parte della scuola. Una sanzione tempestiva è senza dubbio più utile e più giusta. La sospensione non deve essere abolita, semmai adoperata, almeno nell’immediato, solo in casi specifici (per esempio in quello dello “sparatore” di cui sopra per ovvi motivi di serenità ambientale), senza escludere un’integrazione dei due provvedimenti. Infine, per i comportamenti più gravi o frequentemente ripetuti non può essere esclusa la non ammissione all’anno successivo o agli esami, per segnalare ai giovani (e alle loro famiglie) l’esistenza di limiti invalicabili. 

Giorgio Ragazzini

sabato 1 luglio 2023

L’IDEA DI NAZIONE E IL DECLINO DELLA STORIA NELLA SCUOLA

“Il principio di nazionalità non può essere scisso dagli ideali di libertà e fratellanza tra i popoli. È il messaggio implicito nel brano tratto dal saggio L’idea di nazione di Federico Chabod. A questo proposito l’autore chiama in causa due protagonisti del Risorgimento. Camillo di Cavour perseguì il traguardo dell’unità nazionale sotto un regime liberale, mentre nel pensiero di Giuseppe Mazzini il patriottismo si fonde con il progetto di un’Italia repubblicana e democratica”. Così inizia, sul Corriere della Sera, il commento di Antonio Carioti alla suggestiva traccia di argomento storico per lo scritto di italiano agli esami di maturità di quest’anno.

Per i giovani che escono dall’adolescenza per entrare in maniera consapevole e responsabile nell’età adulta, una riflessione sul concetto di Nazione è opportuna nel contesto attuale della politica italiana, in cui nazione e nazionalismo sono considerati valori della destra a cui contrapporre da sinistra i principi della solidarietà tra i popoli e dell’internazionalismo.

Se all’idea di nazione si accompagna invece quella di libertà e quella di umanità, allora la si rende incompatibile con i totalitarismi di destra e di sinistra. Chabod, storico di tradizione laica e liberale, laureatosi nel 1923 con Salvemini, poi esponente politico della Valle d’Aosta (di cui rivendicava l’italianità), aveva fatto la resistenza con le formazioni di Giustizia e Libertà e vedeva la conquista della democrazia come compimento del Risorgimento per nazione italiana, liberandone quindi l’idea dalle distorsioni del fascismo che si basava sull’idea della disuguaglianza tra i popoli, le razze, le religioni.

Nella traccia proposta agli studenti, Chabod afferma che le nazioni sono «gl’individui dell’umanità come i cittadini sono gl’individui della nazione…Ora, l’umanità è ancora, essenzialmente, per il Mazzini, Europa: ed infatti insistente e continuo è il suo pensare all’Europa, l’Europa giovane che, succedendo alla vecchia Europa morente, l’Europa del Papato, dell’Impero, della Monarchia e dell’Aristocrazia, sta per sorgere.»

I maturandi però non hanno accolto con favore questa traccia: infatti solo il 4% dei candidati si è cimentato nell’analisi e interpretazione del testo, mentre invece la maggioranza si è orientata sull’"Elogio dell’attesa nell'era di WhatsApp", di Marco Belpoliti.

Si conferma così che da tempo i social network sono diventati praticamente l’unico strumento di informazione e, se va bene, di qualche conoscenza storica e politica; ma è anche il sintomo di quanto poco la scuola sappia (o voglia?) valorizzare la nostra eredità culturale attraverso lo studio della storia, con l’impegno che questo comporta con l’aiuto dei manuali e magari di saggi storici come quello di Chabod da cui questo scritto ha preso le mosse. Com’è noto, Gramsci scriveva nei Quaderni dal carcere: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare «facilitazioni”.

E della facilitazione la scuola italiana da anni ha fatto molto uso a scapito del merito e della responsabilità nello studio delle singole discipline, in particolare l’italiano e, appunto, la storia. Quest’ultima dovrebbe acquistare un peso maggiore nel corso del curriculum scolastico e diventare una prova importante in sede di esami di maturità, perché permette di riscoprire i valori costitutivi di una società civile e politica, dalla famiglia alla comunità nazionale o sovranazionale.

Coltivare infine la memoria storica delle vicende dei popoli, delle nazioni, degli stati può essere il viatico per sentirsi, con passione e razionalità, sia italiani che europei e per riprendere, dopo anni di crisi economiche, pandemiche e belliche, il cammino iniziato negli anni del Risorgimento verso la piena realizzazione della democrazia.

 

Sergio Casprini

 (dal Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, 1° luglio 2023)

giovedì 22 giugno 2023

LA LETTERA APERTA DEL DICEMBRE 2021 PER LA REINTRODUZIONE DEGLI SCRITTI NEGLI ESAMI DI MATURITÀ DIVENTA UNA DELLE TRACCE DI QUEST’ANNO. PRECISAZIONI AL MINISTRO BIANCHI CHE NON RICORDA BENE

Una delle tracce per il primo scritto all'Esame di Stato proponeva agli studenti di commentare una lettera aperta indirizzata nel dicembre 2021 all'allora Ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi, per chiedere di reintrodurre la prima prova scritta, eliminata a causa della pandemia nell'esame precedente, che il ministro aveva ipotizzato di mantenere invariato.

Quella lettera (leggila qui), firmata da "illustri esponenti del mondo accademico e culturale", come riportano gli organi di stampa, era stata promossa dal Gruppo di Firenze e tra le firme illustri c'erano Roberta De Monticelli, Gustavo Zagrebelsky, Elsa Fornero, Paolo Crepet, Renato Mannheimer, Carlo Cottarelli, Alessandro Barbero e molti altri noti esponenti della cultura e delle professioni.

Non intendiamo certo entrare nella polemica suscitata da questa scelta di Valditara, che ha provocato una risentita reazione dell’ex Ministro Bianchi, ma solo smentire alcune singolari affermazioni di quest’ultimo, il quale fra l'altro ha dichiarato: "Trovo inaudito che si faccia commentare ai ragazzi un testo che non si sa chi ha scritto, genericamente inviato [?] nel dicembre del 2021..." Ma la lettera aveva in alto il logo e il nome del Gruppo promotore e soprattutto, come in tutti gli appelli, i firmatari – tutt’altro che sconosciuti – facendola propria ne sono diventati i coautori. Inoltre l’appello non era nato “sul sentito dire”, ma da notizie precise riportate da vari organi di informazione:

 

Bianchi sostiene poi che "siamo stati noi a ripristinare gli esami scritti". È ben vero che il Ministro "ripristinò" l'esame scritto, ma dopo quella lettera e senza dubbio grazie alla sua spinta.

Andrea Ragazzini

martedì 13 giugno 2023

EDUCARE ALLA LEGALITÀ: LA MEMORIA NON SIA SOLO SANGUE E LACRIME

Non basta ricordare gli omicidi e le stragi di mafia, tanto meno servono le “navi della legalità”. Si studi ciò che hanno fatto gli uomini dello Stato

Giorgio Ragazzini, “Il Sussidiario”, 13 giugno 2023

La promozione nel paese e in particolare nella scuola di una cultura della “legalità” (intesa come impegno almeno morale contro tutte le mafie) passa soprattutto attraverso la commemorazione delle vittime dei delitti e delle stragi di Cosa Nostra. Certo, è importante e doveroso ricordare con gratitudine l’esempio di chi ha messo i propri talenti al servizio della collettività, spesso sapendo di rischiare la vita. Però sul piano che possiamo chiamare pedagogico sarebbe bene riflettere sull’effettiva efficacia di una “memoria” intesa come riproposizione in dosi massicce di tremendi spettacoli di morte e distruzione o delle numerose scene di omicidi “eccellenti” che si sono susseguiti nei decenni. E questo non tanto per il rischio di assuefazione, che è sempre dietro l’angolo anche per gli argomenti più coinvolgenti della nostra storia, quanto piuttosto per il pericolo di creare, soprattutto nei ragazzi, un senso di impotenza e pessimismo di fronte all’efficienza criminale della mafia; e tanto più se a questo si aggiunge (come nel caso della presunta “trattativa”) l’evocazione di collusioni dello Stato con la mafia, date per sicure da inchieste giudiziarie e da organi di stampa, e poi clamorosamente smentite di recente.

È certamente per questo che nelle scorse settimane il Presidente della Repubblica ha sentito la necessità di dire, fra l’altro, che “fare memoria però non è soltanto un omaggio doveroso a donne e uomini di grande valore. La memoria di Falcone e di Borsellino comprende, per noi, la ribellione civile all'oppressione mafiosa che, da quei drammatici giorni, da Palermo e dalla Sicilia, ha avuto un enorme sviluppo. Comprende la reazione dello Stato che ha condotto a successi importanti. Comprende le riforme legislative e ordinamentali che sono state adottate proprio seguendo le intuizioni e le proposte di Falcone e Borsellino.

Con queste parole Mattarella prende chiaramente le distanze sia da una memoria a una sola dimensione (con gli effetti indesiderabili richiamati sopra), sia dall’idea che le istituzioni a cui spetta la lotta alla criminalità debbano per forza essere oggetto di diffidenza da parte dell’opinione pubblica; e ne rivendica invece i “successi importanti”.

Si spera che questo richiamo non venga lasciato cadere, ma orienti in una direzione più utile sia i media che la scuola, in modo da dare rilievo soprattutto a quello che si è fatto e che si sta facendo contro la mafia, ovviamente anche sulla scorta del prezioso lavoro svolto dai tanti che proprio per questo sono stati assassinati. Lasciamo perdere le iniziative solo di parata, tra cui le “navi della legalità”, che coinvolgono una microscopica percentuale degli studenti e per di più costano molto. Facciamo conoscere invece, solo per fare qualche esempio, le eccellenti indagini del vicequestore Ninni Cassarà e dei suoi collaboratori che fruttarono il primo organigramma completo di Cosa Nostra; le intuizioni e l’iniziativa legislativa di Pio La Torre, che indicò la strada dell’illecito arricchimento come via maestra per le indagini sulla mafia; e naturalmente le idee innovative e il grande lavoro di Giovanni Falcone che riuscì a ottenere dal suo rapporto con Tommaso Buscetta rivelazioni di incalcolabile importanza; sulla base delle quali metterà in piedi il processo in cui furono condannati 346 imputati, per un totale di 19 ergastoli e 2.265 anni di carcere. Presentiamo ai ragazzi la lotta contro la mafia per quello che, di fatto, è: un’epica dei nostri giorni, con battaglie vinte e perse, con eroi vittoriosi che poi soccombono, ma dopo aver colpito duro e aver lasciato, per chi viene dopo, una preziosa eredità di idee e di esperienze.

venerdì 28 aprile 2023

CONTRO CHATGPT E SIMILI. UN INVITO ALLA “DEMONIZZAZIONE”

Come ha detto il filosofo Luigi Lombardi Vallauri, “nessuno sa veramente quello che pensa fino a quando non l’ha scritto su un pezzo di carta”. Scrivere è infatti di grande aiuto per rendere un pensiero più preciso, più ricco, più profondo. Come c’è un momento in cui un pittore, un fiorista, un arredatore possono dire “Ecco, ora è perfetto”, così chi scrive può a un certo punto concludere “Questo è quello che penso”, dopo avere scritto e riscritto una frase, consultato un dizionario dei sinonimi, cancellato qualcosa, aggiunto qualcos’altro. 

A scuola i due principali tipi di testo per esercitarsi nello scrivere sono, com’è noto, il riassunto e il tema, che allenano differenti abilità cognitive, tutte importanti. Detto en passant, il tema fu oggetto di un vero e proprio anatema negli anni post-68, raccogliendo peraltro, alla luce dell’analisi di classe, l’eredità di illustri detrattori del passato. Qui basta ricordare che “tema” è sinonimo di “argomento”. L’insegnante chiede agli allievi di trattarlo attraverso un titolo che può essere breve, meglio se stimolante, oppure più lungo e strutturato in modo da servire come guida per lo svolgimento. Di fatto è un genere comprensivo di molti generi testuali, tra quali uno dei più utili alla crescita intellettuale e morale, soprattutto nel primo ciclo, è il tema di esperienza e di riflessione personale.

Tutti pregi che molti evidentemente ignorano nel momento in cui sottovalutano il pericolo micidiale costituito dalle piattaforme come ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer, ovvero Trasformatore pre-istruito in grado di generare conversazioni), capace di scrivere testi su moltissimi argomenti. Che si sia già a un buon livello di perfezionamento, lo dimostra il fatto che “Il Foglio” ha potuto sfidare i lettori a individuare ogni giorno l’articolo scritto tramite l’Intelligenza Artificiale (a proposito: i giornalisti non sono preoccupati?). C’è chi rassicura e sostiene che è un’occasione per migliorare l’insegnamento. Una docente inglese, per esempio, dice che gli studenti, invece di scrivere testi, potranno lavorare su quelli “artificiali” per individuarne manchevolezze e fare modifiche. C’è poi chi incappa nel benaltrismo sostenendo che l’importante è sviluppare una piena umanità negli allievi, la loro curiosità, la capacità di fare domande. Tutte “soluzioni” che presuppongono in sostanza l’abbandono di una scrittura che non sia strettamente funzionale.

Del resto, di fronte alle nuove tecnologie, da decenni scatta in molti, come un riflesso condizionato, la raccomandazione di non “demonizzarle”, ma di imparare a utilizzarle per il meglio. Purtroppo l’esperienza ci dice che queste aperture di credito richiedono non solo l’indicazione di limiti chiari e di non troppo complessa applicazione, ma anche perseveranza e fermezza da parte degli educatori; altrimenti si apre un’autostrada per la moltiplicazione degli effetti indesiderati. Così è stato per il cellulare: abbiamo creato legioni di ragazzi dipendenti dagli smartphone, spesso affetti da seri disturbi di vario genere; e la possibilità di copiare utilizzando internet durante le verifiche e gli esami è aumentata in modo esponenziale. Perciò dobbiamo prendere sul serio i pericoli che incombono sull’apprendimento dell’italiano scritto, in particolare quello di non poter più far esercitare i ragazzi con riassunti, temi, relazioni da fare a casa. Finora l’insegnante accorto ha potuto subodorare la copiatura perché sa come scrivono i suoi allievi e può controllare su internet se ha barato. Oggi ci dicono che con ChatGPT questo non si può fare (ma almeno la richiesta di creare la possibilità di conservare in rete per qualche tempo i testi prodotti andrebbe fatta). In ogni caso, questa volta vale la pena di passare per “demonizzatori”, visto che si rischia di danneggiare gravemente le nuove generazioni. 

Giorgio Ragazzini 
gruppodifirenze@libero.it

(ilSussidiario.net, 28 aprile 2023)

mercoledì 1 marzo 2023

17 MARZO, CELEBRAZIONE DELL’UNITÀ D’ITALIA, DELLA LIBERTÀ E DEMOCRAZIA

 

Il 17 marzo (Giornata dell’Unità nazionale), il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno sono le date fondamentali della nostra storia. Le prime due segnano la conclusione del processo risorgimentale con l’affermazione dell’Unità e dell’Indipendenza dell’Italia, le altre due la riconquista della libertà del nostro Paese e la sua trasformazione in repubblica democratica, sancita dal voto popolare.

Celebrare queste ricorrenze permette di perpetuare i valori e gli ideali del Risorgimento e della Resistenza consegnandoli ai giovani cittadini di oggi, ma rafforza anche la nostra identità nazionale e la coesione sociale. Tanto più questo è necessario in un periodo di smarrimento degli italiani, dovuto alla vicenda tragica della pandemia, allo shock del ritorno della guerra in Europa per l’aggressione della Russia all’Ucraina, alle contrapposizioni ideologiche spesso prive di vera attenzione all’interesse generale, alla crisi dell’etica pubblica. Sono, insomma, date costitutive di quella religione civile che in tutto l’occidente democratico salvaguarda la memoria storica e l’identità politico-culturale di ogni paese, come il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti.

Dal 2013 con una Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri è stata istituita come solennità civile la data del 17 marzo – “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera” da celebrare in ogni città italiana, nei quartieri, nei luoghi istituzionali e soprattutto nelle aule scolastiche. Nei fatti, dopo i festeggiamenti del 2011 per i 150 anni dell’Unità nazionale e nonostante che le scuole siano invitate a programmare momenti di riflessione in proposito, l’attenzione sul significato di questa data progressivamente si è persa tra gli italiani di ogni età. 

Per le nuove generazioni la scuola è il luogo non solo della formazione culturale, ma anche di una prima maturazione politica, con l’acquisizione degli strumenti di comprensione critica della realtà sociale in cui vivono, a partire da un’adeguata conoscenza storica del loro Paese. 
Dovrebbe essere compito quindi delle scuole ricordare agli studenti che il 17 marzo 1861 nacque l’Italia, a conclusione di alcuni decenni di ideali e di sacrifici tendenti a questo scopo. Anche perché è una storia di cui i giovani furono più volte protagonisti: basti pensare al Battaglione dei Volontari toscani a Curtatone e Montanara nel 1848, alle Camicie rosse guidate da Garibaldi, ai “Ragazzi del ‘99” che si sacrificarono sulla linea del Piave fino alla riscossa di Vittorio Veneto e agli scugnizzi napoletani che parteciparono all'insurrezione popolare con la quale, tra il 27 e il 30 settembre 1943, Napoli fu liberata dall’occupazione nazista.

Il Risorgimento italiano è stato un lungo processo storico arrivato in un certo senso fino a metà novecento; e le date importanti come il 17 marzo servono da occasione per conoscere e comprendere meglio il passato da cui veniamo. Anche la lotta eroica del popolo ucraino contro l’aggressione russa può – se non altro – farci meglio “realizzare” (cioè percepire vividamente) la durezza delle lotte risorgimentali contro “lo straniero” e della resistenza alla distruttiva e spesso spietata invasione hitleriana.

Oggi le manifestazioni studentesche sembrano di rado all’altezza dei problemi attuali, in gran parte perché risentono di un’insufficiente preparazione culturale e soprattutto di quella storica, senza la quale non si può comprendere la complessità del mondo.  Certo è stata utile l’iniziativa ambientalista di Greta Thunberg, oggi rimpiazzata nelle cronache dagli imbrattamenti “nonviolenti” di “Ultima generazione”, con i quali però si costruisce ben poco. Per il resto, il mondo studentesco si esprime quasi solo con le ripetitive occupazioni scolastiche di minoranze faziose e ideologizzate, che conducono sgangherate battaglie contro il governo di turno e, quel che è peggio, contro il diritto allo studio della maggioranza dei loro compagni, mentre le istituzioni, prive di coerenza democratica e di fermezza, si guardano bene dal tutelarli.

Ricordare oggi il 17 marzo sia a livello istituzionale che nelle scuole e nella società civile significa quindi tenere aperto il fronte basilare delle battaglie per la libertà, la democrazia e la solidarietà umana.

Sergio Casprini

giovedì 2 febbraio 2023

NUOVO ORIENTAMENTO: CHI HA DETTO CHE QUANTITÀ E QUALITÀ SONO SINONIMI?

 


Leggere le nuove linee guida ministeriali per l’orientamento mi ha fatto subito venire in mente DI BENE IN PEGGIO. Istruzioni per un successo catastrofico, un ironico libretto in cui Paul Watzlawick prende di mira le “ipersoluzioni”, cioè “un modo di affrontare i problemi che, pur fondato sulle migliori intenzioni, finisce sempre con l’avere effetti controproducenti”. Le ipersoluzioni non sono certo una novità per un ministero che ha storicamente dimostrato una stabile affezione per questo tipo di provvedimenti. Alla base ci sono in genere due fallaci presupposizioni: il primo è “maggiore quantità = migliore qualità”; il secondo: la novità deve innervare di sé l’intera scuola, diventare la sua chiave di volta, il suo modo di essere – in questo caso, “orientativo”. Ecco perché, al prezzo di forzarne parecchio il significato, vi si dice che “l’orientamento inizia sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento.­” Chi leggendo queste righe pensasse che si tratta di cose che già in gran parte si fanno senza pensare all’orientamento avrebbe perfettamente ragione. Con la riserva che raramente talenti e attitudini si manifestano nei primissimi anni di scolarizzazione.

Il lato quantitativo della faccenda irrompe nella scuola all’inizio della media: 30 ore di orientamento in ognuno dei tre anni. Stesso numero nei primi due delle superiori (ore curricolari e/o extracurricolari: ma è difficile rosicchiare più di tanto ai programmati pomeriggi di molti allievi); e “almeno 30 ore” (queste invece “curricolari”) negli ultimi tre anni delle superiori. Non manca la precisazione (si fa per dire) che non si tratta di una materia aggiuntiva, ma di “uno strumento essenziale per aiutare gli studenti a fare sintesi unitaria, riflessiva e inter/transdisciplinare della loro esperienza scolastica e formativa, in vista della costruzione in itinere del proprio personale progetto di vita culturale e professionale”. Chiaro, no? Da notare che lo stesso sistema della materia-non materia “trasversale” è già in opera con l’educazione civica, fra notevoli resistenze da parte dei docenti e con esiti ignoti ai più, dato che la rendicontazione non è il forte delle istituzioni italiane.

A questo si aggiunge la nomina, fra i docenti di ogni classe, di un tutor ad hoc, quasi certamente dotato di scarsa qualificazione, che si dovrà sobbarcare “un dialogo costante con lo studente, la sua famiglia e i colleghi”, in particolare quando si tratterà di scegliere la scuola superiore o, dopo il diploma “di maturità”, di orientarsi verso un lavoro o ulteriori studi.

Riemerge infine da un passato inglorioso il “portfolio”, che sparì alla chetichella nell’era Moratti perché ritenuto un inutile sovrappiù a furor di popolo docente; stavolta, però, in versione digitale.

Questa, a grandi linee, l’ingombrante ipersoluzione escogitata per l’orientamento, con i sovraccarichi professionali facilmente immaginabili e il relativo stress. Probabilmente c’è anche l’intento di forzare la mano ai docenti sulla cosiddetta “personalizzazione”, la classica cosa facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Per quanto riguarda la scuola media, una materia come educazione tecnologica avrebbe tutte le potenzialità per individuare le attitudini che portano a studi tecnico-professionali, purché basata essenzialmente su attività di laboratorio. Purtroppo viene in genere svolta come una disciplina prevalentemente teorica.

Comunque, usando buon senso e senso del limite, sarebbe senz’altro sufficiente concentrare le attività orientative in seconda e terza media e poi negli ultimi due anni delle superiori; utilizzando, in un più ragionevole numero di ore, il contributo diretto e la consulenza di esperti esterni, oltre alle esperienze utili che gli insegnanti stessi possono condividere con i colleghi. L’efficacia dell’orientamento, insomma, e non solo di quello, dipende molto più dalla sua qualità che non da una complessa organizzazione e da un massiccio impiego di ore.

Giorgio Ragazzini

("ilSussidiario.net", 2 febbraio 2023)

venerdì 27 gennaio 2023

STIPENDI DIVERSI PER I DOCENTI SU BASE TERRITORIALE? INFORMIAMOCI, PRIMA DI DECIDERE COME LA PENSIAMO

Sull'idea del Ministro Valditara di reintrodurre un criterio di calcolo dello stipendio dei docenti che tenga conto delle differenze del costo della vita, sarebbe opportuna una discussione approfondita prima di prendere una posizione sul tema. Tema che esiste: ci sono disparità nel costo della vita fra nord e sud, ma anche fra province di una stessa regione.

Il Ministro Valditara ha accennato alla possibilità di tenere conto del “carovita” nella retribuzione dei docenti, che potrebbe essere di conseguenza differenziata. Dal 1954 al 1969 fu in vigore un metodo di calcolo che faceva variare le retribuzioni su base territoriale in base ad alcuni criteri, tra cui soprattutto il costo della vita. Il sistema, detto delle “Gabbie salariali” (definizione ovviamente non benevola), fu ritenuto a un certo punto discriminatorio; e del resto a quell’epoca trionfava un egualitarismo non sempre ragionato. È un argomento di cui si è occupato più volte (per il lavoro dipendente in generale) Pietro Ichino, che ha premesso a un suo intervento questo sommario: «È paradossale che un sindacato interessato a proteggere il potere d’acquisto dei salari da variazioni dei prezzi nel tempo (ossia dall’inflazione), sia indifferente, anzi contrario, alla necessità di proteggere i salari anche dalle variazioni dei prezzi nello spazio». A un cittadino non-giuslavorista come me interesserebbe una discussione informata sul tema, ma sappiamo che molti preferiscono scagliare sull’interlocutore una scomunica al posto dei ragionamenti sui dati economici.  Di solito se ne è parlato argomentando che mediamente nel sud i costi sono inferiori e quindi sarebbe equo dare qualcosa in più a chi abita a nord. Spesso si risponde, però, che nel sud i servizi pubblici – per esempio quelli sanitari – sono molto meno efficienti e per questo c’è maggiore necessità di andare in al centro-nord o di pagare di tasca propria. Ma le differenze ci sono anche tra provincia e provincia. In Toscana, per esempio, secondo Immobiliare.it il costo medio di una casa in affitto nella provincia di Firenze è attualmente di 15,70 euro mensili al metro quadro, in quella di Arezzo 7,65.  Per comprare una casa la media è rispettivamente di 3.111 euro al metro quadro e di 1.480. In tutti e due i casi, più o meno la metà. Forse vale la pena di studiare attentamente dati e possibili rimedi e solo dopo prendere posizione.

Giorgio Ragazzini

(Da "Pensalibero", 27 gennaio 2023) 

martedì 17 gennaio 2023

LETTERA DI SOLIDARIETÀ ALLA PROFESSORESSA MARIA CRISTINA FINATTI DI ROVIGO

 La professoressa in questione è quella a cui uno studente ha sparato dei pallini di plastica. La vicenda è ricapitolata e commentata in breve in questo articolo: https://bit.ly/3WfQbxV

Per sottoscrivere la lettera (possibilmente entro la mezzanotte di domani mercoledì): inviare Nome, cognome, materia di insegnamento (scolastico o universitario) e luogo di residenza a gruppodifirenze@libero.it. Oggetto: Solidarietà. I docenti della scuola primaria e dell’infanzia indicheranno il tipo di scuola, invece della materia; Dirigenti, segretari, eccetera il loro ruolo.

Cara Professoressa,

Le scriviamo per esprimerle la più calorosa solidarietà insieme allo sdegno per la serie di inqualificabili comportamenti di cui è stata oggetto: il gravissimo gesto di un suo allievo; la complicità o l’omertà degli altri (salvo uno); l’assenza del doveroso sostegno da parte della dirigenza e dei colleghi; il silenzio – per non dire altro – dei genitori.

Non è, purtroppo, un caso isolato, ma il frutto inevitabile di una linea politico-culturale pluridecennale che è spesso sfociata nella sostanziale abolizione della disciplina, base necessaria di un lavoro fruttuoso nelle classi come in ogni altro campo.

Speriamo che questo ennesimo affronto a chi svolge l’essenziale compito di formare al meglio le nuove generazioni serva almeno da monito per la classe politica sulla necessità di una svolta all’insegna della fermezza educativa; e che spinga anche gli insegnanti a esigere che nella propria scuola non si transiga sul rispetto reciproco.

Un cordialissimo saluto.

PierVincenzo Uleri, Scienza della politica, Fiesole

Andrea Ragazzini, Aurora Contu, Giorgio Ragazzini, Sergio Casprini, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità

Marzia Maria Tortelli, italiano e storia, Firenze

Franca Novelli, scuola dell’infanzia, Setteville di Guidonia

Antonella Foscarini, educazione artistica, Firenze

Pino Graziano, costruzioni, Rossano Calabro

Marisa Scapuzzi, lettere, Firenze

Sandra Sensi, inglese, Firenze

Brunella Windsor, educazione musicale, Firenze

Rosanna Zanieri, educazione tecnica, Borgo San Lorenzo (Fi)

Lisa Bichi scuola dell'infanzia, Firenze

Teresa Pasqui, arte della moda, del costume e del tessuto, Firenze

Lucia Mannucci, collaboratrice del Dirigente, Pontedera

David Garzella, fisica, Trieste

Annalaura Guastella, matematica e scienze, Pisa

Filippo Bellandi, Sant’Agata Mugello

Patrizia Pepè, lettere, Fiesole

Valerio Tanini, educazione artistica, Fiesole

Piero Morpurgo, italiano e storia, Tarquinia (Vt)

Alessandra Giannuzzi, lettere, Milano


domenica 18 dicembre 2022

LICEO OCCUPATO, LA PRESIDE FA INIZIARE LA DAD PER GARANTIRE LE LEZIONI. MA TUTTI I SINDACATI SI INDIGNANO

 

A Firenze una sede del liceo Alberti-Dante viene occupata da “un manipolo” di studenti, come riferisce “FirenzeToday”. Per garantire il diritto allo studio, la preside fa partire in via eccezionale la Didattica a distanza, precisando che chi non segue tutta la lezione verrà considerato assente. I sindacati, che del diritto allo studio si proclamano sempre strenui difensori, contestano la legittimità della decisione e ammoniscono: “La scuola è un'istituzione educativa e come tale deve essere la prima a rispettare rigorosamente le regole, se vuole rappresentare un esempio per i propri studenti”. I quali, evidentemente, va bene che le infrangano; anzi, “le proteste studentesche rappresentano per le realtà educative un'occasione di ascolto e dialogo (come sta avvenendo del resto in altri istituti), da non affrontare in alcun modo con un approccio burocratico o, peggio, come un problema di ordine pubblico".

Sarà bene allora riepilogare i “pregi” di queste “occasioni di dialogo”:

- sono illegali in sé sotto diversi profili e in più sono spesso occasione di altri reati come i frequenti danneggiamenti;

- in aggiunta, sono intrinsecamente antidemocratiche, dato che vengono regolarmente promosse e gestite da minoranze; gli altri o non se la sentono di opporsi o non disdegnano qualche giorno di vacanza;

- fanno perdere giornate di scuola che costano fior di euro ai contribuenti: se si ferma una scuola di 30 classi, se ne perdono 30mila al giorno; 

-  se i motivi delle occupazioni sono concreti (bagni, riscaldamento, sporcizia, come nel caso fiorentino di cui parliamo), ci sono moltissimi modi legali e democratici per farli presenti (lettere, comunicati stampa, manifestazioni pomeridiane, post sui social network). Spesso invece si tratta di confuso e pretestuoso ribellismo ideologizzato di nessuno sbocco concreto;

- con la minaccia di un’occupazione vengono spesso ottenute le cosiddette “autogestioni”, che quasi sempre sono di scarso o nullo valore culturale.

A questo dobbiamo aggiungere la non rara collusione di una parte dei docenti, la condiscendenza di una parte dei genitori, spesso memori delle loro analoghe esperienze, l’aperta legittimazione di un ministro e di un sottosegretario, la disponibilità di vari politici e intellettuali a intervenire nelle scuole occupate e la voluta inerzia di magistratura e forze dell’ordine.

Tutto ciò ha costituito una pluridecennale forma di diseducazione civica dei giovani, di assuefazione al disprezzo delle regole e di discredito per la scuola. E pensare che poi si ha il coraggio di spendere denaro pubblico per i vari progetti di “educazione alla legalità e alla convivenza civile”.

Giorgio Ragazzini

 

giovedì 1 dicembre 2022

L’IRAN E L’EUROPA DEI DIRITTI E DELLE LIBERTÀ

 

Mappatura delle proteste in Iran dal 16 settembre al 23 novembre
Fonte ISW

Si sta avverando il sogno di un’Europa sovranazionale, come nel 1941 si auguravano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel cosiddetto Manifesto di Ventotene? Da quando è nata, l’Unione Europea (già Comunità Economica Europea) è cresciuta soprattutto con un compito preciso: contribuire a soddisfare le esigenze di benessere degli europei dopo gli orrori del nazismo, del fascismo e le macerie della guerra. Il suo più grande successo infatti è stato il mercato unico. Ma negli ultimi anni, nonostante le miopie nazionali e le lesioni allo stato di diritto inferte recentemente dall’Ungheria e dalla Polonia, oltre alla mancanza di una difesa comune, sia pure lentamente avanza il processo di unità politica, come nel contrasto al Covid e alle sue conseguenze economiche e con il pieno sostegno all’Ucraina nella sua lotta patriottica contro l’invasore russo, una forte iniziativa di politica estera e di sicurezza. D’altronde l’Europa è la culla di una società aperta, con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, il governo della legge.
Sorprende quindi l’assenza di posizioni altrettanto forti della Comunità europea per quanto succede in Iran, dove, dopo la morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale perché indossava il velo in maniera inappropriata, la repressione violenta di quello stato teocratico non è riuscita ancora dopo due mesi a domare la protesta delle donne iraniane, che si sta trasformando in una sfida sempre più radicale al regime degli ayatollah. E se pure il 14 novembre l’UE ha adottato sanzioni nei confronti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Iran, come ha dichiarato l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea Josep Borrell, si continua ancora da parte delle Istituzioni comunitari a fare poco di fronte alla situazione tragica delle donne iraniane.
Certo non vale come giustificazione il fatto che l’Iran non è un paese europeo come l’Ucraina e quindi non sarebbe legittimo attuare forti iniziative di ingerenza nelle questioni interne di un’altra nazione pur in presenza di gravissime violazioni dei diritti fondamentali, in particolare delle donne.
E di dovere di ingerenza da parte dell’Unione Europea si parla invece in un appello (promosso dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità) sottoscritto da autorevoli esponenti della cultura, dell’Università, della società civile.
L’appello inviato alla rappresentanza dell’UE a Roma e ai deputati italiani a Bruxelles inizia con queste parole: Un grande movimento che vede in prima fila gli studenti e le studentesse si sta battendo in Iran contro uno spietato regime tirannico in nome delle libertà nate in Europa. Libertà di cui nelle scuole i ragazzi studiano la storia, le lotte per conquistarle e per riconquistarle, l’importanza di difenderle.
Ma in Italia gli studenti e le studentesse hanno protestato contro lo spietato regime teocratico iraniano? Hanno fatto qualche sit in davanti all’ambasciata iraniana a Roma?
Ad oggi le manifestazioni e alcune rare occupazioni di istituti, tra l’altro di minoranze rumorose a fronte di maggioranze silenziose degli studenti, hanno mostrato lo stucchevole rituale di ogni inizio scolastico, con slogan e parole d’ordine contro il ministro della Pubblica Istruzione di turno e il governo in carica, rivelatrici di conoscenze confuse o di visioni ideologiche anacronistiche, senza il possesso di un’effettiva preparazione civica e politica, oltre che storica.
Il ministro Valditara in alcune dichiarazioni ha giustamente richiamato sia i docenti che gli studenti a un maggior senso di responsabilità, da una parte riconoscendo che va ripristinata la dignità e l’autorevolezza del ruolo dell’insegnante, dall’altra invitando gli allievi a un maggior impegno di studio senza più l’uso ludico dei cellulari, auspicando che in classe tornino il concetto di Patria (e di integrazione europea) e il rispetto degli insegnanti. Tuttavia, come altri precedenti ministri della P. I., non ha posto l’esigenza di ridare il giusto valore alle discipline, perno fondamentale di una reale formazione culturale, tra cui appunto la Storia, pena il balbettio infantile dei nostri studenti di fronte a drammatiche crisi internazionali, dove sono in gioco i diritti civili e le libertà dei popoli.

Sergio Casprini
Sito del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, 1° dicembre 2022

mercoledì 30 novembre 2022

IL RICEVIMENTO DEI GENITORI COME COMPETENZA PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI

 

Che la sintonia tra scuola e famiglia sia di grande importanza e possa influire positivamente sul rendimento e sul comportamento degli allievi sembrerebbe pacifico. Tuttavia il come coltivare questo rapporto solo raramente entra a far parte della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti. Eppure non da oggi una sollecitazione in questo senso viene dagli episodi di aggressione fisica o verbale nei loro confronti da parte di madri e padri scalmanati: un numero di casi relativamente basso, ma indicativo di un peggioramento della considerazione in cui è tenuta la scuola. E il modo in cui i rapporti con le famiglie vengono concretamente realizzati può senz’altro contribuire all’apprezzamento della qualità professionale dei docenti, nonché al prestigio di un istituto.

Ci sono in primo luogo gli aspetti organizzativi. La riuscita di un incontro dipende anche dal luogo in cui si svolge. Protezione della riservatezza, tranquillità, un ambiente curato evitano distrazioni e comunicano cortesia e rispetto, possibilmente una stanza ad hoc. I genitori non dovrebbero aspettare il proprio turno in piedi nei corridoi, ma avere almeno la possibilità di sedersi. Nei limiti del possibile, sarebbe giusto che il ricevimento avvenisse su appuntamento, come già avviene in alcune scuole. Disporre, a un’ora certa, di un tempo sufficiente per parlarsi, invece di aspettare in coda, per poi magari doversi accontentare di un incontro frettoloso, genera senza dubbio un senso di maggior considerazione. In questo modo, inoltre, chi lavora può sapere in anticipo per quanto tempo dovrà assentarsi.

Al ricevimento mattutino si aggiunge in genere quello pomeridiano, soprattutto in considerazione delle difficolta di chi lavora. In genere si tratta di due soli pomeriggi all’anno, con l’inevitabile sovraffollamento e un vero e proprio tour de force per i docenti con più classi e per i genitori costretti a lunghe attese.

Una parte di questi problemi, quella del tempo limitato messo a disposizione dei genitori per i colloqui, è originata da una normativa insufficiente. Il contratto della scuola, infatti, prevede che sia il Consiglio d’Istituto, su proposta del Collegio dei docenti, a definire le modalità, la frequenza e il tempo “per assicurare un rapporto efficace con le famiglie”, mentre l’ora di ricevimento è in realtà solo una prassi consolidata. Su questa base, e nonostante la grande disponibilità di moltissimi docenti, è difficile per la singola scuola assicurare qualcosa di più del minimo indispensabile. È doveroso quindi che questo impegno così necessario venga meglio definito e riconosciuto, anche economicamente.

Detto della necessità di un’organizzazione più vicina a quella che tutti consideriamo doverosa quando andiamo da un professionista di qualsiasi genere, è certamente il piano del rapporto personale con le madri e i padri degli allievi quello decisivo. Una maggiore preparazione per gestirlo e utilizzarlo favorisce la costruzione di una buona sintonia sul piano educativo, fondamentale per far sì che all’allievo-figlio arrivino messaggi coerenti dalla scuola e dalla famiglia. Inoltre, se si crea un clima di fiducia reciproca, i genitori possono essere fonte di informazioni utili ai docenti per conoscere meglio i propri allievi, con l’avvertenza che anche il tipo di domande e il modo di porgerle dovrebbe essere oggetto di una riflessione, al pari di come nell’ascolto si può trasmettere interesse e rispetto. Si dovrebbe anche tenere conto di quelle che la pedagogista Vittoria Cesari Lussu ha definito “le componenti sommerse della relazione”, tra cui quella probabilmente più diffusa è la paura di essere giudicati genitori non adeguati in base ai risultati e ai comportamenti dei figli.

E come ci si comporta di fronte a eventuali critiche, a modi scortesi, a sconfinamenti dell’interlocutore nel campo della didattica? Un docente dovrebbe essere preparato a evitare il tipo di reazioni che, nel linguaggio corrente, si indicano con l’espressione “farne una questione personale”, sforzandosi di mantenere l’autocontrollo. Del resto, il fatto stesso di pensare al colloquio come a un momento che comporta una specifica competenza professionale, facendone oggetto di confronto e di aggiornamento, già di per sé avvia una salutare presa di distanza dal coinvolgimento emotivo.

Se poi un genitore dimostra un’evidente incapacità di dialogare e diventa irrispettoso, bisogna evitare di farsi trascinare in un crescendo di botte e risposte, facendo presente che non ci sono le condizioni per proseguire in modo costruttivo.

In conclusione, anche se credo che siano molti i docenti in grado di condurre il ricevimento in modo appropriato basandosi sull’esperienza e sulle proprie attitudini relazionali, è però vero che la perdita di autorità di maestri e docenti e il diffondersi via social della presunzione di poter discutere con competenza su tutto hanno creato un terreno fertile per tensioni e conflitti prima rarissimi. Di qui il fatto che sia oggi necessario, ma anche interessante, dedicare la giusta attenzione a questo aspetto della professionalità di chi insegna.

Giorgio Ragazzini

Pubblicato sul “Sussidiario.net” il 30 novembre 2022